Furto di energia dal contatore del condominio: chi ne risponde?
Ai fini della sentenza di condanna, non ha nessun rilievo accertare chi abbia operato la manomissione dell’impianto elettrico del condominio. Ciò che conta è invece, chi si avvantaggia illecitamente dell’appropriazione dell’energia.
È quanto rimarcato dalla Cassazione con la sentenza 12599/2020, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen., ord. n. 12599/2020
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Ritenuto in fatto
- che la Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza di prima cura, che aveva condannato M.G. per furto di energia elettrica;
- che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione con riguardo alla prova della responsabilità e dell’aggravante del mezzo fraudolento, nonché in ordine alla prescrizione del reato.
Considerato in diritto
- che il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto relativo a punti irretrattabili della decisione e perché rappresenta, per altri versi, pedissequa riproduzione di quello proposto dinanzi al giudice d’appello e da questi vagliato e disatteso con corretti argomenti giuridici e logica motivazione. Dalla incontestata sintesi della sentenza d’appello si evince, infatti, che M.G. non aveva contestato, in appello, la responsabilità, per cui sul punto si è determinata una preclusione processuale. In ogni caso, poi, il relativo motivo è infondato, atteso che non ha nessun rilievo accertare chi abbia operato la manomissione dell’impianto, rilevando, invece, l’appropriazione dell’energia, che è avvenuta ad opera e a vantaggio dell’imputato, sicché è lui che ne deve rispondere.
Quanto all’aggravante del mezzo fraudolento, correttamente è stato ritenuto che l’allaccio al contatore del condominio, attuato mediante un cavo che fuoriusciva dal salvavita dell’appartamento di M.G., integra l’aggravante in questione, trattandosi indiscutibilmente di un artificio idoneo a superare la divisione delle utenze. Infine, il reato, commesso fino al 31 maggio 2011, non si sarebbe prescritto, anche senza tener conto di eventuali sospensioni, prima del 31 novembre 2018 (mentre la sentenza d’appello è del 16/10/2018).
L’inammissibilità del ricorso rende irrilevante, infine, il tempo successivamente trascorso;
- che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’articolo 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.