La Cassazione dice no ad un accertamento del Fisco che pretendeva che i movimenti bancari degli stabili si riferissero ad “operazioni imponibili” di una amministratrice di condominio. La eventuale natura fittizia dell’intestazione, o la riferibilità al contribuente dei conti o di alcuni singoli dati, deve sempre essere provata dall’Agenzia delle Entrate.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 11.2.2020,
n. 3211
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(omissis)
1.1. l’Agenzia delle Entrate, in relazione alla questione dell’utilizzo, da parte della contribuente, dei conti correnti bancari intestati ai condomini, dalla stessa amministrati, ai fini della rettifica del reddito dichiarato dalla stessa, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 DPR 600/1973, dell’art. 51 DPR 633/1972 e dell’art. 2697 c.c., avendo la CTR affermato che le operazioni erano state erroneamente imputate alla controricorrente in quanto, pur avendo delega ad operare sui conti condominiali, «nulla autorizza(va) ad affermare che i movimenti in entrata e in uscita …(fossero)… riferibili ad operazioni imponibili della M.S.»;
1.2. le doglianze sono infondate alla stregua del consolidato principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di imposte sui redditi e di IVA, in relazione all’attività accertativa disciplinata dall’art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. 1973/600 e dall’art. 51, comma 2, n. 2, del D.P.R. 1972/633, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata ai conti formalmente intestati al contribuente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati a soggetti terzi, allorché risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzione, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità al contribuente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati, con conseguente onere probatorio, a carico dell’Ufficio, circa la pertinenza alla parte contribuente dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate (cfr. Cass. nn. 2386/2019, 14089/2017, 11145/2011);
1.3. è stato quindi ribadito che la lettera e la ratio (art. 51, comma 2, nn. 2 e 7, D.P.R. 633/72 e art. 32, comma 1, nn. 2 e7, D.P.R. 600/73) delle disposizioni in esame non ne autorizzano l’applicazione con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, solo perché legate da vincoli familiari o commerciali, salvo che l’ufficio opponga e provi poi in sede giudiziale, eventualmente avvalendosi degli indizi ricavabili da tali vincoli, che l’intestazione a terzi sia fittizia, cioè esprima un’apparenza voluta per far risultare come altrui operazioni in realtà compiute dal contribuente, o comunque sia superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti (cfr. Cass. nn. 27186/2008, 1728/1999);
1.4. di tali principi ha fatto buon governo la CTR, avendo dato atto della mancanza di elementi di prova in merito alla riferibilità dei conti condominiali alla controricorrente, pur avendo la delega ad operare sugli stessi, quale amministratrice professionale di Condomìni;
1.5. va quindi esente da censure la sentenza impugnato laddove ha rilevato come l’Ufficio non avesse assolto all’onere, sullo stesso gravante, di offrire al Giudice utili elementi di valutazione, anche se di carattere presuntivo;
1.6. l’operatività della presunzione non opera, invero, quale criterio previsto dalla legge per l’attribuibilità ex lege e iuris et de iure al contribuente delle risultanze dei conti correnti intestati a soggetti che con lo stesso abbiano una qualche relazione, ma come ordinario criterio di valutazione degli elementi di fatto la cui introduzione nel giudizio spetta a colui su cui fa carico l’onere probatorio, così che spetta al Fisco indicare gli elementi concreti, diversi dalla semplice relazione con l’intestatario, che collegano il conto al contribuente, elementi che ben possono essere anche di semplice valenza presuntiva, quali l’assenza di fonti apparenti che giustifichino i versamenti in conto oppure la coincidenza tra versamenti o prelevamenti e operazioni di presumibile equivalente valore effettuate dal contribuente o anche l’abnormità delle movimentazioni di denaro rispetto all’attività del titolare del conto, elementi che l’Agenzia non ha in alcun modo fornito nel caso in esame;
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300 per compensi ed Euro 200 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfetarie ed agli accessori di legge.