Il caso di un amministratore di condominio – accusato (e condannato) per aver sottratto soldi dal conto corrente condominiale – nei confronti del quale il condominio ha esercitato due diverse pretese civili, entrambe ritenute legittime dalla Cassazione, in quanto i soggetti erano da considerare diversi: nel processo civile (per la restituzione del credito) la società di cui il professionista era amministratore unico; in quello penale (per i danni derivanti dal fatto illecito commesso) la persona fisica dell’amministratore.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 28236/2020
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1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ravenna del 6 ottobre 2016, nel confermare la responsabilità di F.S. in ordine al reato di appropriazione indebita aggravata dall’abuso di prestazione d’opera, ha escluso la somma assegnata in via provvisionale in favore della parte civile, nonché la condizione cui è stato subordinato il beneficio della sospensione condizionale.
2. Avverso la detta sentenza propone ricorso tramite il suo difensore di fiducia F.S. deducendo:
2.1. violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 75 codice procedura penale nonché vizio della motivazione poiché la sentenza ha erroneamente ritenuto ammissibile la costituzione di parte civile rispetto ad un’azione già esercitata per il medesimo oggetto davanti al giudice civile. Lamenta il ricorrente che la sentenza ha respinto la doglianza proposta con l’atto di gravame rispetto all’ordinanza ammissiva della costituzione di parte civile del condominio, non ritenendola preclusa in quanto le pretese esercitate nel processo civile e nel processo penale erano avanzate nei confronti di soggetti diversi.
L’azione civile infatti è stata esercitata contro la società di cui l’odierno imputato è amministratore unico, mentre l’azione di danno sarebbe stata promossa nei confronti della persona fisica dell’imputato, responsabile del reato.
Tuttavia appare evidente che il condominio ha riproposto in sede penale la richiesta risarcitoria dell’importo di 13.000 euro circa già attivata con distinto decreto ingiuntivo non opposto dalla parte convenuta, sicché la coincidenza di petitum e causa petendi è certa. E la iniziale opzione processuale attivata dalla parte civile avrebbe dovuto precludere ab origine l’accesso al processo penale nella medesima veste e per la medesima pretesa che l’ha vista parte attrice nella procedura monitoria già definita.
2.2. Violazione dell’art. 646 codice penale e vizio di motivazione in quanto l’imputato avrebbe dovuto essere mandato assolto dal reato contestato perché il fatto non costituisce reato. La corte ritiene raggiunta la prova del reato di appropriazione indebita in forza di una scrittura sottoscritta dall’imputato in cui riconosce il debito in favore del condominio; della constatazione che i prelievi sul conto corrente del condominio potevano essere effettuati solo dall’imputato, legale rappresentante dello studio; della considerazione che l’imputato avrebbe avuto la possibilità di restituire le somme oggetto di appropriazione, poiché il blocco dei conti è intervenuto a dicembre. Deduce il ricorrente che la sentenza pur riconoscendo in altro soggetto, collaboratore dello Studio S., l’amministratore di fatto del condominio non ha considerato che questi potesse essere responsabile dei prelievi ed ha frainteso la testimonianza di S.M., così come le risultanze degli estratti conto. Inoltre la sentenza sottolinea che tra la mancata restituzione delle somme e il blocco totale dei conti correnti societari intercorrono all’incirca due settimane, senza considerare che l’iniziale sottrazione colposa dovuta alla negligente gestione della contabilità, non può poi trasformarsi in fatto doloso, avente rilevanza penale.
1. Il ricorso è inammissibile perché generico, in quanto ripropone pedissequamente le medesime censure già sollevate con l’atto di appello e non si confronta con le articolate argomentazioni della sentenza di secondo grado, in cui viene fornita corretta ed esaustiva risposta alle doglianze difensive.
Ed infatti in merito all’ordinanza ammissiva della parte civile, la corte ha rilevato che i soggetti nei cui confronti sono state esercitate le pretese civili nel processo civile e nel processo penale sono diversi, perché nel primo caso era la società Studio S. s.r.l. e si agiva per la restituzione di un credito, mentre nel secondo caso era invece la persona fisica, F.S., odierno imputato e la causa petendi è costituita dai danni derivanti dal fatto illecito da lui commesso.
Si tratta di argomentazione logica e congrua rispetto alle emergenze processuali e conforme ai principi più volte pronunziati da questa corte. Neppure è vero che nei due diversi processi sia stata avanzata la richiesta della medesima cifra, ma comunque ciò non comporta che sia stata azionata la medesima pretesa e non esclude la diversità del petitum, in quanto nei confronti dell’imputato la somma è chiesta quale danno cagionato dalla condotta penalmente rilevante, nel giudizio civile è stata azionata a titolo di inadempimento nei confronti della società.
2. Il secondo motivo di gravame è generico perché non si confronta con le articolate argomentazioni del tribunale, motivatamente condivise dalla corte di appello,e tende ad introdurre in questo giudizio, che ha per oggetto esclusivamente la logicità del costrutto argomentativo del giudice di merito, censure attinenti alla valutazione degli elementi di prova, che esulano dal sindacato di legittimità. Ed invero la corte ha valorizzato la scrittura nella quale l’imputato riconosceva un debito nei confronti del condominio pari a 17.000 euro, impegnandosi a pagare entro sette giorni la somma di oltre euro 12.000, pagamento che non veniva effettuato; nonché le risultanze degli estratti conto del condominio da cui emergono otto prelievi effettuati dallo Studio S. in ordine ai quali l’imputato non ha fornito alcuna logica spiegazione. La tesi sostenuta dal ricorrente che tali prelievi sarebbero stati operati da altri soggetti, cui aveva esternalizzato i servizi, è documentalmente smentita dalla circostanza che l’unico soggetto che poteva operare in nome e per conto dello studio era l’imputato, che aveva depositato la firma. La corte ha altresì evidenziato che l’imputato avrebbe potuto effettuare la restituzione della somma oggetto di appropriazione, come promesso nella ricognizione di debito, perché il blocco dei conti correnti dello Studio S. è intervenuto a dicembre, ben oltre la scadenza del termine previsto. E tale mancato adempimento della promessa di restituzione è sintomatico della volontà di trattenere le somme indebitamente prelevate.
3. La richiesta, avanzata oralmente solo nel corso della discussione dinanzi a questa Corte, di dichiarare improcedibile l’azione penale per mancanza della querela, a seguito della novella che ha eliminato la procedibilità d’ufficio per il reato in oggetto, è inammissibile perché tardiva in quanto avrebbe dovuto essere rassegnata dinanzi alla corte di appello, essendo la riforma intervenuta prima dell’ultima udienza in cui sono state formulate le conclusioni.
È inoltre manifestamente infondata poiché questa Corte ha avuto modo di precisare che in tema di appropriazione indebita aggravata ex art. 61, primo comma, n. 11 cod. pen., la persistente costituzione di parte civile, coltivata – nella specie, senza opposizione da parte della difesa dell’imputato – anche successivamente all’introduzione della procedibilità a querela da parte del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, determina la piena sussistenza dell’istanza di punizione e, conseguentemente, della condizione di procedibilità. (Sez. 2, n. 28305 del 18/06/2019).
(omissis)
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila a favore della cassa delle ammende.