[A cura di: Alessandro Di Francesco, direttore Centro studi BmItalia e Monica Tatiana Mandanici, segretario nazionale BmItalia – bmitalia.net] La Presidenza del Consiglio dei Ministri avrebbe confermato che le “riunioni” di cui al punto 10 dell’art.1 del DL 33 del 16/05/2020 comprenderebbero anche le assemblee di condominio a condizione che venga garantito il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.
Tale assunto sembrerebbe in contraddizione con quanto previsto al punto 8 del medesimo articolo secondo il quale è vietato l’assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
Non in ultimo, una faq del Governo di inizio giugno avrebbe avuto l’intenzione di chiarire ogni dubbio, anche se non ci è chiaro il passaggio che farebbe innalzare, nella gerarchia delle fonti, le faq governative a un grado superiore rispetto a leggi, decreti legge e dpcm.
In sostanza, il Governo pare continuare a non prendere in esame la specificità e la particolarità dello svolgimento di un’assemblea condominiale.
Il Centro Studi della BMItalia ha cercato di analizzare la questione partendo col fare un po’ di chiarezza in merito alle terminologie utilizzate.
Il Governo intende con il termine “assembramento” tutti gli incontri tra più di due persone che non garantiscono la distanza di sicurezza di almeno un metro, sia che ci si trovi all’aperto, sia che ci si trovi in un luogo pubblico o privato.
Nel linguaggio corrente, poi, i termini “riunione” e “assemblea” sono correntemente utilizzati come sinonimi, ma in realtà il termine “riunione” ha una valenza molto generica, mentre il termine “assemblea” è caratterizzato da elementi di specificità che portano più persone a riunirsi per discutere e deliberare su affari di interesse comune o collettivo (assemblee condominiali, societarie, sindacali etc). L’esperienza ci dimostra che il legislatore, ben conoscendo il significato dei suddetti termini li ha tenuti distinti quando ha voluto specificatamente trattarne.
Fatta questa doverosa puntualizzazione, seppure con qualche dubbio si ritiene che nel pieno rispetto dei protocolli più avanti citati, in punta di diritto teoricamente le assemblee di condominio potrebbero essere convocate. Ma a quale prezzo?
La convocazione di assemblea è curata dall’amministratore del condominio ogni qualvolta ne rilevi le necessità ovvero quando richiestogli da almeno due condòmini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio; la sua presenza in assemblea è obbligatoria solo nel caso in cui si debba approvare il rendiconto della sua gestione, non essendo dunque tenuto ad intervenire in assemblee che abbiano argomenti diversi da quello sopra menzionato all’ordine del giorno (rimane una valutazione di opportunità circa una sua eventuale assenza).
Ma tutte le responsabilità di carattere sanitario conseguenti alla costituzione di un assembramento di persone in capo a chi graverebbero? Se l’amministratore non fosse presente, la corretta applicazione dei protocolli sanitari previsti, presumibilmente, graverebbe sul presidente e sul segretario dell’assemblea. Al più si potrebbe suggerire all’amministratore di fornire nella stessa convocazione di assemblea opportuna informativa circa la necessità di rispettare tali obblighi.
Al contrario, se l’amministratore dovesse essere presente permarrebbero forti dubbi su chi dovesse essere investito da tali responsabilità, in relazione al luogo prescelto per l’adunanza. Certo è che se l’assemblea avesse luogo presso lo studio dell’amministratore si tratterebbe di una “riunione in sede privata” e quindi l’amministratore si troverebbe davanti a reali responsabilità, che certamente rivestono anche e soprattutto l’aspetto penale, se non in via esclusiva quanto meno in via concorrente..