“Integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura in modo tale da bloccare il passaggio altrui, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione”.
È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza 51236/2019 (di cui riportiamo un estratto), con la quale ha confermato la condanna a carico di un condomino che aveva posteggiato in modo da impedire ad un altro l’accesso al cortile.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 51236/2019
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1. Con sentenza deliberata in data 26/01/2018 (omissis), la Corte di appello di Potenza ha confermato la sentenza del 15/07/2015 con la quale il Tribunale di Matera aveva dichiarato V.F. responsabile del reato di violenza privata (perché si rifiutava si rimuovere l’auto parcheggiata all’ingresso di un cortile in uso anche a P.L., così impedendo a quest’ultimo di accedervi e di prelevare gli attrezzi di sua proprietà ivi depositati), condannandolo alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Potenza ha proposto ricorso per cassazione – datato 12/06/2018 e depositato in pari data presso il Tribunale di Matera – V.F., attraverso il difensore Avv. …, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen..
Il primo motivo denuncia inosservanza della legge penale e vizi di motivazione in ordine all’inutilizzabilità della dichiarazioni auto-accusatorie rese dall’imputato alla polizia giudiziaria.
Il secondo motivo denuncia inosservanza della legge penale, in quanto il rifiuto addebitabile all’imputato non è equiparabile alla violenza o alla minaccia richieste per l’integrazione del reato, laddove i benefici invocati sono stati negati sulla base di mere asserzioni del giudice di appello.
1. Il ricorso è inammissibile per plurime, convergenti ragioni.
2. Le doglianze articolate con il ricorso sono inammissibili.
2.1. Il primo motivo è inammissibile. Come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009): il ricorrente si è sottratto a tale onere, tanto più che la sentenza impugnata, nel dar conto della conferma del giudizio di colpevolezza, ha richiamato non solo la testimonianza dell’operante della polizia giudiziaria, ma anche la deposizione dibattimentale della persona offesa.
2.2. Del pari inammissibile è il secondo motivo. Quanto alla sussumibilità del fatto nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 610 cod. pen., del tutto consolidato è l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità in forza del quale integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l’accesso alla persona offesa, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione (omissis): pertanto, la censura articolata al riguardo dal ricorrente è manifestamente infondata. Del tutto generiche sono le ulteriori doglianze, sostanzialmente carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012).
(omissis)
4. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di euro 3.000, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che, alla luce della nota spese depositata, vanno liquidate come da dispositivo.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile liquidate in euro 2000 oltre accessori di legge.