I cortili rientrano tra le parti comuni condominiali e la loro trasformazione, sia pure solo in parte, in un’area destinata alla installazione di box a beneficio di alcuni soltanto dei condòmini, comporta sia un’alterazione della consistenza strutturale della cosa comune, sia una sottrazione della destinazione funzionale della stessa, ed è dunque vietata.
Così si è pronunciata la Cassazione con l’ordinanza 5059 del 25 febbraio 2020, di cui riportiamo un estratto.
————–
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 25.2.2020,
n. 5059
————–
P.L. (e altri) hanno proposto ricorso articolato in due motivi (omissis) avverso la sentenza n. 1121/2018 del 25 maggio 2018 resa dalla Corte d’Appello di Palermo.
Resiste con controricorso G.A..
La causa ebbe inizio con domanda del 23 maggio 2012 di G.A., il quale convenne davanti al Tribunale Marsala P.L. (e altri), chiedendone la condanna a rimuovere i box/garage realizzati nell’area condominiale adibita a parcheggio dell’edificio di Corso …, nonché al risarcimento dei danni. Il Tribunale respinse le domande dell’attore. La Corte d’Appello, in riforma della prima sentenza, ha ordinato a P.L. (e altri), di rimuovere i box auto dall’area di parcheggio condominiale, dando per superati i limiti di cui all’art. 1102 c.c., in quanto una porzione cospicua dello spazio comune risultava occupata stabilmente con quei manufatti, con conseguente sottrazione dello stesso all’uso collettivo.
Il primo motivo di ricorso evidenzia che l’area condominiale in questione era stata destinata a parcheggio dal costruttore e che la realizzazione dei box non avrebbe affatto alterato tale destinazione, né impedito agli altri condòmini il pari uso. Il secondo motivo di ricorso censura il difetto di prova dell’impedimento o del disagio correlati alla chiusura dell’area mediante i box.
(omissis)
I due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi.
La Corte d’Appello ha accertato in fatto, con apprezzamento spettante ai giudici del merito e sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che una porzione cospicua dell’area condominiale adibita a parcheggio dell’edificio di Corso …, fosse stata occupata stabilmente dai box/garage realizzati dai ricorrenti, con conseguente sottrazione della stessa all’uso comune, e perciò violazione del principio stabilito dall’art. 1102 c.c..
La decisione della Corte di Palermo è conforme all’orientamento di questa Corte, secondo il quale i cortili (ed esplicitamente pure le stesse aree destinate a parcheggio, dopo l’entrata in vigore della legge n. 220 del 2012), rispetto ai quali manchi un’espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio, rientrano tra le parti comuni dell’edificio condominiale, a norma dell’art. 1117 c.c. (Cass. 8 marzo 2017, n. 5831), e la loro trasformazione, sia pure solo in parte, in un’area destinata alla installazione, con stabili opere edilizie, di box o autorimesse, a beneficio di alcuni soltanto dei condòmini, comporta sia un’alterazione della consistenza strutturale della cosa comune, sia una sottrazione della destinazione funzionale della stessa (omissis).
Secondo sempre l’interpretazione di questa Corte, l’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell’art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto. Pertanto, si è ritenuto che configuri un abuso agli effetti dell’art. 1102 c.c. altresì la condotta del condomino consistente nella stabile occupazione – mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura – di una porzione del cortile comune, poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all’utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l’equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà.
(omissis)
Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.