[A cura di: avv. Gerardo Michele Martino – presidente Mapi, Movimento amministratori e proprietari immobili] L’infezione in atto da Covid-19 sembra aver sconvolto, oltre alle nostre vite quotidiane anche l’assetto dell’associazionismo condominiale. Associazionismo al quale va dato il merito storico di aver creato e sostenuto una professione, di fatto poco riconosciuta dalla legislazione previgente alle Leggi 220/2012, anche detta riforma del condominio e 4/2013 Legge di regolamentazione delle professioni non organizzate.
Purtroppo, il sistema non sembra aver retto alle riforme legislative; l’ingesso nel mondo condominiale di nuovi enti di rappresentanza ha creato un clima in cui sembra regnare la reciproca delegittimazione. Ogni attore già attivo nell’assetto precedente, a parere di chi scrive, ha visto come minaccia l’apertura alla liberalizzazione associativa; allo stesso tempo i nuovi protagonisti hanno, dal canto loro, favorito l’equivoco evidenziando nuove terminologie e asimmetrie che forse hanno preoccupato e incentivato il ritorno alla liturgia dell’amministratore di condominio “puro”.
A parer di chi scrive la questione andrebbe argomentata al riparo da ipocrisie. Innanzitutto, va rilevato che la libertà di associazione è espressamente prevista e regolata dall’articolo 18 della nostra Carta costituzionale.
Effettivamente alcune iniziative provengono da persone con pregresse esperienze in associazioni storiche. Ma questo è un fenomeno normale: il sistema associativo è un sistema, in via di principio, non finalizzato allo scopo di lucro, quindi non esiste alcun patto di non concorrenza, anzi negli ambienti professionali e universitari è molto frequente la figura del praticante o dell’assistenze che dopo aver seguito per un tempo le indicazioni e i destini del proprio dominus prende una strada autonoma.
Altro argomento debole sembra ritenersi la critica di eccessiva parcellizzazione della compagine associativa, la circostanza è evidente non solo nella realtà condominiale. Anche in politica e nel sindacato e nelle altre forme di rappresentanza si è in presenza della continua nascita di nuove entità rappresentative, nate spesso da scissioni avvenute da realtà più strutturate. Allo stesso tempo si dimentica che una rappresentanza associativa risponde principalmente ai propri associati e non ai terzi. Se gli associati di una struttura sono soddisfatti dei servizi, nessun esterno ha il diritto di intervenire per giudicarne la reale rappresentatività.
Effettivamente i contrasti che attualmente condizionano le realtà associative degli amministratori di condominio sembrano dimenticare gli effetti benefici delle leggi di riforma. Innanzitutto, La Legge 220/2012, che ha imposto agli amministratori non condomini dello stabile l’obbligo di partecipare ad un corso di formazione iniziale e a progetti di formazione periodica. La norma avrebbe potuto, a parere di chi scrive estendere l’obbligo anche agli amministratori condòmini, ma questo non ne limita la portata positiva.
Prevedere un obbligo formativo a dispetto di quanto indicato nella versione precedente della norma sicuramente contribuisce a qualificare la mansione, dando contributo sostanziale alla sopravvivenza delle rappresentanze associative le quali potranno organizzare percorsi formativi di aggiornamento dedicati ai propri iscritti e cercare nuove adesioni attraverso l’organizzazione di corsi di formazione iniziale.
Ulteriore elemento di novità è stato dato al sistema con la Legge n. 4/2013, che ha notevolmente migliorato la regolamentazione dell’attività libero professionale. Ai fini della presente legge, per «professione non organizzata in ordini o collegi», si intende l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’articolo 2229 del Codice civile, delle professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative.
Presso il Ministero dello Sviluppo Economico è stato istituito un elenco di associazioni rappresentative dei professionisti non regolamentati, tra cui gli amministratori di condominio, che dichiarano di possedere alcune caratteristiche a garanzia degli aderenti e dei consumatori utenti.
In questo modo le associazioni professionali si conformano alle finalità che la legge rimette loro, anche per consentire agli utenti e agli stessi professionisti la conoscenza di elementi utili sugli organismi che, tra gli altri, riuniscono gli operatori del mercato dei servizi professionali.
Alla luce di quanto detto l’attuale sistema è nettamente migliore del precedente e ha dato un giusto riconoscimento a chi esercita l’attività di amministratore e alle associazioni che ne tutelano e rappresentano gli interessi.
Quindi perché tante polemiche?
In realtà non è chiaro. È indubbio che il numero delle associazioni sia aumentato, ma molte di queste nuove organizzazioni si sono sottoposte alle dovute verifiche, hanno dichiarato di rispettare dei parametri e sono state inserite negli elenchi del Mise.
Partendo da questo presupposto non è possibile attuare alcuna discriminazione: ogni iniziativa che miri ad aggregare e a costituire un coordinamento fra le varie forze rappresentative degli amministratori di condominio dovrebbe partire dagli elenchi ministeriali, costruendo un tavolo inclusivo, tra tutte le associazioni presenti, che possa farsi seria controparte alle forze politiche.
Almeno in questo caso potrebbe superarsi l’assunto Orwelliano secondo cui: “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.