[A cura di: avv. Lorenzo Cottignoli, presidente LAIC – legaamministratori.it] L’attuale emergenza sanitaria sta portando con sé importanti conseguenze sul piano gestionale, con riflessi anche gravi nella amministrazione del condominio. Tra queste spicca senz’altro la difficoltà per l’amministratore di esigere il pagamento degli oneri condominiali.
La impossibilità (o possibilità alquanto remota e limitata ad alcuni casi particolari) di poter convocare e tenere validamente assemblee condominiali in condizioni di sicurezza ha sin qui impedito, e potrebbe impedire ancora per diverso tempo, di deliberare in merito all’approvazione del bilancio consuntivo e del riparto preventivo, così paralizzando la possibilità di reclamare l’esazione delle quote nei confronti dei condòmini.
A tale circostanza, già di per sé eccezionale, si aggiunga la crisi economica, per la quale molte famiglie si trovano con redditi limitati o azzerati e in difficoltà a sostenere anche le spese condominiali, usualmente non collocate tra le voci più urgenti nei conti delle famiglie italiane.
Occorre, pertanto, cercare di passare in rassegna gli strumenti a disposizione dell’amministratore, nella condizione attuale, e salvi interventi del Legislatore che non paiono all’orizzonte, per affrontare la crisi di liquidità nella quale versa il condominio, ove non intervengano versamenti volontari da parte di condòmini che, oltre alla consapevolezza del problema e alla volontà di porvi rimedio, abbiano anche disponibilità liquida per farvi fronte.
Un primo piano di lavoro, che potremmo definire “esterno”, potrà essere senz’altro il rapporto con i fornitori, ai quali, come peraltro l’amministratore sarà normalmente già abituato a fare, si potranno chiedere dilazioni e piani di pagamento per la rateizzazione delle spese.
In particolare, per ciò che riguarda i rapporti con i soggetti fornitori di energia elettrica e di gas, nonché con le compagnie di assicurazioni e con gli istituti di credito, viene utile ricordare che, con una recentissima sentenza del 2 aprile 2020 (Causa C-329/19), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, su una questione rimessa alla sua giurisdizione dal Tribunale di Milano, ha riconosciuto al condominio la applicabilità delle normativa relativa al “consumatore”, con tutti i riflessi di maggior tutela che questo comporta in termini di garanzie contrattuali, durata e rescindibilità degli accordi, oltre che naturalmente di presenza e di necessità di duplice sottosrizione delle clausole vessatorie.
Questa nuova qualificazione del condominio, seppure non ancora recepita dalla giurisprudenza italiana, vista la sua assoluta novità, potrà essere fatta valere nella contrattazione col fornitore, il quale potrebbe vedere compromessa la certezza della validità e della permanenza in essere del contratto concluso col condominio e dunque giungere a miti consigli nella definizione delle scadenze di pagamento.
Sull’altro fronte, quello “interno”, dei rapporti con i condòmini sono ipotizzabili tre tipologie di rimedi.
Il primo può essere identificato nell’accordo per un “piano di pagamento” che l’amministratore concordasse con il singolo condomino. Sulla legittimità di tale operato va chiarito che lo stesso appare consentito all’amministratore, nell’esercizio delle sue funzioni di riscossione dei contributi condominiali (ex art. 1130 co. 1 n. 3) c.c.), alla luce del fatto che tali contributi sarebbero volontari e non giuridicamente “certi”, in quanto non approvati dalla assemblea, né accertati dal Giudice.
Vero è, inoltre, come tale tipologia di accordo sia configurabile come un accordo gestorio, nell’ambito del più generale mandato ad amministrare i beni condominiali, mediante il quale l’amministratore, in assenza di delibera assembleare, concorda con i singoli condòmini il pagamento dei contributi, proporzionati alle spese sostenute e da sostenere per l’esercizio in corso, al fine di consentire la prosecuzione dei servizi comuni.
Tale accordo, pertanto non avrebbe natura di accordo conciliativo e/o di accordo transattivo (ai sensi dell’art. 1965 e ss. c.c.) in quanto mancherebbe, se non propriamente il fine di prevenire una lite, certamente il requisito della presenza di reciproche concessioni (nulla avendo il condominio a cui rinunciare), e pertanto non dovrebbe essere sottoposto all’approvazione dell’assemblea. Vieppiù non sarà necessaria l’approvazione dell’assemblea ove sia previsto che tale accordo avrà vigenza sino alla approvazione dei rendiconti e delle rateazioni di spesa che la prima assemblea utilmente convocabile potrà deliberare.
Un secondo strumento potrà essere costituito dall’attivazione, nei confronti dei condòmini insolventi ed inerti rispetto alla proposta di una contribuzione volontaria, di una procedura di mediazione, la quale deve ritenersi consentita all’amministratore, senza espressa autorizzazione di delibera assembleare, in quanto rientrante nell’attività di riscossione dei contributi prevista ex art. 1130 c.c., e che comporterebbe, a ben vedere, una triplice serie di vantaggi.
a. Potrebbe essere rivolta a più condòmini contemporaneamente, senza aggravio di costi per il condominio e consentirebbe la possibilità di interloquire, di confrontarsi e di ascoltare le esigenze di uno o più condòmini, con una concreta aspettativa di riuscita e di conclusione di un accordo per un pagamento volonario, rispetto a costi contenuti, come previsti dalla tabelle ministeriali.
b. Potrebbe essere svolta in forma telematica, ove le parti vi consentissero, in quanto (a differenza delle assemblee condominiali) la normativa emergenziale lo prevede espressamente.
c. Anche laddove nessuno vi aderisse, e dunque sostenendo i soli (ed irrisori) costi dei diritti di segreteria, costituirebbe condizione di procedibilità per l’introduzione di un giudizio civile di accertamento del credito del condominio.
Un terzo strumento, infatti, per recuperare i contributi non approvati dall’assemblea è certamente costituito da un procedimento ordinario, finalizzato all’accertamento in giudizio, così che l’intervento del Giudice sostituisca la delibera assembleare, costituendo, con sentenza, il titolo esecutivo necessario al pagamento delle quote.
Peraltro, solo introducendo un ordinario giudizio di cognizione, e dunque notificando un atto di citazione, normalmente avanti al Giudice di Pace (con minor costo, in quanto non vi è la necessità di iscrizione a ruolo immediata della causa), si potrebbe attivare un effetto deterrente che convinca il condòmino moroso a trovare soluzioni bonarie, prima della costituzione in giudizio, onde evitare la condanna al pagamento delle spese condominiali, gravate da ulteriori spese legali.
In tale sede, naturalmente, si produrranno i giustificativi delle spese sostenute dal condominio e di quelle già scadute e non contestate, ed un piano di riparto delle stesse, secondo le tabelle millesimali, chiedendo al Giudice la condanna del condòmino, pro quota.
Vero è che, in luogo del giudizio di accertamento ordinario, è esperibile, con diversa strategia, anche la strada del decreto ingiuntivo, seppure non ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., ma dell’art. 633 e ss. c.p.c., per l’ottenimento del quale non sarà necessario il previo esperimento della procedura di mediazione.
In tale sede, costituendo “in giurisprudenza “jus receptum” il principio secondo cui prova scritta, ai fini della pronuncia del decreto ingiuntivo, è qualsiasi documento proveniente dal debitore o da un terzo, che abbia intrinseca legalità, purché idonea a dimostrare il diritto fatto valere” (Cass. Civ. 4638/2001 sulla emissione di decreto ingiuntivo per quote condominiali, in assenza della produzione del piano di riparto), si dovranno parimenti produrre i giustificativi delle spese già sostenute dal condominio e/o di quelle scadute e non contestate, con la relativa tabella millesimale, per richiedere al giudice l’emissione di un provvedimento monitorio che, salva la dimostrazione del requisito del “grave pregiudizio nel ritardo” del pagamento (ai sensi dell’art. 642 c.p.c), non potrà essere con certezza emesso con provvisoria esecutorietà.
Il requisito della esecutorietà si acquisirà, tuttavia, decorsi 40 giorni dalla notificazione, in assenza di opposizione e si sarà pertanto costituito quel titolo esecutivo che l’assenza di una delibera assembleare sembrerebbe impedire.