Alla seconda scadenza, il condominio, proprietario di un immobile, non rinnova il contratto di locazione all’Autocarrozzeria che lo aveva preso in affitto adibendolo ad ufficio amministrativo. L’impresa pretende l’indennità di avviamento, ma la Cassazione conferma il principio secondo cui il diritto all’indennità è escluso in tutti i casi in cui l’attività sia svolta in immobili complementari o accessori di altri e nei quali l’accesso al pubblico sia meramente accessorio all’attività imprenditoriale principale.
Di seguito un estratto dell’ordinanza 20732/2020.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III civ., ord. 30.9.2020,
n. 20732
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Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c. del 3/4/2013 l’Autocarrozzeria s.n.c., premesso di aver condotto in locazione un locale a piano terreno ad “uso ufficio amministrativo”, di proprietà del Condominio … e di aver ricevuto disdetta dal locatore alla scadenza del secondo sessennio, agì nei confronti del locatore per il riconoscimento dell’indennità di avviamento ex art. 34 L. n. 392/78 pari alla somma complessiva di euro 7.621,71, sul presupposto che l’immobile locato, adibito ad ufficio amministrativo di una autofficina sita nei pressi, fosse destinato ad un uso comportante contatti con il pubblico degli utenti e dei consumatori.
Costituitosi il contraddittorio con il Condominio, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 24693 del 2014, rigettò la domanda sostenendo che l’immobile locato era meramente accessorio e strumentale a quello – officina – in cui si svolgeva l’attività aperta al pubblico e che, essendo l’ufficio amministrativo privo di insegna o di richiamo commerciale all’autofficina, esso non aveva autonoma idoneità ad attirare pubblico e clientela, di guisa che il ricorrente non poteva duplicare l’eventuale indennità di avviamento spettante per il locale principale.
La Corte d’Appello di Roma, adita da Autocarrozzeria, con sentenza n. 1909 del 2017, ha rigettato tutti i motivi di appello volti, sostanzialmente, a far dichiarare che l’attività svolta nell’ufficio amministrativo fosse non “accessoria” ma “funzionale” all’attività di impresa unitariamente considerata, di guisa da escludere una duplicazione di indennità. La Corte territoriale ha escluso che la connotazione “ufficio amministrativo” implicasse che le parti lo avessero inserito nell’ambito dell’attività imprenditoriale svolta dalla conduttrice a contatto diretto con il pubblico; ha ritenuto che la ricorrente non aveva dimostrato, essendo suo specifico onere, che il locale fosse aperto al pubblico ed autonomo collettore di clientela; che non sussistevano i presupposti dell’art. 34 I. 392/1978; (omissis). Avverso la sentenza Autocarrozzeria s.n.c. propone ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria. Resiste il Condominio di via … con controricorso.
1. Con il primo motivo si censura la violazione degli artt. 34 e 35 L. n. 392/1978 ai sensi dell’art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c. nella parte in cui la sentenza esclude il riconoscimento dell’indennità di avviamento commerciale; nonché l’illogicità e contraddittorietà della motivazione sull’assenza dei presupposti della suddetta indennità ex art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c. La ricorrente assume essere incontrovertibile che il locale fosse stato adibito ad uso “ufficio amministrativo” della società, che non avesse un uso abitativo mentre la mancanza dei requisiti di immediata accessibilità e richiamo per il pubblico tali da veicolare autonomamente la clientela non avrebbero costituito parametri di riferimento dell’art. 35 L. n. 392/1978.
1.1. Il motivo è inammissibile per più distinti e concorrenti profili.
In primo luogo – il che è assorbente – pur prospettando una violazione di norme di diritto, in realtà la ricorrente sollecita questa Corte ad un riesame del merito, chiedendo di ottenere una diversa e più appagante rivalutazione dei requisiti propri per il riconoscimento dell’indennità di avviamento commerciale. La ricorrente non censura, infatti, la sentenza impugnata per un vizio di sussunzione della fattispecie concreta sotto l’art. 34 L. 392/1978 ma chiede il riesame di profili meramente fattuali, estranei al sindacato di legittimità. Peraltro, si nota ad abundantiam, la sentenza è conforme all’orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, secondo il quale il diritto all’indennità è escluso in tutti i casi in cui l’attività sia svolta in immobili complementari o accessori di altri e nei quali l’accesso al pubblico sia meramente accessorio all’attività imprenditoriale principale e non tale da generare un “avviamento” proprio, essendo l’indennità di avviamento volta a ripristinare l’equilibrio economico e sociale normalmente turbato per effetto della cessazione della locazione, sì da dover collegare l’indennità alla sussistenza di un effettivo avviamento che possa almeno astrattamente, e secondo l’id quod plerumque accidit, subire pregiudizio a seguito della cessazione della locazione e del trasferimento del conduttore (Cass., 3, n. 18748 del 23/9/2016).
1.2. Quanto alla censura volta a denunciare la contraddittorietà ed illogicità della motivazione per non aver il giudice rilevato che l’ufficio amministrativo fosse frequentato dai clienti della Autocarrozzeria s.n.c. per il disbrigo di ogni pratica amministrativa e commerciale relativa all’attività dell’autofficina, essa è inammissibile sia perché non è dedotta secondo le prescrizioni di cui all’art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis, che come è noto preclude, entro il limite del minimo costituzionale, il sindacato sulla illogicità e contraddittorietà della motivazione, sia per violazione dell’art. 348 ter, 5 co. c.p.c., pure applicabile ratione temporis, che preclude il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c. nei casi di c.d. “doppia conforme”.
La sentenza ha motivato nel senso che la mera frequentazione del locale da parte degli stessi clienti del locale principale non fosse di per sé sufficiente a costituire presupposto per l’erogazione dell’indennità di avviamento non essendo dimostrato che l’ufficio avesse caratteristiche di immediata accessibilità e richiamo per il pubblico tali da veicolare autonomamente la clientela, con ciò applicando in modo del tutto corretto gli artt. 34 e 35 della I. n. 392/78.
Ne consegue che la motivazione esiste ed è certamente adeguata al “minimo costituzionale” sicché la censura è anch’essa inammissibile.
(omissis)
4. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro 2.200 (oltre euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%.