Avv. Agostino Sola
Premessa. La locazione a fini pubblicitari delle facciate condominiali rientra nella categoria più ampia della locazione delle parti comuni del Condominio. Non vi è dubbio, infatti, che la facciata del Condominio rientri tra quei beni che l’art. 1117 c.c. individua quali necessariamente comuni[1].In quanto bene condominiale, allora, ben può essere oggetto di cessione a terzi in locazione quale forma di utilizzo indiretto del bene.
Si possono locare le facciate e fini pubblicitari? Molti edifici si trovano in posizioni strategiche per lanciare un messaggio pubblicitario, per cui diventa un concreto mezzo per reclamizzare una attività garantendo introiti alla collettività condominiale che potrebbe utilizzare tali incassi per effettuare qualche manutenzione allo stabile o ripianare eventualmente qualche debito contratto con i fornitori.
In generale, la giurisprudenza è ormai pacifica nel ricondurre allo schema tipico della locazione la cessione del godimento dell’uso esterno della facciata per fini pubblicitari nonostante il conduttore non ne abbia l’esclusiva detenzione (è innegabile che la facciata rimane sempre nella disponibilità del Condominio). La Cassazione civile (sez. III, sent. n. 17156/2002) ha osservato come non sia necessario trasmettere al conduttore il godimento di tutte le utilità che la cosa può produrre ma è sufficiente concedere ad altri il godimento di una particolare utilità del bene medesimo, senza il trasferimento al conduttore della esclusiva sua detenzione. Nella locazione della facciata condominiale, dunque, si trasferisce il godimento della particolare utilità che la facciata condominiale può produrre: ossia la possibilità di installare determinate strutture (banner, cartelloni e simili) per veicolare un messaggio pubblicitario sfruttando la posizione strategica dell’edificio.
Quali maggioranze per la validità della delibera assembleare? Ricondotta la fattispecie in esame nello schema tipico della locazione se ne dovrà richiamare anche la disciplina in materia di maggioranze per deliberare.
Partiamo dalle locazioni aventi durata inferiore a nove anni. Stipulare un contratto di locazione viene considerato dalla legge un atto di ordinaria amministrazione in tutti i casi in cui il contratto ha una durata inferiore ai nove anni, esclusi i periodi di rinnovo. Questo principio si applica anche in ambito condominiale, dato che con la locazione non c’è alcuna variazione nella destinazione del bene, ma una diversa utilizzazione del bene comune destinata al maggior rendimento delle cose comuni. Quindi, per la delibera di approvazione in sede di prima convocazione dell’assemblea, il numero di vori richiesto è di almeno la metà degli intervenuti in assemblea e che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio (art. 1136, comma secondo, c.c.). Per la giurisprudenza, di merito e di legittimità che ha affrontato le questioni giuridiche sottese alla vicenda, è quindi sufficiente il voto favorevole della maggioranza semplice. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale[2], la locazione di una cosa comune va considerata atto di amministrazione ordinaria poiché attraverso di essa è possibile conseguire la finalità del miglior godimento delle cose comuni anche attraverso l’accrescimento dell’utilità del bene mediante la sua utilizzazione indiretta.
Attenzione all’indirizzo contrario secondo cui la locazione di immobili di proprietà condominiale rientra tra gli atti per i quali è richiesta la maggioranza qualificata, vale a dire la maggioranza dei presenti in assemblea (direttamente o per delega) e almeno i due terzi dei millesimi, in quanto si tratta di approvare un’innovazione che garantisce un maggior rendimento dei beni comuni. La tesi richiamata valorizza l’art. 1120, comma 1, c.c., poiché si tratterebbe di innovazione diretta “al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni” e, quindi, da approvare con la maggioranza prevista dall’art. 1136, comma 5, c.c.
Diverso, invece, il caso delle locazioni ultra-novennali delle parti comuni per le quali è necessario il consenso di tutti i condomini. In questi casi, infatti, trova applicazione l’art. 1108, comma 3, c.c. applicabile al condominio in virtù del rinvio operato dall’art. 1139 c.c., che prescrive espressamente “il consenso di tutti i partecipanti … per le locazioni di durata superiore a nove anni”. Solo in questo caso, quindi, è richiesta l’unanimità, ossia il voto a favore di tutti i proprietari, compresi i comproprietari e gli eventuali titolari di nuda proprietà e usufrutto, ciascuno per la sua quota di proprietà.
A quali insidie, contrattuali e non, occorre prestare attenzione? In primo luogo, occorrerà verificare se sia necessario il rilascio di apposite autorizzazioni amministrative. Se l’edificio è sottoposto a tutela culturale o paesaggistica sarà opportuno prendere contatti con la sovrintendenza territorialmente competente per valutare la necessità di dotarsi di apposita autorizzazione ex art. 146 d.lgs. n. 42/2004 ovvero se l’edificio si trova nelle vicinanze di beni paesaggistici tutelati si necessiterà di autorizzazione ai sensi dell’art. 153 d.lgs. n. 42/2004. Occorre segnalare che il D.P.R. n. 31/2017 ha inserito tra gli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica quelli relativi alla posa in opera di cartelli e altri mezzi pubblicitari non temporanei di cui al richiamato art. 153 d.lgs. n. 42/2204 di dimensioni inferiori a 18 mq. Si dovranno, dunque, valutare caso per caso le eventuali autorizzazioni necessarie anche alla luce delle ulteriori eventuali prescrizioni contenute dalla regolazione urbanistica territoriale di riferimento che potrebbe porre dei limiti alla installazione della cartellonistica pubblicitaria.
A tale complessità si aggiungano le eventuali autorizzazioni dell’ente proprietario della strada ed alle prescrizioni contenute nell’art. 23 del Codice della Strada ed il relativo Regolamento di esecuzione (D.P.R. 495/92), e le altre norme locali.
Altro profilo che qui rileva si deve osservare in relazione all’incertezza della durata minima legale prevista per tale contratto. In tal senso, infatti, la questione che si pone è se si deve far riferimento alla disciplina contenuta nella legge n. 392/1978 ovvero ai principi del codice civile.
Nel primo caso, la durata del contratto risulterebbe vincolata al pari degli usi commerciali per una durata non inferiore a sei anni (art. 27, l. n. 392/1978). In tal senso, infatti, si muovono alcune pronunce giurisprudenziali[3]. In alternativa a tale orientamento, invece, si potrebbe contrapporre la libera durata della locazione regolata dall’art. 1573 codice civile[4]. Allo stato, la questione non è risolta in senso univoco dalla giurisprudenza ma pare, comunque, preferibile fare riferimento alla disciplina contenuta nella legge n. 392/1978.
Nel contratto di locazione, poi, è buona norma inserire clausole di esonero della responsabilità del Condominio fermo restando che i mezzi pubblicitari devono essere realizzati con materiali non deperibili e resistenti agli agenti atmosferici e che le strutture di sostegno devono essere calcolate per resistere alla spinta del vento ed essere ben ancorate.
Quali limiti alla locazione delle facciate per fini pubblicitari? I limiti principali alla locazione delle facciate sono: il regolamento condominiale e la stabilità, la sicurezza ed il decoro architettonico.
Il primo limite opera ex ante nel senso che prima di intraprendere qualsiasi attività prodromica alla stipula del contratto di locazione è necessario controllare se ci siano eventuali limitazioni contenute nel regolamento condominiale che espressamente vietino la modifica della facciata esteriore: in tal caso, si dovrà prima modificare il regolamento condominiale.
Ulteriore limite alla possibilità di cedere in locazione la facciata condominiale che opera, però, ex post è dato dall’eventuale pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o dall’alterazione del decoro architettonico dell’edificio. In questo caso, infatti, la limitazione riguarda le modalità con cui il contenuto pubblicitario viene ad essere installato sulla facciata condominiale. Ai sensi dell’art. art. 1120 c.c., infatti, è considerata quale innovazione vietata qualsiasi installazione che possa arrecare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato ovvero che possa alterare il decoro architettonico dell’edificio.
Avv. Agostino Sola
[1] Venendo così distinti dai beni di pertinenza (locali per i servizi comuni – n. 2) e dai beni accessori (opere, istallazioni e manufatti che servono all’uso e al godimento comune – n.3).
[2] Cass. civ. Sez. II, 21/10/1998, n. 10446
[3] Tribunale di Genova, sentenza 30/5/1995 o anche Cass. civ. Sez. III, 02/06/1995, n. 6200.
[4] Trib. Roma, dott.ssa Monaco, sentenza n. 16506/2013 causa nrg 2321/2010, richiamata in Dossier ANACI, maggio – giugno 2016, p. 35.