È lecito apporle ma non compete ai giudici stabilire le superfici di spettanza ai condòmini. È questa, in estrema sintesi, la decisione assunta dalla Corte di Cassazione con la sentenza 18038 del 28 agosto 2020, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 28.8.2020,
n. 18038
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A.S., con atto notificato il 12 aprile 2016, ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 29/2016 della Corte d’appello di Salerno, depositata il 14 gennaio 2016.
A.S., con atto notificato il 15 aprile 2016, ha a sua volta proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 29/2016 della Corte d’appello di Salerno.
Nei confronti di entrambi i ricorsi resistono con unico controricorso M.D. (e altri).
Rimangono intimati, senza svolgere attività difensive, il Condominio …, la A.I. s.r.l. e M.G..
La Corte d’appello di Salerno, accogliendo il gravame avanzato in via principale contro la sentenza resa in primo grado in data 6 agosto 2008 dal Tribunale di Salerno, ha accolto le domande proposte da M.D. (e altri), riconoscendo a costoro il diritto di utilizzare i muri dell’androne di ingresso del Condominio …, e dichiarando illegittima, agli effetti dell’art. 1102 c.c., l’utilizzazione fatta di tale androne dalle condomine A.S. ed A.P.S., le quali si erano impossessate degli spazi dei muri più appetibili a fini commerciali.
La Corte d’appello ha poi proceduto a determinare le superfici dell’androne di cui le parti in causa (tutte proprietarie di terranei ubicati all’interno del cortile condominiale, adibiti ad esercizio commerciale) possono disporre in ragione del valore millesimali delle rispettive proprietà. La Corte di Salerno ha altresì accolto in parte le domande di rimozione delle vetrine apposte sui muri dell’androne da A.S. ed A.P.S. e condannato le stesse al risarcimento dei danni in favore di ciascuno degli appellanti. È stata pure accolta la domanda di garanzia svolta da A.P.S. nei confronti di M.G., amministratrice della A.I. s.r.l., in forza della scrittura privata inter partes del 31 marzo 1997.
(omissis)
(omissis)
III. I primi tre motivi del ricorso di A.P.S. ed i primi tre motivi del ricorso di A.S. vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e risultano fondati nei termini di seguito indicati, rimanendo assorbiti il quarto motivo del ricorso di A.P.S. ed il quarto ed il quinto motivo del ricorso di A.S..
III.1. Occorre ravvisare un duplice oggetto della lite in esame, alla stregua dell’azione proposta da M.D. (e altri):
La prima domanda va ricondotta all’art. 1102 c.c. La Corte d’appello di Salerno ha ritenuto che i muri condominiali posti nell’androne costituiscono parti comuni di sicura utilità per i locali terranei destinati ad esercizi commerciali siti nel cortile, sicché essi non possono essere utilizzati solo da alcuni condòmini con esclusione di altri. I giudici di secondo grado non hanno però dimostrato in motivazione se il principio, esattamente tratto a livello di proclamazione astratta, sia stato applicato ad una fattispecie concreta che effettivamente risulti in esso sussumibile.
Questa Corte ha più volte affermato che la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso, il limite al godimento di ciascuno dei condòmini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto.
Pertanto, si è chiarito in giurisprudenza, con particolare riguardo, appunto, al muro perimetrale dell’edificio – anche in considerazione delle sue funzioni accessorie di appoggio di tubi, fili, condutture, targhe e altri oggetti analoghi -, che l’apposizione di una vetrina da esposizione o mostra sul detto muro da parte di un condomino, in corrispondenza del proprio locale destinato all’esercizio di attività commerciale, non costituisca di per sé abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come “jus possidenti” a tutti i condòmini, se effettuata nel rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, 12/02/1998, n. 1499; Cass. Sez. 2, 20/02/1997, n. 1554; Cass. Sez. 2, 08/05/1971, n. 1309).
La destinazione della cosa comune – che, a norma dell’art 1102 c.c. ciascun partecipante alla comunione non può alterare, divenendo altrimenti illecito l’uso del bene – dev’essere determinata attraverso:
In mancanza di accordo unanime o di deliberazione maggioritaria che contenga norme circa l’uso delle parti comuni, la destinazione di queste ultime, rilevante ai fini del divieto di alterazione posto dall’art. 1102 c.c., può risultare anche dalla pratica costante e senza contrasti dei condòmini, e cioè dall’uso ultimo voluto e realizzato dai partecipanti alla comunione, che il giudice di merito deve accertare (cfr. Cass. Sez. 2, 18/07/1984, n. 4195).
La Corte d’appello di Salerno non ha, allora, preso in considerazione le circostanze attestanti l’uso di fatto pregresso dei muri dell’androne ad opera delle condomine A.S. e A.P.S., circostanze essenzialmente risultanti dai dati processuali richiamati nel secondo motivo del ricorso di A.P.S. e nel terzo motivo del ricorso di A.S., ed ha così valutato soltanto in astratto la conformità della installazione delle vetrine nell’androne alla destinazione della cosa stessa.
Tali circostanze sull’uso praticato dell’androne, stando alle allegazioni delle ricorrenti, deporrebbero per la configurabilità di una servitù a carico dei muri comuni ed a vantaggio delle proprietà esclusive A.S. e A.P.S., ove la risalente utilità tratta dall’apposizione delle vetrine apparisse diversa da quella normalmente derivante dalla destinazione impressa alla parte condominiale fruita da tutti i comproprietari; ove, invece, la medesima utilità procurata dalle vetrine alle proprietà A.S. e A.P.S. derivasse unicamente dalla natura e dalla pregressa destinazione pratica dei muri comuni, queste ultime si porrebbero quali parametri di riferimento della disciplina, propria della comunione, di cui all’art. 1102 c.c.
È invece inammissibile la determinazione giudiziale in sede contenziosa delle superfici dell’androne utilizzabili dai condòmini proprietari dei locali terranei del Condominio …, cui la Corte d’appello ha proceduto, peraltro, senza che al giudizio partecipassero nemmeno i restanti condòmini, essendo l’androne di un edificio oggetto di proprietà comune, ai sensi dell’art 1117 c.c., per tutti i partecipanti che ne traggano utilità.
L’accertamento, da parte del giudice, che l’uso del bene comune, fatto da uno dei partecipanti alla comunione, renda impossibile o menomi l’esercizio del diritto degli altri comproprietari, agli effetti dei limiti stabiliti dall’art. 1102 c.c., legittima ciascuno dei condòmini a chiedere la rimozione delle opere che alterino e sconvolgano il rapporto di equilibrio della comunione, al fine di veder tutelato il loro diritto reale sulla cosa comune e di impedire il consolidarsi di una situazione illegittima, oltre che a pretendere l’eventuale risarcimento del danno, così verificando, in negativo, un limite all’esercizio del potere del singolo di servirsi della res, ma non consente una pronuncia conformativa che contenga le norme circa l’uso futuro della cosa stessa.
Al di là del passaggio contenuto in Cass. Sez. 2, 01/02/1993, n. 1218, che in realtà riguardava l’efficacia da riconoscere ai regolamenti condominiali comunque adottati in virtù di sentenza, merita, piuttosto, conferma l’orientamento, espresso da Cass. Sez. 2, 07/06/2011, n. 12291, secondo cui il regolamento di condominio è, in ogni caso, atto di produzione essenzialmente privata anche nei suoi effetti tipicamente organizzativi, incidenti, cioè, sulle sole modalità di godimento delle parti comuni dell’edificio. Ne consegue che – come si ritiene in dottrina – il giudice può eventualmente decidere sulla impugnazione ex art. 1137 c.c. della delibera che abbia rifiutato di approvare il regolamento, quando esso deve essere obbligatoriamente formato a norma dell’art. 1138, comma 1, c.c., ovvero annullare la norma regolamentare che sia stata impugnata a norma dell’art. 1107 c.c., ma non può modificare quest’ultima nel senso di dettare una diversa regola in sostituzione di quella annullata.
A differenza di quanto sostenuto dalla Corte d’appello di Salerno (per la quale la domanda di determinazione delle modalità di utilizzazione dei muri dell’androne era ammissibile, non essendo “perseguibile la diversa via di cui all’art. 1105, ultimo comma, c.c.”, poiché “nel caso in esame … non vi erano provvedimenti da adottare per l’amministrazione della cosa comune…”), deve invece ribadirsi che i condòmini possono:
La previsione, ad opera del medesimo art. 1105, comma 4 c.c., dello specifico rimedio del ricorso, da parte di ciascun partecipante, all’autorità giudiziaria perché adotti gli opportuni provvedimenti in sede di volontaria giurisdizione (ivi compresi gli atti di conservazione), preclude, dunque, al singolo partecipante alla comunione di rivolgersi al giudice in sede contenziosa per ottenere provvedimenti di gestione della res, ai fini della sua amministrazione nei rapporti interni tra i comunisti (così Cass. Sez. 3, 08/09/1998, n. 8876; Cass. Sez. U, 19/07/1982, n. 4213).
Non è, tuttavia, altrimenti consentito ricorrere al giudice per ottenere determinazioni finalizzate al “migliore godimento” delle cose comuni, ovvero (come nella specie fatto dalla Corte d’appello di Salerno, che ha dettato le quote di superficie spettanti ai proprietari dei locali terranei per l’uso frazionato dell’androne) l’imposizione di un regolamento contenente norme circa l’uso delle stesse, spettando unicamente al gruppo l’espressione delle volontà associativa di autorganizzazione contenente i futuri criteri di comportamento vincolanti per i partecipanti della comunione.
(omissis)
La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso di A.P.S. ed primi tre motivi del ricorso di A.S., dichiara assorbiti il quarto motivo del ricorso di A.P.S., nonché il quarto e del quinto motivo del ricorso di A.S., cassa la sentenza impugnata limitatamente alle censure accolte e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.