[A cura di: Giangiacomo Congiu – coordinatore nazionale Centro studi statistici e immobiliari di Confabitare] In questi momenti di crisi, dove infauste previsioni sull’andamento del mattone contribuiscono ad alimentare la speculazione, Confabitare presenta una sorprendente analisi del proprio Centro Studi Statistici e Immobiliari volto a ridimensionare l’impatto che, questa tremenda pandemia che ha colpito il nostro Paese ed il Mondo intero, avrà sul mercato immobiliare.
Premesso che l’Italia non è il Paese dei subprime, dove la gente compra case e alberghi come a Monopoli, ma è uno degli Stati che, con il 72% circa di proprietari immobiliari, primeggia a livello mondiale tra gli “amanti del mattone”, pensare che il più che probabile calo del PIL nazionale possa essere causa di una repentina quanto pesante diminuzione del numero delle compravendite immobiliari e, a catena, anche dei prezzi, è un esercizio accademico piuttosto frequente ma poco apprezzato nel settore dagli operatori e dagli imprenditori onesti. Infatti, proprio questi ultimi, che finalmente dopo anni di buio si trovavano a vedere la famosa luce in fondo al tunnel, ora devono affrontare sia il blocco dei cantieri che lo stop temporaneo delle compravendite.
Ma il nemico peggiore che bisognerà sconfiggere sarà la paura: la paura del contagio, la paura del futuro, la paura di vivere, un sentimento che non va assolutamente alimentato se non si hanno certezze tali da rendere ineludibile ogni altra ipotesi.
Evidentemente le previsioni, per loro natura, hanno il limite del dubbio e spesso accade che, come in quelle meteorologiche, se sono a lunga scadenza non sono molto attendibili. Però anche Confabitare non vuole sottrarsi a questo esercizio e, dopo un’attenta e accurata raccolta dei dati disponibili ed in seguito all’elaborazione degli stessi, è emerso che, se mai ci sarà un calo delle compravendite, lo stesso potrebbe limitarsi al 7,5% del mercato complessivo con una diminuzione di circa 42.000 compravendite su base annua.
Partendo dal presupposto che il mercato immobiliare italiano è basato sulla reale esigenza abitativa del cittadino e che l’abitare, come l’alimentare, risponde ad un’esigenza primaria delle persone, si è tenuto conto che, sui 60 milioni di residenti in Italia fino ad oggi, i potenziali acquirenti siano 39 milioni circa.
Dati e Grafica #truenumbers.it – Formatlab s.r.l.
Dati e Grafica #truenumbers.it – Formatlab s.r.l.
Il perché è semplice quanto corretto, infatti in Italia ci sono circa 18 milioni di lavoratori dipendenti, 5 milioni circa di lavoratori autonomi, 16 milioni circa di pensionati, 13 milioni di disoccupati o inattivi (che il lavoro non lo cercano più o che forse lavorano in nero) e 8 milioni circa di giovani con età inferiore a 15 anni (dati e tabelle #truenumbers.it – Formatlab).
Dati e Grafica #truenumbers.it – Formatlab s.r.l.
Se consideriamo che gli unici in grado di affrontare l’acquisto di una casa devono essere percettori di un reddito (necessario a fronteggiare le spese relative all’acquisto e al mantenimento dell’immobile come l’eventuale mutuo, le bollette, il condominio ecc) o almeno devono aver risparmiato quanto basta per un pagamento “per contanti”, è evidente che abbiamo individuato, nei 23 milioni di lavoratori e nei 16 milioni di pensionati, i potenziali acquirenti di immobili residenziali in Italia.
Secondo un’indagine del 2017 effettuata dalla Tecnocasa, i pensionati rappresentano circa l’8,5% del mercato (età pari o superiore a 65 anni), mentre il restante 91,5% degli acquirenti sono compresi nelle fasce di età lavorative (18 – 64 anni di età).
Fonte: Ufficio Studi Tecnocasa
Quindi, considerate le circa 600.000 compravendite effettuate nel 2019, secondo lo studio del noto Franchising immobiliare, 50.000 acquisti circa sono stati effettuati da pensionati mentre gli altri circa 550.000 acquirenti risultano essere percettori di reddito da lavoro (per ovvi motivi sono esclusi i disoccupati, gli inattivi, i bambini e gli adolescenti per un totale di 21 milioni di persone).
La variabile che può quindi modificare questi numeri è l’effetto che il Coronavirus avrà nei prossimi mesi sull’andamento dell’economia ed in particolare sulla tenuta dei posti di lavoro. Per tale motivo è importante ipotizzare una dead line che sarà la prima previsione da centrare e noi del Centro Studi Statistici ed Immobiliari, riteniamo improbabile un prolungamento dei termini del DPCM “io resto a casa” oltre il mese di maggio.
In tale ipotesi, secondo il Centro Studi del sindacato UGL (Unione Generale del Lavoro) sono a rischio 1 milione di posti di lavoro su 18 milioni di lavoratori dipendenti (notoriamente i sindacati dei lavoratori non sono ottimisti), mentre per il Cerved Rating Agency saranno circa 500.000 (il 10% del totale) le imprese che chiuderanno nel caso questo stato delle cose dovesse perdurare addirittura fino a fine anno.
In quest’ultimo caso ogni previsione sarebbe inutile in quanto uno scenario del genere non potrebbe prescindere dalle reazioni sociali e dalle ripercussioni sull’economia globale.
Rimanendo quindi nell’ambito dell’ipotesi più “soft” di ritorno alla “semi-libertà” per fine maggio e che quindi sono a rischio 1 milione di posti di lavoro dipendente permanenti sui 15 milioni attuali (18 – 3 milioni di posti di lavoro a termine) oltre ai circa 500.000 posti di lavoro autonomo sulle 5 milioni di partite iva aperte, si potrebbe ipotizzare che ci sia una diretta connessione tra la percentuale dei posti di lavoro a rischio e la percentuale di riduzione delle compravendite immobiliari annue.
Escluse quindi le 50.000 compravendite che mediamente sono movimentate dagli ultra 65enni, la cui pensione è rimasta inviolata, le restanti 550.000 compravendite dovrebbero subire una diminuzione di circa il 7,5% portando il numero di compravendite attese per quest’anno da 600.000 a 558.000.
Fonte dati: MONDORE – Centro Studi Statistici e Immobiliari
Questo è per Confabitare lo scenario peggiore visto e considerato che, del milione di posti di lavoro dipendenti a rischio, i primi a perdere il lavoro saranno proprio quelli a termine che, con tutta evidenza, difficilmente entrano nel mercato immobiliare prima di aver ottenuto il “posto fisso”.
La nostra Associazione quindi raccomanda a tutti i proprietari immobiliari di tutelare i legittimi interessi evitando di “svendere” i propri immobili sull’onda dello sconforto dettato dal momento contingente e consiglia di fare molta attenzione a non ascoltare quei consulenti immobiliari che, motivati esclusivamente dagli interessi personali, cercheranno di ridurre sensibilmente il valore del patrimonio immobiliare affidatogli per la vendita e/o la locazione.
L’opinione di Confabitare poi è che, alla luce delle gravi perdite subite in Borsa dai risparmiatori italiani, non ci sarà un calo della domanda da parte dei piccoli investitori immobiliari; al contrario la volatilità del risparmio finanziario, evidenziato dalla recente perdita del 30% in Borsa, porterà una parte dei risparmiatori a rivalutare l’investimento nel mattone.
Chi, nel corso degli ultimi anni, aveva acquistato o destinato uno o più immobili agli affitti brevi, a causa della grave crisi del comparto turistico causato dal Coronavirus, sarà orientato a rientrare nel mercato della locazione tradizionale. Per questo motivo Confabitare sollecita ora più che mai il Governo italiano ad aumentare gli sgravi fiscali destinati ai proprietari disponibili a locare a canone concordato. In tal modo si potrebbe colmare la carenza di immobili in locazione per lavoratori e studenti dei principali centri urbani, riducendo sensibilmente il peso economico per le categorie più deboli.
Infine, quest’ultimo periodo di contrasti tra l’Italia ed una parte dell’Europa, sull’emissione degli Euro Bond, alimenta sempre di più le voci su una possibile Italiexit, con scenari economici che spaziano tra chi vede un Italia del boom degli anni ’60 e chi crede che ci sarebbe un ritorno all’Austerity degli anni ’70.
Anche in questo caso Confabitare prova a sintetizzare i possibili effetti che l’una o l’altra ipotesi potrebbero creare sui valori immobiliari dei propri associati.
Nel caso in cui venissero emessi Euro Bond in misura massiccia come richiesto dai Paesi più colpiti dal Coronavirus, ciò porterebbe grande liquidità nelle tasche degli italiani, e non solo, con grandi benefici per la ripresa dell’economia nazionale ed europea in genere.
Al contrario se l’Italia dovesse uscire dall’Euro, il Governo sarebbe costretto a “stampare moneta” per far fronte alla crisi di liquidità creata dalla pandemia e al contempo, svalutando la ritrovata Lira, si creerebbero i presupposti per un aumento dell’export dei nostri prodotti che tornerebbero ad essere sempre più competitivi sul mercato; in questo momento poi il costo di acquisto dell’energia, vero punto debole dell’Italia, sarebbe particolarmente conveniente considerato il crollo del prezzo del petrolio.
Tutto ciò comunque contribuirebbe ad un aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse, facendo tornare il mattone agli anni ’80, quando era il Re dei beni rifugio. Tuttavia, oggi dobbiamo affrontare il vero nemico che, con migliaia di morti e decine di migliaia di contagiati, continua a mettere in pericolo la nostra salute e quella dei nostri cari. Confabitare è vicino a tutta la cittadinanza italiana ora più che mai.