La condanna per il reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone emessa a carico del gestore di un locale notturno adiacente a un condominio non implica la prova dell’effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato.
È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 26077/2020, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III pen., sent. n. 26077/2020
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1. Con sentenza del 5 febbraio 2018, il Tribunale di Trieste condannava E.M., con i doppi benefici di legge, alla pena di 300 euro di ammenda, in quanto ritenuta colpevole del reato di cui all’art. 659 cod. pen., a lei contestato perché, nella sua qualità di gestore del locale denominato “Osteria …”, disturbava la quiete pubblica, diffondendo in orario notturno musica ad alto volume, con grave pregiudizio degli abitanti della zona cui veniva impedito il riposo, nonché omettendo di intervenire nei confronti di numerosi avventori che stazionavano nei pressi del locale e che schiamazzavano sino alla prime ore del mattino; in Trieste dal maggio 2012 al maggio 2015.
2. Avverso la sentenza del Tribunale giuliano, la E.M., tramite il proprio difensore, ha proposto appello, che, con ordinanza del 17 ottobre 2019 della Corte di Appello triestina, è stato convertito in ricorso per cassazione.
Sono stati sollevati quattro motivi.
Con il primo, oggetto di doglianza è la formulazione del giudizio di colpevolezza della E.M., osservandosi che il Tribunale aveva operato una erronea valutazione delle risultanze probatorie, atteso che alcuni condòmini, come ad esempio il signor B., non hanno percepito alcun rumore molesto, per cui il reato contestato non poteva ritenersi sussistente, essendo necessario che il disturbo turbi la pubblica quiete e non solo quelle di alcune persone più sensibili al fenomeno; inoltre, la difesa rimarca l’assenza di accertamenti tecnici di misurazione dell’entità del rumore, il che impedirebbe parimenti di ritenere configurabile il reato contestato, non potendo il dato del superamento della normale tollerabilità essere ancorato a valutazioni di carattere soggettivo.
Con il secondo motivo, la difesa deduce la violazione dell’art. 131 bis cod. pen., evidenziando che i fatti contestati all’imputata, sebbene reiterati, ben potevano comunque essere qualificati in termini di particolare tenuità.
(omissis)
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
1. Iniziando dal primo motivo, deve ritenersi che l’affermazione della penale responsabilità dell’imputata in ordine alla contravvenzione a lei contestata non presente criticità rilevabili in questa sede.
Il Tribunale, infatti, ha operato una compiuta disamina delle fonti dimostrative raccolte, richiamando le convergenti dichiarazioni dei testi M.H (e altri), i quali hanno confermato la prolungata esistenza di rumori e schiamazzi provenienti dal locale “Osteria …” di Trieste, gestito, fino al 2016, dall’imputata E.M.; la situazione si è protratta per diversi anni, tanto è vero che, nel verbale dell’assemblea del condominio di via … del 10 novembre 2014, si dava atto della richiesta dei condòmini di segnalare alla Polizia Municipale i rumori e gli schiamazzi provenienti dall’Osteria.
Peraltro, il brig. B. ha riferito di essere intervenuto nel locale il 23 dicembre 2014 e di aver constatato nell’occasione l’esistenza di rumori molesti.
Partendo da tali acquisizioni probatorie, il giudice monocratico è pervenuto alla coerente conclusione della sussistenza del reato contestato, a nulla rilevando che non sia stato disposto nel caso di specie un accertamento fonometrico, essendo sufficienti le sette concordi testimonianze delle persone residenti vicino al locale.
Al riguardo, deve infatti rilevarsi che, come precisato più volte da questa Corte (Sez. 3, n. 45262 del 12/07/2018, e Sez. 3, n. 8351 del 24/06/2014, dep. 2015), l’affermazione di responsabilità per il reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone non implica, attesa la natura di illecito di pericolo presunto, la prova dell’effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato, con la conseguenza che la prova del disturbo può essere liberamente raggiunta, purché il convincimento del giudice sia sorretto da adeguata motivazione, come avvenuto nel caso di specie, stante il pertinente richiamo a un numero non esiguo di dichiarazioni dei soggetti interessati, ciascuno dei quali ha confermato l’esistenza degli schiamazzi, pur risiedendo in abitazioni diverse, tutte però limitrofe al locale gestito dalla E.M..
Né appare ravvisabile alcun travisamento rispetto alla testimonianza del teste B., la cui deposizione non si è rivelata incoerente con le altre, fermo restando che la censura sul punto è stata formulata in modo del tutto generico.
In definitiva, in quanto preceduto da una corretta analisi delle prove acquisite e sorretto da considerazioni non irrazionali, il percorso argomentatívo della sentenza impugnata resiste alle obiezioni difensive, con le quali, invero in termini assertivi e non adeguatamente specifici, si propone sostanzialmente una lettura diversa del materiale probatorio, che tuttavia non può ritenersi consentita in sede di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015).
2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Il Tribunale ha infatti escluso l’applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. richiamando la reiterazione della condotta illecita (contestata da maggio 2012 a maggio 2015, dunque lungo un arco temporale di ben 3 anni), ciò in sintonia con la condivisa affermazione di questa Corte (Sez. 3, n. 48315 dell’11/10/2016), secondo cui l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen. non può essere dichiarata rispetto al reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (art. 659 cod. pen.) in caso di reiterazione della condotta, in quanto si configura, in tale evenienza, una ipotesi di “comportamento abituale”, ostativa al riconoscimento del beneficio.
(omissis)
5. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso proposto nell’interesse della E.M. deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
(omissis)
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.