[A cura di: avv. Matteo Rezzonico – presidente FNA – Federamministratori] L’edilizia e le attività immobiliari sono tra i primi settori che devono uscire dal lookdown, secondo la tabella delle classi di rischio e aggregazione sociale, messa a disposizione dalla task force presieduta da Vittorio Colao.
Frattanto nell’emergenza Confappi ed Fna hanno inviato alle sedi e agli associati le istruzioni di seguito sintetizzate.
Il periodo è decisamente delicato. Ed infatti gli inquilini di immobili adibiti ad attività commerciale o alberghiera (articoli 27 e seguenti della Legge 392/78) che siano impossibilitati a svolgere il proprio lavoro per i noti provvedimenti restrittivi, (statali o regionali), stanno già sospendendo il pagamento degli affitti (o, nei migliori dei casi, si sono autoridotti unilateralmente il canone), senza il consenso dei locatori.
Tra l’altro il conduttore – a nostro giudizio – non può invocare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione come causa di risoluzione del contratto (per l’emergenza Covid 19), posto che gli articoli 1263 e seguenti del Codice Civile non trovano applicazione se l’impossibilità dell’adempimento non sia definitiva (cfr. articoli 1256 e 1258 del Codice Civile).
Si intende dire che, tra qualche tempo, la situazione emergenziale dovrebbe essere superata, sicché il fermo di uno o due mesi dell’attività commerciale non è di per sé sufficiente a giustificare alcunché.
Per gli stessi motivi sembra doversi escludere la risoluzione per eccessiva onerosità della prestazione prevista dall’articolo 1467 del Codice Civile. Al più si potrebbe ipotizzare un recesso per gravi motivi da parte dell’inquilino che sia in condizione di provare una ingente diminuzione del fatturato (salvo più favorevoli pattuizioni contrattuali).
Senza contare che la stessa sospensione dei pagamenti/autoriduzione da parte degli inquilini potrebbe riguardare gli immobili adibiti ad uso abitativo, transitori o per studenti universitari di cui all’articolo 5 della legge 431 del 98. Per non parlare degli inquilini di immobili adibiti ad uso abitativo che abbiano perso il lavoro o che comunque navighino in “cattive acque”.
In tale contesto l’azione di sfratto può rappresentare solo un’extrema ratio, posto che la crisi economica che si intravede a seguito dell’emergenza epidemiologica potrebbe non consentire ai proprietari di trovare nuovi inquilini. Per questo Confappi ha suggerito ai propri associati di salvaguardare, per quanto possibile, le locazioni andando incontro alle richieste di riduzione degli affitti dei conduttori.
Ma lo Stato (e le Regioni) devono andare incontro ai proprietari: per quest’anno non è possibile pretendere alcuna tassazione sugli immobili o sugli affitti, né il pagamento dell’IMU o di altre imposte. È inoltre necessario stanziare ulteriori fondi per la morosità incolpevole.
Per evitare situazioni di povertà occorre l’immediata sospensione delle rate di mutuo per l’acquisto della prima casa (per tutti e indistintamente, anche per chi ha già usufruito in precedenza di tale beneficio), per evitare l’eccessivo sovraindebitamento delle famiglie di piccoli proprietari. La misura potrebbe incidere positivamente sul pagamento delle spese condominiali.
Per quanto concerne gli studi professionali degli amministratori di condominio, tra i codici ATECO relativi alle attività non sospese dal DPCM del 22 marzo u.s. e successive modifiche, è assente il numero 68.32.0, relativo ad “amministrazione di condomini e gestione di immobili per conto terzi”. Il testo del provvedimento prevede tuttavia che non siano sospese le attività professionali. In tale contesto, il combinato disposto delle due previsioni potrebbe portare a ritenere sospesa l’attività degli amministratori condominiali, ferma restando la possibilità di svolgere a distanza almeno una parte delle relative incombenze. E, tuttavia, successivamente alla emanazione del DPCM del 22 marzo, sul sito internet del Governo è stato puntualizzato che “tutte le attività professionali a prescindere dalla forma con cui vengono svolte, sono espressamente consentite”. Inoltre, l’art. 1, lettera “c” del DPCM 22 marzo, prevede che qualsiasi attività, anche se sospesa, può continuare ad essere esercitata se organizzata in modalità a distanza o lavoro agile (circostanza applicabile anche alle amministrazioni condominiali), fatta eccezione per le assemblee condominiali per le quali vale la faq di cui al punto precedente”. Pertanto si ritiene non sospesa l’attività di amministratore (salvo lo smart working e salvo le più restrittive ordinanze regionali per esempio, per quanto attiene a Lombardia e Piemonte).
Si potrebbe conseguire – eventualmente anche solo in via temporanea, la modifica dell’articolo 1136 del Codice Civile – per consentire l’espletamento di assemblee condominiali (“virtuali”). Questo consentirebbe agli amministratori di convocare le assemblee nel rispetto del termine per l’approvazione dei rendiconti. Sul punto si ricorda che l’articolo 1130, numero 10, del Codice Civile stabilisce che l’amministratore deve redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio. Fermo restando che allo stato FNA Federamministratori ha suggerito ai propri iscritti – in attesa della convocazione dell’assemblea – di inviare comunque ai condòmini i rendiconti e i riparti predisposti, nonché i preventivi, facendo salvi eventuali conguagli in sede di ratifica assembleare. In questo modo si consegue lo scopo di non lasciare il condominio privo di entrate nei confronti dei fornitori e di eventuali dipendenti.