Qualora il proprietario di un appartamento in condominio esegua opere sui propri beni facendo uso anche di beni comuni, indipendentemente dall’applicabilità della disciplina sulle distanze, è necessario stabilire se, in qualità di condomino, abbia utilizzato le parti comuni dell’immobile nei limiti consentiti dall’art. 1102 c.c., nel qual caso l’opera deve ritenersi legittima a prescindere dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue.
Tuttavia, se la modifica del sistema di scarico delle canne fumarie non solo risulta lesiva dei diritti condominiali, ma arreca anche un danno alla proprietà esclusiva del vicino di casa, va comunque accolta la domanda di quest’ultimo di ripristino dello stato dei luoghi.
Importante e interessante aldilà del caso specifico l’ordinanza 31412/2019 di Cassazione, della quale riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 2.12.2019,
n. 31412
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M.E. ha convenuto in giudizio S.Z., esponendo di esser proprietario di un’unità abitativa sita al quinto piano nel condominio …, sottostante all’immobile in titolarità del convenuto; che questi aveva ampliato il terrazzo annesso alla sua unità esclusiva, asportando l’ultimo tratto di un cassonetto ove erano alloggiate varie canne fumarie dell’edificio, le quali, per effetto delle modifiche apportate, scaricavano i fumi nella proprietà dell’attore.
Ha dedotto che le nuove costruzioni non erano state autorizzate dall’assemblea, avevano determinato “un’arbitraria estensione del diritto di veduta” ed avevano modificato lo scarico dei fumi provenienti dalle canne fumarie.
Il tribunale di Genova ha respinto la domanda, regolando le spese processuali.
Il giudizio di appello, proposto da M.E. e nel quale ha spiegato intervento il condomino D.T., si è concluso con la riforma della sentenza di primo grado.
La Corte territoriale di Genova ha stabilito che la nuova costruzione alterava il decoro architettonico dell’edificio, ledeva i diritti di proprietà dell’appellante ai sensi dell’art. 840 c.c., violando inoltre la distanza imposta dall’art. 905 c.c..
Ha ritenuto che M.E. avesse titolo a dolersi dell’eliminazione del cassonetto per impedire che i fumi si disperdessero nell’atmosfera o ripiegassero sul suo terrazzo.
Ha quindi ordinato la demolizione del terrazzo e il ripristino del vano ove erano alleggiate le canne fumarie.
La cassazione di detta pronuncia è stata richiesta da S.Z. sulla base di un quattro motivi di ricorso, illustrati con memoria.
(Eredi di M.E.) hanno depositato controricorso e memoria illustrativa.
Con ordinanza interlocutoria del 30.11.2018 è stata ordinata la notifica del ricorso a D.T., il quale ha depositato successivo controricorso.
1. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5 c.p.c., per aver la pronuncia stabilito che le modifiche al terrazzo ledevano il decoro architettonico, benché nessuna doglianza fosse stata sollevata in proposito da M.E..
Il secondo motivo censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., contestando alla Corte di merito di non aver considerato che, sul balcone sottostante alla proprietà del ricorrente, M.E. aveva realizzato una veranda trasformata in volume abitabile, per cui occorreva tener conto anche delle modifiche precedentemente apportate alla facciata dell’edificio ai fini di accertare la lesione del decoro architettonico.
Il terzo motivo censura la violazione degli artt. 112 c.p.c., 840, 873, 905, 907, 1117, 1127 c.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., per aver la sentenza ritenuto che l’ampliamento del balcone avesse violato i diritti di proprietà sulla colonna d’aria sovrastante il terrazzo di M.E., non considerando che la linea esterna del balcone arretrava rispetto alla copertura della veranda del piano sottostante, in corrispondenza del quale non era possibile alcuna ulteriore costruzione.
Sostiene inoltre il ricorrente che l’art. 840 c.c. non è invocabile in ambito condominiale e che la sua violazione non era stata dedotta a fondamento della domanda.
Parimenti, la sentenza non poteva ritenere violato l’art. 905 c.c. senza valutare se la nuova costruzione fosse conforme ai limiti imposti dall’art. 1102 c.c..
Il quarto motivo censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., contestando alla sentenza di aver disposto l’eliminazione del vano ove erano collocate le canne fumarie, sebbene il consulente avesse accertato che nel suddetto vano erano state illegittimamente posizionate le tubazioni di areazione dei bagni delle singole unità abitative, il che ne escludeva la natura condominiale, fermo inoltre le nuove opere non avevano compromesso la funzionalità degli scarichi.
2. Il primo, il secondo ed il terzo motivo, che vanno esaminati congiuntamente, sono fondati nei termini che seguono.
La Corte territoriale ha ordinato la demolizione dell’ampliamento del balcone realizzato dai ricorrenti nonché il ripristino del vano e delle canne fumarie che vi erano precedentemente alloggiate.
Riguardo al primo profilo la sentenza ha stabilito che la nuova opera alterava il decoro architettonico, aggravava la preesistente servitù di veduta, era lesiva del regime delle distanze ai sensi dell’art. 905 c.c. e pregiudicava la proprietà esclusiva del resistente, che, ai sensi dell’art. 840 c.c., si estende “in altezza usque ad sidera”.
Dall’esame della citazione di primo grado, che è consentito dalla natura del vizio denunciato, si evince però che M.E. aveva richiesto la demolizione dell’ampliamento del balcone ed il ripristino del vano ove erano posizionate le canne fumarie, dolendosi esclusivamente del fatto che:
a) l’opera non era stata autorizzata né dal proprietario dell’unità abitativa sottostante, né dall’assemblea condominiale quanto allo “sconfinamento del balcone”;
b) il mutamento dell’originario stato dei luoghi aveva determinato un’estensione arbitraria del diritto di veduta nella proprietà altrui, ulteriormente aggravato dalla copertura della canna fumaria condominiale;
c) era stata compromessa la sicurezza dell’edificio;
d) la nuova opera era stata realizzata in assenza di concessione edilizia (cfr. atto di citazione, pag. 4).
La domanda non conteneva – quindi – alcuna esplicita doglianza riguardante la lesione del decoro architettonico o la violazione dei diritti di proprietà esclusiva di M.E. ai sensi dell’art. 840 c.c..
Di conseguenza la Corte di appello, nel dichiarare l’illegittimità del balcone anche sotto profili non dedotti e non allegati della domanda di demolizione, ha pronunciato ultra-petita, incorrendo nella violazione denunciata.
2.1. Quanto alla violazione dell’art. 905 c.c., la sentenza si è limitata ad osservare che nel condominio edilizio “non si possono costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici e simili muniti di parapetto che permettano di affacciarsi sul fondo del vicino se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere”, rilevando inoltre che “ai sensi dell’art. 873 c.c. le costruzioni su fondi finitimi devono rispettare la distanza dalle costruzioni fronteggianti di mt. 3,00” (cfr. sentenza pag. 4).
Non era tuttavia consentita l’automatica applicazione delle norme in tema di distanze (dalle vedute o tra le costruzioni), posto che tali disposizioni sono applicabili al condominio solo se compatibili con la disciplina degli artt. 1117 e ss. c.c. (Cass. 5196/2017; Cass. 10563/2001; Cass. 4844/1988; Cass. 682/1984).
Qualora il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale esegua opere sui propri beni facendo uso anche di beni comuni, indipendentemente dall’applicabilità della disciplina sulle distanze, è necessario stabilire se, in qualità di condomino, abbia utilizzato le parti comuni dell’immobile nei limiti consentiti dall’art. 1102 c.c..
In caso positivo, l’opera deve ritenersi legittima anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue (Cass. 6546/2010; Cass. 7044/2004; Cass. 360/1973): l’art. 1102 c.c. è – difatti – specificamente destinato a regolare i rapporti condominiali e quindi prevale sulle disposizioni di cui agli artt. 905 e ss. c.c..
La Corte d’appello era quindi tenuta a verificare l’eventuale osservanza, da parte del ricorrente, dell’art. 1102 c.c. e a dar conto delle ragioni dell’eventuale superamento dei limiti imposti dalla norma, per cui, avendo omesso del tutto siffatto accertamento, è incorsa nella violazione dell’art. 905 c.c..
3. Il quarto motivo non può essere accolto.
La sentenza ha stabilito che la modifica del sistema di scarico delle canne fumarie e degli sfiati ospitati nel vano posto a ridosso del balcone non solo era lesiva dei diritti condominiali, ma arrecava anche un danno alla proprietà esclusiva ai sensi dell’art. 2043 c.c. (cfr. sentenza pag. 6), poiché i fumi, invece di disperdersi nella atmosfera così come in passato, convergevano sul terrazzo di M.E..
Ha difatti soggiunto che il resistente “non solo in qualità di condomino, ma anche in forza dell’art. 2043 c. c., aveva diritto di pretendere che il suo possesso non fosse turbato da esalazioni moleste che si sversavano sul suo terrazzo” (cfr. sentenza pag. 6).
La domanda di ripristino dello stato dei luoghi è stata accolta – pertanto – sulla base di una duplice argomentazione, di cui l’una – quella concernente l’illiceità dell’opera alla stregua dell’art. 2043 c.c. – era da sola idonea a sorreggere la decisione, per cui, non essendo stata censurata, è divenuta definitiva, comportando l’inammissibilità delle ulteriori contestazioni.
I riscontrati effetti dannosi della nuova costruzione giustificavano – inoltre – il ripristino dello stato dei luoghi, occorrendo disporre la cessazione delle cause delle immissioni dei fumi e degli sfiati nella proprietà esclusiva di M.E..
Era difatti irrilevante che il vano costituisse un bene comune o che ne fosse stata precedentemente alterata la destinazione, venendo in rilievo le conseguenze lesive delle modifiche apportate ed il loro carattere pregiudizievole per la proprietà esclusiva del resistente.
Sono – in definitiva – accolti il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, mentre è respinto il quarto.
La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Genova, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Genova, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.