Tra i temi più dibattuti in materia condominiale c’è sicuramente quello della formazione degli amministratori di condominio: argomento che ha suscitato, fin dall’entrata in vigore della Legge 220/2012 e del Dm 140/2014, non poche polemiche da parte delle associazioni di categoria.
Ma qual è, in definitiva, la posizione delle associazioni che rappresentano l’amministrazione condominiale e la proprietà immobiliare?
Iniziamo oggi una carrellata di opinioni, partendo da quella di Andrea Tolomelli, presidente di AbiConf.
Quando si parla di formazione degli amministratori di condominio si deve necessariamente fare riferimento al combinato disposto di tre fonti normative:
Solo dalla sistematica lettura ed applicazione di tali disposti si può raggiungere un corretto quadro applicativo circa la formazione degli amministratori di condominio.
Nel senso che, le associazioni professionali – iscritte al MISE – hanno come obiettivo quello di promuovere e garantire all’utente finale la formazione permanente dei propri iscritti, gli standard di qualificazione professionale nonché forme di garanzie a tutela dell’utente. Pertanto, per quegli amministratori di condominio che sono iscritti ad associazioni professionali saranno le medesime a interporsi tra loro e gli utenti condòmini garantendo la sussistenza dei requisiti per l’esercizio della professione, nonché ulteriori e più elevati o differenziati standard qualificativi dell’associato anche rispetto alla norma UNI di riferimento.
Si potrà porre il problema della “verifica” dei requisiti suddetti per quegli amministratori non iscritti ad associazioni professionali per i quali si dovrà fare riferimento all’articolo 71 bis delle disposizioni di attuazione al codice civile con obbligo di quest’ultimi di esporre e dimostrare il possesso dei propri requisiti direttamente ai condòmini.
A mio avviso, il problema di questo sistema normativo è che attualmente mancano norme di riferimento in ordine alla valutazione della continuità della formazione nel tempo e per quei particolari casi di interruzione dell’attività formativa per la maternità e la malattia; condizioni umane che, essendo costituzionalmente tutelate dagli articoli 31 e 38 della carta costituzionale dovrebbero, dunque, essere appositamente disciplinate.
Mi spiego: ad oggi, anche secondo le poche pronunzie giurisprudenziali rinvenute in materia, l’attività formativa che un amministratore svolge nel corso dell’anno vale per l’anno successivo ed è il Giudice eventualmente adito che dovrà valutare la gravità dell’inadempimento “formativo” dell’amministratore di condominio, anche ai sensi delle particolari circostanze che connotano il caso concreto.
Nulla dice il D.M. formazione in ordine ai processi di costante aggiornamento negli anni e neppure sulle valutazioni delle situazioni di malattia o maternità; condizioni che, per altre categorie professionali vengono normalmente valutate dalle commissioni degli ordini e collegi di appartenenza.
Di qui corre il pensiero a quelle che furono le nostre proposte per l’attuazione di un Pubblico Registro telematico degli amministratori di condominio e dunque per la contestuale istituzione di un tavolo di lavoro permanente tra tutte le associazioni iscritte al MISE, che attestano la qualità dei loro iscritti, per elaborare proposte ed iter comuni per la valutazione delle predette situazioni e più in generale per la determinazione di comuni linee guida sulla formazione.
Ciò anche per una piena attuazione della legge 4/2013 che prevede espressamente all’articolo 4 comma 3, la possibilità per le singole associazioni professionali di promuovere la costituzione di comitati di indirizzo e sorveglianza sui criteri di valutazione e rilascio dei sistemi di qualificazione delle competenze professionali, con anche l’eventuale partecipazione delle associazioni dei lavoratori, imprenditori o dei consumatori maggiormente rappresentative.
Certo è che, pur nel rispetto del principio di libera associazione, va evidenziato che, le associazioni che promuovono la formazione dell’iscritto nonché le particolari forme di tutela del cittadino anche con gli strumenti previsti dalla legge 4/2013 – quali lo sportello del cittadino consumatore – sono quelle che hanno in requisiti e sono iscritte al registro presso il MISE delle associazioni professionali che attestano la qualità dei servizi erogati dai loro iscritti.
Come ABICONF, siamo fermamente contrari all’innalzamento legislativo del monte ore formativo attualmente previsto nelle 72 ore del corso base e 15 ore del corso di aggiornamento professionale, in quanto le differenti associazioni, nell’ambito di quello spazio di “sana” competizione tra le medesime, contemplato dalla pluralità associativa prevista dalla stessa legge 4/2013, devono promuovere percorsi di formazione e qualificazione per gli iscritti, ben, dunque, potendo – e forse dovendo – le associazioni professionali prevedere aggiunte di diversi momenti formativi oltre quelli necessariamente previsti dal D.M. formazione.
Altro tema è quello della qualità dei corsi di formazione, che a nostro avviso va necessariamente letto nella qualità e responsabilità delle associazioni che gli promuovono e che vanno poi ad accogliere gli iscritti, posto che le medesime associazioni devono promuovere la formazione degli iscritti e garantire l’utente.
A chiusura di questa breve trattazione non si può fare a meno di ripetere l’assurdità della norma – comma 2° dell’articolo 71 bis delle disposizioni di attuazione al codice civile – che ammette la possibilità di amministrare il proprio condominio in assenza dei requisiti formativi e di aggiornamento professionale previsti per tutti gli amministratori di condominio.
Tale disposto è contrario all’inquadramento dell’amministratore quale professionista e tra l’altro non è concepibile che nell’ambito di una collettività organizzata – quale è il condominio – una maggioranza assembleare possa eventualmente imporre ai condòmini di minoranza la scelta di una prestazione non qualificata professionalmente.
Sarebbe come ammettere che, un soggetto non qualificato come avvocato possa difendere il condominio in cui abita: è assurdo.
La comproprietà di un bene non può dare il diritto di esercitare un’attività professionale senza i requisiti previsti per legge. Ciò determina anche una forma di “squalificante” concorrenza posto che chi non è tenuto ad investire risorse economiche e tempo per la propria formazione ben potrà richiedere più bassi compensi.