[A cura di: avv. Amedeo Caracciolo (foto)] Il riparto delle spese di manutenzione dei balconi è tematica sovente foriera di contrasti in assemblea, che molte volte culminano in giudizi di impugnative di delibere.
Quanto sopra anche in considerazione che il codice civile non fornisce alcuna nozione di balcone, limitandosi solo a non menzionarlo nell’elenco delle “parti comuni”.
Questa lacuna è stata colmata dall’opera della dottrina e della giurisprudenza, chiamate in più occasioni a fare chiarezza sul punto. In base alle caratteristiche esteriori dei balconi questi possono suddividersi in due macro-categorie:
Un condomino citava in giudizio il condominio per sentirsi dichiarare esonerato dalle spese relative al rifacimento dei balconi degli altri condòmini, chiedendo il rimborso delle spese sostenute o, in subordine, la condanna del condominio alla restituzione delle somme pagate per i balconi di proprietà esclusiva degli altri partecipanti.
Sia il Tribunale di Forlì (rectius la Sez. distaccata di Cesena) che la Corte d’Appello di Bologna rigettavano la domanda dell’attore evidenziando il difetto di legittimazione attiva in quanto la delibera impugnata aveva disposto che “ogni condomino avrebbe ristrutturato il pavimento dei balconi a proprie spese”.
Mancava, poi, a dire dei Giudici di primo e secondo grado la prova che la delibera di approvazione dei lavori avesse posto a carico dell’attore (anche in quota-parte) le spese di ristrutturazione dei balconi degli altri condòmini. Prova ne era che l’impresa appaltatrice incaricata della ristrutturazione aveva emesso fattura nei confronti dei singoli proprietari.
L’istante ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Bologna denunciando l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla circostanza che la predetta deliberazione approvativa dei lavori limitava l’obbligo di contribuzione per le spese di manutenzione a carico dei singoli proprietari alla sola “pavimentazione dei balconi”.
Denunciava, altresì la violazione e/o falsa applicazione – ex multis – dell’art. 1117 c.c. (“parti comuni dell’edificio”) e dell’art. 1123 c.c. (“ripartizione delle spese”).
La Sez. VI/II della Suprema Corte di Cassazione accoglie il ricorso, in particolare facendo riferimento – si faccia attenzione – alla circostanza che, in via subordinata, il ricorrente chiedeva la condanna del condominio alla restituzione delle somme corrisposte indebitamente ex art. 2033 c.c..
Nelle proprie difese l’istante aveva, infatti, più volte posto riferimento alla nullità della delibera che aveva statuito in ordine a beni di natura individuale.
In tema di condominio negli edifici, i balconi aggettanti, in quanto prolungamento della corrispondente unità immobiliare appartengono in via esclusiva al proprietario di questa, dovendosi considerare beni comuni a tutti i condòmini solamente i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole.
Ne deriva, dunque, che le spese relative alla manutenzione dei balconi, comprensive non soltanto delle opere di pavimentazione, ma anche di quelle relative alla piattaforma o soletta, all’intonaco, alla tinta ed alla decorazione del soffitto restano a carico del solo proprietario che vi accede e non possono essere ripartite – come invece era stato fatto nel caso in questione – tra tutti i condòmini in base al valore della proprietà di ciascuno (Cass. civ. II 6624/2012, Cass. civ. II 15913/2007).
L’ordinanza in commento è significativa per un ulteriore aspetto. Viene ribadito, infatti, il principio secondo cui l’assemblea non può validamente assumere decisioni che riguardino i singoli condòmini nell’ambito dei beni di loro proprietà esclusiva.
È dunque radicalmente nulla una delibera che assuma decisioni in tal senso.
Per fattispecie del genere, si applica, dunque, il principio dettato in materia di contratti ex art. 1421 c.c., alla stregua del quale è attribuito al Giudice, anche di gradi successivi al primo, il potere di rilevare d’ufficio la nullità (Cass. civ. II, n. 305/ 2016, Cass civ. II n. 12582/2015 Cass. civ. SS.UU. n. 26242/2014)
Nemmeno una ripartizione della spesa in parti uguali tra i condòmini, a dire della Corte, vale a scongiurare la pretesa di ripetizione di quanto si è indebitamente versato.
Ecco allora che si ripropone la tematica dell’eccesso o della carenza di potere che rende una deliberazione nulla nei casi in cui l’assemblea esorbiti dalle sue attribuzioni di legge sancite nell’art. 1135 c.c. (“attribuzioni dell’assemblea dei condòmini”).
L’assemblea, nel caso in commento, aveva infatti statuito su beni di proprietà individuale.
Il binomio eccesso di potere-nullità della delibera assembleare non è nuovo alla materia condominiale.
Si tratta del medesimo vizio che viene in rilievo per le differenti ipotesi in cui l’assemblea deliberi in mancanza di unanimità dei partecipanti al condominio (con “mera” delibera a maggioranza) l’utilizzo di un criterio di riparto diverso rispetto a quanto previsto dalla legge e/o dal regolamento di condominio.
Per tali ipotesi, infatti, gli addetti ai lavori attendono con fermento l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Cassazione, chiamate a decidere sulla forma di invalidità di una deliberazione in tal senso (Cass. civ. VI/II, ord. rimessione n. 24476 del 1 ottobre 2019) onde porre fine al contrasto interpretativo tra gli orientamenti che ritengono simili delibere nulle in quanto rese in “eccesso di potere” rispetto alle attribuzioni assembleari, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condòmini fissati dalla legge o dal regolamento contrattuale, occorrendo a tal fine un accordo unanime espressione dell’autonomia negoziale (Cass. nn. 19832/2019, 470/2019, 33039/2018, 19651/2017); e le diverse opzioni interpretative che ravvisano la mera annullabilità di una delibera che effettui un riparto in deroga ai criteri di legge in relazione a un singolo caso concreto (Cass. 10586/2019, 11289/2018, 27016/2011).
Resta pacifico che “i criteri di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall’articolo 1123 c.c., possono essere derogati, come prevede la stessa norma, e la relativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripartizione può essere contenuta sia nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), ovvero in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, col consenso di tutti i condòmini” (Cass. civ. VI/II n. 24925/2019, Cass. civ. II n. 641/2003).
Riferimenti normativi:
Riferimento giurisprudenziali: