[A cura di: Avv. Gabriele Bruyère – presidente Nazionale UPPI e Dott. Jean-Claude Mochet – Presidente Commissione Fiscale UPPI] Con sconcerto l’U.P.P.I. rileva che la cedolare secca sulle locazioni dei negozi non è stata prorogata nella legge di bilancio 2020 ed è assente dal decreto Milleproroghe.
Fin dal 2013 l’U.P.P.I. si è battuta per l’introduzione dell’imposta sostitutiva, avanzando la necessità di una tassazione certa, equa e trasparente anche per le locazioni ad uso diverso dall’abitazione. La cedolare secca ha rappresentato un grosso successo nella lotta all’evasione, così come documentato dalla stessa nota al DEF che riporta, quale beneficio della sua introduzione, l’essere riuscita a dimezzare del 50,45% l’evasione tributaria negli affitti abitativi.
L’U.P.P.I. si chiede quale lotta all’evasione si pensi ragionevolmente di portare avanti se ci si priva di strumenti adeguati ed efficaci. Per il Governo, nella persona del sottosegretario al MEF Maria Cecilia Guerra, si tratta di un problema di coperture. Eppure parliamo di poco meno di 160 milioni di euro, che si ridurrebbero ulteriormente valutando anche l’impatto di ritorno che la cedolare secca avrebbe avuto nella conseguente emersione del sommerso. Ben poca roba, inoltre, se si pensa che, per la Difesa, è stato previsto di sbloccare oltre 7 miliardi di euro da destinarsi a progetti nel settore militare e negli armamenti. Il Governo, insomma, fatica a trovare le coperture per investire nel settore immobiliare, che, insieme al settore edile ed al loro indotto, è volano di buona parte dell’economia italiana.
A causa di questa politica colpevolmente miope l’Italia, nel secondo trimestre del 2019, è risultata l’unico Paese dell’Eurozona nel quale i prezzi delle case sono scesi: mediamente, infatti, negli altri Paesi salivano dell’1%. Alla preoccupazione economica si aggiunge anche quella per l’affievolirsi di una tradizione culturale e sociale tipica del nostro Paese infatti, il rifiuto del Governo di snellire la tassazione sulla “casa”, anzi la sua ormai conclamata volontà di utilizzare i piccoli proprietari immobiliari come “bancomat” per il mantenimento dell’equilibrio dei conti pubblici, ha causato, dal 2011 al 2016, stando ai dati ufficiali dell’Agenzia delle Entrate, una diminuzione della percentuale di famiglie che possiedono la casa in cui sono residenti. Passiamo, infatti, dal 79% del 2011, al 77,4% del 2014, fino ad arrivare al 72,2% del 2016. Evidentemente l’aumento della tassazione e della complessità burocratica che ha generato una svalutazione del valore del “mattone” ha reso questo tradizionale investimento sempre meno appetibile.