[A cura di: Ivano Rossi – CEO ROKLER Management & Consulting Srl – rokler.it] Senza entrare nel merito della possibile polemica circa l’ammissibilità di ogni strumento al fine di perseguire il bene supremo della salute dei cittadini italiani e senza mettere in dubbio che lo scopo preposto è di altissimo profilo etico ed umano, si vuol, con questo articolo, porre l’attenzione sulle violazioni possibili dietro il perseguimento di un obiettivo sociale, seppur nobile.
L’emergenza da Covid-19 nel nostro Paese è esplosa nel giro di pochissimi giorni e ciò ha causato una crescita esponenziale di psicosi da informazione. Tutti accediamo più e più volte al giorno alla rete per scoprire il numero di infetti, guariti, morti. Ogni informazione è preziosa per salvaguardare la propria salute e quella di un nostro caro. In quest’ottica le aziende italiane, dalle micro alle grandi imprese, si sono trovate a fronteggiare un pericolo inaspettato e sconosciuto senza sapere come. È partita, così, la corsa ai questionari.
In innumerevoli aziende, studi professionali, il datore di lavoro ha somministrato questionari ai propri dipendenti/collaboratori/fornitori al fine di verificare la pericolosità di un soggetto rispetto ad un altro. Seppur il principio di partenza possa essere condivisibile, quello cioè di tutelare la salute di tutti i lavoratori, tali moduli sono stati strutturati per raccogliere dati non necessari. Un esempio classico di domanda posta è “Negli ultimi 15 giorni hai soggiornato in una delle regioni del nord Italia, quali: Lombardia/Veneto/Emilia Romagna?”; oppure “hai avuto oppure uno dei tuoi familiari hanno avuto qualcuno dei seguenti sintomi negli ultimi 15 giorni? Tosse, febbre superiore a 37,5 gradi…” e via discorrendo.
È di tutta evidenza che alcune di queste informazioni riguardano dati personali relativi ai nostri spostamenti, abitudini, o addirittura a dati sanitari facenti parte, quest’ultimi, dei dati particolari ai sensi dell’art. 9 Regolamento UE 2016/679. Ai sensi del medesimo articolo del GDPR, il trattamento dei dati di natura particolare è in via di principio vietato.
Nello specifico al par. 2 lettera i) lo stesso articolo specifica che tale veto è nullo nel caso in cui “il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato, in particolare il segreto professionale”.
Facilmente si evince che il trattamento di dati sensibili è permesso ad organizzazione preposte, non di certo alle aziende o in genere a datori di lavoro che non possono sostituirsi ad autorità sanitarie o alla protezione civile.
Lo stesso Garante per la protezione dei dati personali, con nota del 2 marzo scorso, ha specificato che il datore di lavoro deve astenersi dal raccogliere a priori e in modo sistematico e generalizzato, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa.
L’accertamento e la raccolta di informazioni relative ai sintomi tipici del Coronavirus e alle informazioni sui recenti spostamenti di ogni individuo spettano agli operatori sanitari e al sistema attivato dalla protezione civile, che sono gli organi deputati a garantire il rispetto delle regole di sanità pubblica recentemente adottate. Resta fermo l’obbligo del lavoratore di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Al riguardo, il Ministro per la pubblica amministrazione ha recentemente fornito indicazioni operative circa l’obbligo per il dipendente pubblico e per chi opera a vario titolo presso la P.A. di segnalare all’amministrazione di provenire da un’area a rischio. In tale quadro il datore di lavoro può invitare i propri dipendenti a fare, ove necessario, tali comunicazioni agevolando le modalità di inoltro delle stesse, anche predisponendo canali dedicati.
Attenzione quindi a non confondere, specie in questo periodo, la prevenzione con il trattamento indiscriminato dei nostri dati personali.