A cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò
Se uno dei condòmini abusa della cosa comune, l’amministratore può agire in giudizio per costringerlo ad osservare i limiti fissati dall’art. 1102 c.c. Ciò è quanto recentemente affermato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 7884 del 19 marzo 2021.
Nel caso in esame, il Tribunale di Torino, accogliendo la domanda di un condominio, aveva ordinato ad una condòmina di ripristinare lo stato dei luoghi, considerata l’illegittimità dell’apertura praticata dalla stessa nella ringhiera del suo balcone, che le permetteva di scendere direttamente nel cortile comune.
La Corte territoriale di Torino, oltre a confermare la decisione del giudice di prime cure, affermava la sussistenza della legittimazione dell’amministratore, ex art. 1130 c.c., alla azione “negatoria servitutis” esercitata. Inoltre, i giudici di merito evidenziavano che, nel corso di un’assemblea condominiale, la condòmina si era espressamente impegnata a saldare la ringhiera del balcone di sua proprietà, non essendoci comunque prova che la stessa avesse provveduto a detta saldatura in maniera stabile e definitiva.
La vicenda giungeva in Cassazione, davanti alla quale, in particolare, veniva contestata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1130, 1131 e 1136 c.c., degli artt. 112 e 115 c.p.c. ed altresì l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il vizio logico di ragionamento e l’omesso esame circa un fatto decisivo, con riguardo al difetto di legittimazione attiva dell’amministratore, data la carenza di apposita deliberazione autorizzativa dell’assemblea.
Gli Ermellini stabilivano che l’azione promossa dal condominio al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità della modificazione apportata dalla condòmina, a differenza di quanto opinato nella sentenza impugnata e di quanto sostenuto nello stesso ricorso, non è una negatoria servitutis, dal momento che “ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, sicché il condomino che si serve del muro perimetrale per ricavarne maggiore vantaggio nel godimento di un’unità immobiliare già strutturalmente e funzionalmente collegata al bene comune lo fa nell’esercizio del diritto di condominio, i cui limiti sono segnati dall’art. 1102 c.c., e non avvalendosi di una servitù”.
Qualora, come nel caso di specie, oggetto della lite sia l’abuso della cosa comune da parte di uno dei condòmini, l’amministratore può agire in giudizio per costringere il condòmino inadempiente ad osservare i limiti di cui all’art. 1102 c.c.
In questo caso, l’interesse di cui l’amministratore chiede la tutela, è un interesse comune, poiché concerne la disciplina dell’uso di un bene comune, il cui godimento limitato da parte di ciascun partecipante assicura il miglior godimento di tutti.
Pertanto, la denuncia dell’abuso della cosa comune da parte di un condòmino rientra fra gli atti conservativi riguardanti le parti comuni dell’edificio che l’amministratore deve compiere, ai sensi dell’art. 1130, n. 4, c.c., senza che sia necessaria l’autorizzazione dell’assemblea dei condòmini.