Se la fruizione di un nuovo impianto diventa impossibile per ragioni tecniche, il condomino non deve più partecipare ad alcuna spesa di riscaldamento, ed è nulla la delibera assembleare che gli addebita costi.
È inoltre nulla la clausola del regolamento condominiale (e di conseguenza la delibera che vi dia applicazione) che vietino in radice al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 31.8.2020,
n. 18131
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G.V. ha proposto ricorso articolato in un unico motivo munito di rubrica, e poi suddiviso i cinque paragrafi, contro la sentenza n. 1830/2015 della Corte d’appello di Torino, depositata il 20 ottobre 2015. Resistono con distinti controricorsi il Condominio …, e la S.. s.r.l. in liquidazione.
La Corte d’appello di Torino ha pronunciato: 1) sull’appello avanzato dal Condominio …, avverso la sentenza n. 1637/2013 del Tribunale di Torino (accogliendo il gravame e così respingendo l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 59/2008 intimato al G.V. per spese di riscaldamento degli esercizi dal 2001 al 2007); 2) sull’appello formulato da G.V. contro la sentenza n. 2829/2013 del Tribunale di Torino (rigettando l’appello e così respingendo l’impugnazione ex art. 1137 c.c. spiegata dal G.V. con riguardo alla delibera di approvazione del consuntivo 2007/2008, che poneva a carico della proprietà G.V. una quota per la gestione del riscaldamento).
L’impugnata sentenza della Corte d’appello di Torino, dopo aver esposto da pagina 5 a pagina 32 i fatti di causa, ha evidenziato in motivazione come:
(omissis)
(omissis)
I. L’unico motivo del ricorso di G.V. che abbia una specifica rubrica – nella quale vengono indicate le norme di diritto su cui si fondano le censure e vengono esposti i vizi denunciati mediante richiamo alle tassative categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c. – si trova a pagina 22 dell’atto di impugnazione. Esso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1117, 1118, 1120, 1138, 1362 e ss. c.c., degli artt. 112, 115, 345 comma 3 c.p.c., dell’art. 143 disp. att. c.p.c., ed ancora l’omessa, insufficiente e contradditoria motivazione, il “vizio logico di ragionamento” e l’omesso esame circa un fatto decisivo. Il ricorrente deduce la manifesta contraddittorietà della sentenza impugnata, per aver sostenuto che non poteva essere ritenuto in alcun modo legittimo il “distacco” della proprietà G.V. dall’impianto centralizzato, in quanto la stessa non era mai stata “allacciata” alla nuova caldaia sostituita nel 2000/2001. Le condizioni di legittimità del distacco erano state al contrario, secondo il ricorrente, verificate dal CTU, sicché egli doveva ritenersi obbligato a partecipare alle sole spese di conservazione dell’impianto.
Seguono alla premessa unitaria del ricorso cinque paragrafi.
(omissis)
I.2. Il primo motivo di ricorso, con le specificazioni di cui al paragrafo “a) il debito per riscaldamento”, è fondato nei termini di seguito indicati.
La sentenza della Corte d’appello di Torino è errata nella parte in cui ha sostenuto che fosse comunque illegittimo il distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato effettuato dal condomino G.V., ovvero il “mancato collegamento” della unità immobiliare di proprietà G.V. all’impianto condominiale dopo la sostituzione della caldaia nel 2001, alla stregua dell’art. 10 del regolamento di condominio, secondo cui “... è obbligatorio servirsi dell’impianto di riscaldamento centralizzato per il periodo di accensione e per la resa termica prevista dalle vigenti norme, eventuali deroghe, se possibile, dovranno essere approvate all’unanimità dai singoli utenti. Nessun condomino può rinunciare all’utilizzo del riscaldamento centralizzato, anche se temporaneamente…”, nonché della revoca di ogni autorizzazione al distacco deliberata dall’assemblea del 12 ottobre 2000.
La Corte d’appello di Torino ha deciso la questione di diritto ad essa devoluta senza tener conto del consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale, già prima dell’entrata in vigore del novellato art. 1118, comma 4, c.c. introdotto dalla legge n. 220 del 2012, si riconosce a ciascun condomino il diritto di rinunziare legittimamente all’uso del riscaldamento centralizzato e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione od approvazione degli altri condòmini, se sia provato che dal distacco non derivano né un aggravio di spesa per gli altri condòmini né uno squilibrio di funzionamento, restando in tal caso fermo soltanto l’obbligo del concorso nel pagamento delle spese occorrenti per la conservazione e la manutenzione straordinaria dell’impianto.
Sono conseguentemente nulle, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune, la clausola del regolamento condominiale, come la deliberazione assembleare che vi dia applicazione, che vietino in radice al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, seppure il distacco non cagioni alcun notevole squilibrio termico né aggravio di gestione per gli altri partecipanti. Secondo l’interpretazione giurisprudenziale di questa Corte, infatti, la disposizione regolamentare che contenga un incondizionato divieto di distacco si pone in contrasto con la disciplina legislativa inderogabile emergente dagli artt. 1118, comma 4, c.c., 26, comma 5, I. n. 10 del 1991 e 9, comma 5, d.lgs. n. 102 del 2014 (come modificato dall’art. 5, comma 1, lettera i, punto i, del d.lgs. 18 luglio 2016, n. 141), diretta al perseguimento di interessi sovraordinati, quali l’uso razionale delle risorse energetiche ed il miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale, e sarebbe perciò nulla o “non meritevole di tutela” (omissis).
È altrimenti incomprensibile la conclusione cui perviene la Corte d’appello di Torino, quando afferma che il condomino G.V. non poteva essersi legittimamente distaccato dall’impianto centralizzato di riscaldamento, e doveva perciò continuare a sostenerne le spese di funzionamento, in quanto, a seguito della sostituzione della caldaia avvenuta nel 2001, la proprietà G.V. non era proprio più collegata con il rinnovato impianto centrale condominiale: in sostanza, si legge nella sentenza impugnata: “l’impianto di riscaldamento G.V. non fu mai collegato ‘prima’ (a caldaia sostituita) e distaccato ‘dopo’ (sempre a caldaia sostituita) dall’impianto di riscaldamento centrale”.
Di regola, si spiega che il condomino rimane obbligato a pagare le sole spese di conservazione dell’impianto di riscaldamento centrale (ad esempio, proprio quelle per la sostituzione della caldaia), anche quando sia stato autorizzato a rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto comune, atteso che l’impianto centralizzato costituisce un accessorio di proprietà comune, al quale il predetto potrà comunque, in caso di ripensamento, riallacciare la propria unità immobiliare (Cass. Sez. 2, 29/03/2007, n. 7708).
Se, tuttavia, in seguito ad un intervento di sostituzione della caldaia dell’impianto termico centralizzato, il mancato allaccio di un singolo condomino non si intenda quale volontà unilaterale dello stesso di rinuncia o distacco, ma appaia quale conseguenza della impossibilità tecnica di fruizione del nuovo impianto condominiale a vantaggio di una unità immobiliare, restando impedito altresì un eventuale futuro riallaccio, deve ritenersi che tale condomino non sia più titolare di alcun diritto di comproprietà sull’impianto, e non debba perciò nemmeno più partecipare ad alcuna spesa ad esso relativa, essendo nulla la delibera assembleare che addebiti le spese di riscaldamento ai condòmini proprietari di locali cui non sia comune l’impianto centralizzato, né siano serviti da esso (Cass. Sez. 2, 03/10/2013, n. 22634; Cass. Sez. 2, 10/05/2012, n. 7182).
(omissis)
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, “paragrafo a)”, dichiara inammissibili i motivi di cui ai paragrafi “b)”, “c)” e “d)”, dichiara assorbito il motivo di cui al paragfrafo “e)”; cassa la sentenza impugnata limitatamente alle censure accolte e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.