Il contribuente che compra una pertinenza di un immobile abitativo, usufruendo della tassazione secondo il criterio del “prezzo valore” e, subito dopo l’acquisto, dona il bene appena acquistato, perde il beneficio del “prezzo valore” (in forza del quale l’imposta di registro viene calcolata tenendo conto del “valore catastale” dell’immobile acquistato) ed è tenuto al pagamento delle imposte calcolate sul prezzo di acquisto.
È quanto sancito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 8073 del 23 aprile 2020, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V civ., sent. 23.4.2020,
n. 8073
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1. Con sentenza n. 92/8/13, depositata il 10 luglio 2013, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, in accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle Entrate, ha integralmente riformato la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva annullato un avviso di rettifica e liquidazione emesso in relazione ad un contratto di compravendita che, ai fini delle imposte di registro ed ipocatastali, era stato tassato ai sensi della l. n. 266 del 2005, art. 1, c. 497 (con definizione automatica del valore sulla base imponibile catastale).
Ha rilevato il giudice del gravame che l’immobile, così acquistato, non poteva essere considerato pertinenza dell’abitazione della contribuente che, in immediata successione all’acquisto, lo aveva donato alla propria figlia.
2. Per la cassazione della sentenza ricorre G.T. che articola tre motivi di ricorso. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
1. Col primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 817 cod. civ. e della l. n. 266 del 2005, art. 1, c. 497, deducendo, in sintesi, che, in relazione a dette disposizioni normative, la nozione di pertinenza deve essere correlata al momento dell’acquisto – con vincolo legittimamente costituito a detto momento in ragione della separata negoziabilità delle pertinenze – e senz’alcuna implicazione in conseguenza dei successivi atti di disposizione.
Il secondo motivo reca la denuncia di violazione del d.p.r. n. 131 del 1986, art. 52, cc. 4 e 5 bis, sul rilievo che dette disposizioni precludono l’esercizio del potere di rettifica «in presenza della regola prezzo-valore».
Col terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 818, c. 2, cod. civ., deducendo, in sintesi, che l’evocazione, nella gravata sentenza, del principio antielusivo fondato sull’abuso del diritto non trovava, nella fattispecie, riscontro né in una specifica disposizione rilevante (ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro) né in una qualche dimostrazione di un indebito vantaggio fiscale.
2. I tre motivi di ricorso – che vanno congiuntamente trattati in quanto afferiscono a distinti profili della medesima fattispecie regolatoria – sono destituiti di fondamento e vanno senz’altro disattesi.
3. Occorre premettere che la ricorrente non assolve all’onere di autosufficienza del ricorso quanto alla concreta fattispecie negoziale che è stata sottoposta a rettifica fiscale, avuto riguardo, nello specifico, alla identificazione dell’oggetto tanto del contratto di compravendita concluso il 2 settembre 2011 quanto del successivo atto di donazione (oggetto, questo secondo, che viene prospettato come integrante «una parte» del «fabbricato» acquistato; v. il ricorso, fol. 8).
Diversamente da una siffatta prospettazione, la gravata sentenza ha statuito su fattispecie negoziale connotata dall’acquisto di un «immobile … separatamente donato alla figlia dell’acquirente con atto stipulato nella medesima giornata, subito dopo l’atto di acquisto» (v. a fol. 1); e, in termini ancor più specifici, l’Agenzia delle Entrate riferisce che la ricorrente «acquistava … la piena proprietà dell’immobile composto da locale ripostiglio con annesso portico al piano terra e locale deposito ed accessori al primo piano, di consistenza mq. 121», immobile che «immediatamente dopo, come si evince dal numero di repertorio riportato nell’atto di donazione nonché dalla medesima data di sottoscrizione … veniva donato alla propria figlia» (v. il controricorso, fol. 3 s.).
3.1. Tanto premesso – ed emergendo, allora, una vicenda giuridica connotata dall’acquisto (col regime tributario del c.d. Prezzo valore) di un bene indicato come pertinenza di una (non meglio identificata) «abitazione di proprietà della stessa acquirente» che, però, in immediato seguito all’acquisto di quello stesso bene disponeva in favore di altri (la propria figlia) con atto di donazione – deve rilevarsi, innanzitutto, che la Corte, in difetto di una specifica disposizione tributaria, ha tratto la nozione di «pertinenza» dalla nozione generale prefigurata dall’art. 817 cod. civ. (omissis).
Si è, così, statuito – in aderenza ai principi espressi con riferimento all’art. 817 cod. civ. (omissis) – che «l’effettiva e concreta destinazione della cosa al servizio ed ornamento dell’altra debba essere considerata una relazione implicante oltre che aspetti oggettivi anche aspetti soggettivi, riferibili alla volontà dell’avente diritto» (così Cass., 3 marzo 2014, n. 4892; Cass., 26 novembre 2007, n. 24545); e, più specificamente, che l’accertamento del vincolo pertinenziale si fonda sui «presupposti di cui all’art. 817 c.c., desumibili da concreti segni esteriori dimostrativi della volontà del titolare, consistenti nel fatto oggettivo che il bene sia effettivamente posto, da parte del proprietario del fabbricato principale, a servizio (o ad ornamento) del fabbricato medesimo» (omissis).
3.2. Nella fattispecie la costituzione del vincolo pertinenziale (v., in particolare, Cass., 28 aprile 2006, n. 9911; Cass., 9 maggio 2005, n. 9563) difettava di entrambi i cennati requisiti e, dunque, avuto riguardo tanto all’elemento oggettivo – non essendosi mai stabilito un effettivo rapporto di servizio col bene principale (peraltro nemmeno specificamente indicato, come si è già rilevato, dalla parte ricorrente) – quanto all’elemento soggettivo, – involto dalla effettiva volontà, del titolare del diritto di proprietà, di destinare la res al servizio o all’ornamento del bene principale -; e ciò in ragione, così come ha correttamente rilevato il giudice del gravame, della pressoché contestuale cessione di quella stessa res (in tesi da destinare durevolmente a servizio o ad ornamento della cosa principale) che, così, non è mai stata posta (nemmeno nella prospettiva dell’obiettiva utilità da procurare) in un rapporto pertinenziale con l’altro bene.
3.3. In un siffatto contesto negoziale – che non implicava i denunciati limiti al potere di rettifica in ragione dell’inconfigurabilità di una pertinenza di immobile ad uso abitativo (l. n. 266 del 2005, art. 1, c. 497; d.p.r. n. 131 del 1986, art. 52, c. 5 bis) – il riferimento operato dalla gravata sentenza alla figura dell’abuso del diritto risulta (tutto) interno al precedente giurisprudenziale evocato (Cass., 29 ottobre 2010, n. 22128) e, ad ogni modo, trova soluzione (conforme il dispositivo a diritto) nella sopra ricostruita nozione di pertinenza.
(omissis)
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 2.900, oltre spese prenotate a debito, rimborso spese generali di difesa ed oneri accessori, come per legge.