[A cura di: avv. Lorenzo Cottignoli – presidente provinciale U.P.P.I. Modena – uppimodena.it] Salita agli onori delle cronache per aver (apparentemente?) espresso un principio tranchant sull’imbiancatura dell’immobile locato al termine del contratto, la recente sentenza (n. 29239 del 13.11.2019) con la quale la Suprema Corte, nella sua Terza Sezione, decide una lite in relazione ad un contratto di locazione, in realtà offre numerosi e ben più ampi spunti di approfondimento e di riflessione in materia di affitto di immobili: tra questi appare opportuno analizzarne alcuni, che si ritengono attuali e rilevanti.
I tratti della vicenda sono costituiti dal recesso, che due conduttori avevano esercitato in relazione ad un inadempimento del locatore, per la presenza di macchie di umidità e muffa nell’abitazione locata, che il Tribunale di Ancona, quale giudice di primo grado, aveva considerato legittimo, respingendo le domande della proprietà, volte ad ottenere la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione e la condanna dei conduttori – nonché dei loro garanti – al pagamento:
L’impugnazione della sentenza da parte del locatore aveva condotto la Corte d’Appello anconetana ad accogliere parzialmente le ragioni della proprietà, dichiarando così risolto il contratto e condannando i conduttori al pagamento di alcuni importi a carico di questi e rigettando altresì il loro appello incidentale.
La Corte di Cassazione, su ricorso dei conduttori, accoglierà solo uno dei molteplici motivi di illegittimità sollevati, in relazione ad un vizio logico della Corte d’Appello nel computo delle somme poste a loro carico, dichiarando assorbiti gli altri e rigettando altresì i motivi di controricorso proposti dalla proprietà.
Tuttavia, indipendentemente dall’esito del giudizio, vale qui principalmente evidenziare alcuni degli aspetti logico-giuridici che hanno sorretto la motivazione della sentenza per la portata delle considerazioni che la Suprema Corte vi svolge, afferendo essi a differenti ma sostanziali aspetti del rapporto locativo.
Risolte le questioni preliminari, la Corte di Cassazione, in particolare, affronta la tematica dell’onere probatorio gravante sul locatore in relazione alla documentazione delle spese condominiali, nonché del conseguente obbligo per il conduttore di provvederne al pagamento e del termine e delle modalità mediante le quali la richiesta in tal senso del locatore può essere contestata.
Nella specie, il conduttore aveva contestato, in tutti i gradi di giudizio, che il locatore avesse effettivamente sopportato le spese di cui chiedeva il rimborso, impugnando un documento ritenuto insufficiente a fornire tale dimostrazione.
Afferma, dunque, la Suprema Corte come, se, da un lato, “incombe al locatore stesso, ai sensi dell’art. 2697 c.c., dare la prova dei fatti costitutivi del proprio diritto, i quali non si esauriscono nell’aver indirizzato la richiesta prevista dalla L. n. 392 del 1978, art. 9 necessaria per la costituzione in mora del conduttore e per la decorrenza del bimestre ai fini della risoluzione, ma comprendono anche l’esistenza, l’ammontare e i criteri di ripartizione del rimborso richiesto”, dall’altro lato, appare sufficiente che il locatore produca il rendiconto approvato dal condominio senza necessariamente corredarlo dei relativi documenti giustificativi, poiché tale rendiconto correttamente approvato costituisce titolo per l’esazione dei contributi condominiali, senza necessità – neppure per l’amministratore stesso, una volta approvato – di corredarlo di documentazione ulteriore.
Dunque, prosegue il Supremo Collegio, “può affermarsi che il locatore, il quale convenga in giudizio il conduttore per il pagamento delle spese condominiali, soddisfa il proprio onere probatorio, producendo i rendiconti dell’amministratore, approvati dai condòmini, mentre spetta al conduttore muovere specifiche contestazioni in ordine alle varie partite conteggiate, prendendo a tale scopo visione dei documenti giustificativi ovvero ottenendone l’esibizione a norma degli artt.210 e ss c.p.c.”.
Infine, insegna la Corte come il termine entro il quale il conduttore può avanzare contestazioni in relazione alle spese condominiali sia costituito da quello, previsto dalla legge, per il loro pagamento, come disciplinato dall’art. 9 co. 3, l. 392/78, che compone lo spatium decidendi entro il quale lo stesso conduttore può attivarsi, e che “impone al conduttore di pagare gli oneri condominiali entro due mesi dalla relativa richiesta, circoscrive altresì l’arco temporale entro il quale il conduttore può esercitare il suo diritto di chiedere l’indicazione specifica delle spese e dei criteri di ripartizione nonché di prendere visione dei documenti giustificativi. Ne consegue che, non essendovi, in mancanza di tale istanza del conduttore, alcun onere di comunicazione del locatore, il conduttore, decorsi i due mesi dalla richiesta di pagamento degli oneri condominiali, deve ritenersi automaticamente in mora alla stregua del principio dies interpellat pro homine e non può, quindi, sospendere, ridurre, ritardare o contestare il pagamento degli oneri accessori, adducendo che la richiesta del locatore non era accompagnata dall’indicazione delle spese e dei criteri di ripartizione.”.
Disciplinata, con chiarezza lapalissiana, la questione del riparto oneri condominiali, la Corte affronta poi, tra le altre, anche la nota questione della tinteggiatura dell’immobile locato al termine della locazione, richiamando una precedente propria pronuncia (Cass. Civ. n. 11703/2002) con la quale afferma che la clausola che onera il conduttore di tinteggiare le pareti costituirebbe un onere illegittimo, in quanto consisterebbe nell’eliminare, “al termine del rapporto, le conseguenze del deterioramento subito dalla cosa locata per il suo normale uso” e come tale, violando l’art. 79 l. 392/78, deve considerarsi nulla, perché “addossando al conduttore una spesa di ordinaria manutenzione, che la legge pone, di regola, a carico del locatore (art. 1576 c.c.), attribuisce a quest’ultimo un vantaggio in aggiunta al canone, unico corrispettivo lecitamente pattuibile a carico del conduttore.”. La Corte deduce sinteticamente, pertanto come, essendo il normale degrado delle pareti per l’uso di mobilio e quadri, ascrivibile al normale deterioramento d’uso, non può essere posta a carico del conduttore la spesa per la loro tinteggiatura.
Va tuttavia osservato come spetti all’interprete del diritto cogliere l’esatta indicazione fornita dalla Corte, la quale cita espressamente l’art. 1576 c.c. osservando, con precisione assoluta, come sia tale norma la via che conduce alla nullità della clausola che onera il conduttore di tinteggiare le pareti.
Va, parimenti, evidenziato come la giurisprudenza della stessa Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. n. 11856/1992) consideri senz’altro derogabile la disposizione di cui all’art. 1576 c.c., non trattandosi di norma di ordine pubblico, lasciando all’autonomia contrattuale delle Parti la facoltà di decidere se gli oneri di straordinaria manutenzione debbano o meno essere posti a carico del locatore o piuttosto del conduttore.
Ne discende, in conclusione, come la esplcita deroga, espressa in contratto, a tale norma codicistica, possa autorizzare il locatore a chiedere al conduttore la tinteggiatura dell’immobile locato al termine del contratto, quale manutenzione straordinaria da apportarsi all’oggetto della locazione, senza che tale previsione contrattuale possa incorrere nella nullità sanzionata dalla legge, che potrà, invece, dirsi applicabile in assenza di tale pattuizione.