La locazione di immobili di proprietà non è attività commerciale
“Presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti dell’Inps è lo svolgimento di un’attività commerciale; va escluso che ricorra tale presupposto nel caso di una società di persone che eserciti un’attività limitata alla locazione di immobili di sua proprietà ed alla riscossione dei relativi canoni, non finalizzata alla prestazione di servizi in favore di terzi né ad atti di compravendita o di costruzione”.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 25192 dell’8 ottobre 2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 8.10.2019,
n. 25192
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Rilevato che:
- con sentenza pubblicata il 20/5/2016, la Corte di appello di Roma ha accolto l’appello proposto dall’Inps contro la sentenza del Tribunale di Roma che, a sua volta, aveva accolto l’opposizione proposta da M.F., contro l’avviso di addebito con il quale le era stato intimato il pagamento di contributi, e relative sanzioni accessorie, dovuti alla gestione commercianti nei periodi 1/2007-6/2009;
- la Corte territoriale ha ritenuto sussistenti le condizioni per l’iscrizione dell’opponente, in qualità di socia della Multiservizi di B.F. & M.F. s.n.c., posto che, come risultava dalla dichiarazione dei redditi della società (modello unico SP 2007, nonché dalla dichiarazione degli anni successivi), risultava che l’occupazione prevalente dell’appellata era quella svolta all’interno dell’impresa e che a fronte di tale dato ella non aveva documentato di svolgere altra attività abituale e prevalente, oltre quella dichiarata dalla società come socia, né di avere altre fonti di reddito o altra copertura assicurativa-previdenziale; l’assunto della M.F. secondo cui la società era inattiva non era comprovato documentalmente, anzi dalla visura camerale risultava che la società era stata sciolta il 31/12/2009 «per mancata ricostituzione della pluralità dei soci»; dal modello unico 2008 risultava un volume d’affari per euro 13.332 e ricavi per 6.946 e che, se era vero che dagli atti risultava un unico contratto di locazione della durata di un anno relativo all’unità immobiliare dove aveva sede la società, era anche vero che l’attività dell’impresa era costituito in prevalenza da «amministrazione condomini e gestione di beni immobili»; ha pertanto rigettato l’opposizione proposta dalla M.F.;
- contro la sentenza la M.F. ha proposto ricorso per cassazione, fondato su tre motivi, al quale ha resistito l’Inps depositando procura in calce alla copia del ricorso notificatagli;
(omissis)
Considerato che:
- con il primo motivo la M.F. denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1, comma 203, L. 23/12/1996, n. 662, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio;
- assume di aver provato documentalmente di non aver mai iniziato l’attività societaria per il mancato rilascio delle autorizzazioni amministrative e che l’iscrizione nella gestione commercianti suppone i requisiti di abitualità e prevalenza dell’attività, non essendo sufficiente la mera qualità di socio; le somme incassate a titolo di canone di sublocazione non costituivano proventi dell’attività commerciale svolta dalla società, né a tal fine poteva valere il modello unico SP e la barratura del riquadro RK in mancanza dell’effettivo svolgimento di una attività commerciale; al riguardo deposita documentazione Inps con cui si comunica l’annullamento del debito per le rate n. 1 e 2 degli anni 2007-2009, ad ulteriore supporto della documentazione già depositata attestante il parziale sgravio e la cancellazione dell’avviso di addebito impugnato, a far data dal 15/6/2009;
- con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 cod.civ. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, rilevando l’erroneità della pronuncia della Corte che ha fatto riferimento alle dichiarazioni dei redditi della società e non anche alle dichiarazioni dei redditi della persona fisica; mancava la prova della abitualità e della prevalenza dell’attività svolta dalla signora M.F., desunta dal sotto fatto che ella faceva parte di una società;
(omissis)
- i primi due motivi, che si esaminano congiuntamente in quanto connessi, sono fondati;
- la disciplina relativa alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali e del terziario è stata, come noto, modificata dall’art. 1, comma 203, L. n. 662/1996, il quale (omissis) ha previsto che l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla legge n. 613/1966 sussiste per i soggetti che siano in possesso) dei seguenti requisiti:
a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita;
b) abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione (ancorché tale requisito non sia richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonché per i soci di società a responsabilità limitata);
c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;
d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri e ruoli;
- tenuto conto che l’art. 2, L. 1397/1960, nel testo modificato dall’art. 3, L. n. 45/1986, stabilisce a sua volta che analogo obbligo di iscrizione (ricorrendo l’ulteriore requisito della partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza) grava sui soci di società in nome collettivo e sui soci accomandatari di società in accomandita semplice, risulta evidente che il presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti consiste pur sempre nella prestazione di un’attività lavorativa abituale all’interno dell’impresa, sia essa gestita in forma individuale che societaria: e ciò perché – come a suo tempo rimarcato da Cass. S.U. n. 3240 del 2010 – l’assicurazione obbligatoria non intende proteggere l’elemento imprenditoriale del lavoro autonomo, ma piuttosto accomunare commercianti, coltivatori diretti e artigiani ai lavoratori dipendenti in ragione dell’espletamento di attività lavorativa abituale, qualora il loro impegno personale si connoti, rispetto agli altri fattori produttivi, come elemento prevalente all’interno dell’impresa;
- nel caso di specie, la Corte ha fondato il suo giudizio esclusivamente sulla base dell’oggetto sociale della società e sulla presunzione, in forza della quale, attesa l’entità dei redditi, l’assenza di dipendenti e la dichiarazione resa nel modello unico SP della società, in cui risulta barrata la casella del riquadro RK, essi non potevano che essere stati prodotti dall’apporto della socia, senza tuttavia accertare se si sia trattato di un effettivo svolgimento di attività commerciale, ovvero di una mera attività di gestione di contratti di locazione di immobili concessi in godimento a terzi, nonché se vi sia stata l’effettiva partecipazione personale, da parte dell’odierna ricorrente, al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;
- con riguardo al primo aspetto deve precisarsi che questa Corte ha già affermato il principio secondo cui, ai fini dell’iscrizione nella gestione commercianti, l’attività di mera riscossione dei canoni di un immobile affittato non costituisce di norma attività d’impresa, indipendentemente dal fatto che ad esercitarla sia una società commerciale (Cass. n. 3145 del 2013), salvo che si dia prova che costituisca attività commerciale di intermediazione immobiliare (Cass. n. 845 del 2010; Cass. 24/05/2018, n. 12981); e che, inoltre, l’eventuale impiego dello schema societario per attività di mero godimento, in implicito contrasto con il disposto dell’art. 2248 c.c., non può trovare una sanzione indiretta nel riconoscimento di un obbligo contributivo di cui difettino i presupposti propri, per come sopra ricostruiti (v. Cass. 30/12/2016, 27588);
- quanto al secondo aspetto, non vi è dubbio che l’onere della prova gravi sull’ente che esige i contributi (Cass. 26/02/2016, n. 3835; Cass. 28/02/2017, n. 5210;
- il ricorso, pertanto, deve essere accolto e la causa rinviata ad altro giudice d’appello affinché proceda a fare i dovuti accertamenti alla luce dei seguenti principi di diritto: «Presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti è, in conformità a quanto previsto dalla legge 23 dicembre 1996 n.662, art. 1 comma 203 (che ha sostituito la L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1) lo svolgimento di un’attività commerciale; va escluso che ricorra il presupposto dello svolgimento di attività commerciale nel caso di una società di persone che eserciti un’attività limitata alla locazione di immobili di sua proprietà ed alla riscossione dei relativi canoni, non finalizzata alla prestazione di servizi in favore di terzi né ad atti di compravendita o di costruzione»;
«Ai sensi dell’art. 1, comma 203, L. n. 662/1996, che ha modificato l’art. 29 L. n. 160/1975, e dell’art. 3 L. n. 45/1986, nelle società in nome collettivo la qualità di socio non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza, la cui ricorrenza deve essere provata dall’istituto assicuratore»;
- l’accoglimento dei due motivi di ricorso assorbe il terzo motivo, riguardante la regolamentazione delle spese del giudizio, che verrà rimessa alla decisione del giudice del rinvio, compresa quella relativa alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.