Un proprietario danneggiato cerca di coinvolgere l’amministratore di condominio in quanto mandatario del condominio ma la Cassazione, pur ritenendo provato che i danni erano riconducibili a parti comuni dell’edificio, respinge la richiesta, richiamando peraltro la sentenza di primo grado, secondo cui il professionista “si era attivato e prodigato nell’immediatezza del fatto per scongiurarne gli effetti dannosi”.
Di seguito un estratto dell’ordinanza 11590 del 15 giugno 2020.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III civ., ord. 15.6.2020,
n. 11590
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B.F. ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Trieste n. 934 del 21712/2017 che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto provata, sia pur parzialmente, la riconducibilità dei danni subìti dall’appartamento di sua proprietà, in conseguenza di due crolli che avevano interessato il soffitto in data 1/3/2013 e 8/4/2013, a parti comuni dell’edificio, con ciò configurando la responsabilità, in parte qua, del Condominio di via … ai sensi dell’art. 2051 c.c., in ragione del rapporto di custodia tra il Condominio ed il bene immobile, in mancanza di prova del caso fortuito.
Per quel che ancora qui di interesse, l’impugnata sentenza, ritenuta provata la riconducibilità causale dei danni a parti comuni dell’edificio, ha basato la propria ratio decidendi sull’art. 2051 c.c., ha ritenuto inammissibile il motivo di appello con cui si chiedeva l’accertamento della responsabilità dell’amministratore del Condominio (Studio S.), in relazione al suo ruolo di mandatario, in ragione del fatto che la domanda introduttiva del giudizio di primo grado si era basata esclusivamente sull’art. 2051 c.c. e che, solo tardivamente, con una sostanziale mutatio libelli, l’attore aveva, con la memoria ex art. 183 c.p.c., introdotto la nuova e diversa domanda fondata sulla responsabilità del mandatario. (omissis).
Avverso la sentenza B.F. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resistono, con distinti controricorsi, lo Studio S. ed il Condominio di via ….
1. Con il primo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 c.p.c. e 1130, 1131 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., “motivazione apparente, perplessa ed incomprensibile sul punto della responsabilità dell’amministratore”.
Il ricorrente assume che, illegittimamente, la sentenza d’appello abbia escluso la responsabilità dell’amministratore del Condominio quale mandatario del medesimo ex artt. 1130 e 1131 c.c., omettendo di pronunciare l’obbligo ex lege e dunque indipendente da una domanda giudiziale, di attivarsi, effettuare i lavori di manutenzione e compiere gli atti conservativi; e che, pure illegittimamente, la sentenza abbia ritenuto tardiva la domanda, introdotta con l’art. 183, co. 5 c.p.c., volta ad acclarare la responsabilità dell’amministratore quale mandatario ex art. 1710 c.c., alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Cass., U., 15 giugno 2015 n. 12310) secondo la quale sarebbero ammissibili le modificazioni della domanda introduttiva, pure incidenti sulla causa petendi o sul petitum, con l’unico limite che l’originario elemento identificativo soggettivo delle persone rimanga immutato e che la vicenda sostanziale sia uguale o quantomeno collegata a quella dedotta con l’atto introduttivo. Ciò premesso, il Giudice avrebbe errato nel ritenere che, introdotta la domanda ex art. 2051 c.c. nei confronti del Condominio e dell’amministratore, quella formulata nei confronti di quest’ultimo ex art. 1710 c.c., nei termini ex art. 183, 5° co. c.p.c., fosse domanda nuova.
1.1. II motivo è inammissibile per plurimi e distinti profili.
Innanzitutto per difetto di autosufficienza ai sensi dell’art. 366 n. 3 e n. 6 c.p.c. in quanto non riporta né l’esposizione sommaria dei fatti della causa né la specifica indicazione degli atti processuali sui quali il motivo si fonda, non ponendo questa Corte in grado di desumere, dalla stesura del ricorso, se vi sia stata o meno una mutatio libelli.
In secondo luogo è inammissibile in quanto non censura adeguatamente l’impugnata sentenza, deducendo ex art. 345 c.p.c., un novum in appello che non sussiste. Il Tribunale in primo grado aveva dato atto che l’amministratore del condominio si era in vario modo attivato e prodigato nell’immediatezza del fatto per scongiurarne gli effetti dannosi, escludendo ogni motivo di addebito ex art. 2051 c.c. nei confronti del Condominio e del suo amministratore, mentre l’amministratore aveva dichiarato di non accettare il contraddittorio sulla domanda formulata tardivamente in relazione alla diversa causa petendi della sua responsabilità come mandatario.
In appello l’amministratore del Condominio, resistendo all’impugnazione, aveva evidenziato che l’unica domanda risarcitoria formulata nei propri confronti era quella ex art. 2051 c.c. in quanto, evocato in giudizio sulla base di quella causa petendi, aveva dichiarato, come riferito, di non accettare il contraddittorio rispetto alla diversa domanda, introdotta tardivamente, relativa alle sue responsabilità di mandatario. Il Giudice d’Appello ha dichiarato inammissibile il motivo di appello relativo alla responsabilità dell’amministratore perché le statuizioni sull’assenza di responsabilità ex art. 2051 c.c. non erano state impugnate, mentre quella relativa al rapporto di mandato era inammissibile per tardività. Appare evidente che non vi é stata alcuna violazione dell’art. 345 c.p.c. perché la Corte d’Appello ha ritenuto l’inammissibilità del motivo non per un novum in grado d’appello ma per la tardiva formulazione in primo grado della questione della responsabilità dell’amministratore quale mandatario.
(omissis)
4. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del c.d. raddoppio del contributo unificato.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in favore di ciascuna parte resistente in euro 4.200, oltre accessori di legge e spese generali al 15%.