A Cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28197/2020, ha affrontato il delicato tema delle immissioni in condominio, specificando a quali condizioni il locatore può essere responsabile delle immissioni causate dal conduttore (nel caso in esame, fumi derivanti da una canna fumaria manutenuta male).
La disciplina delle immissioni è contenuta nell’art. 844 c.c., secondo cui “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso”.
Per i giudici Ermellini, “in tema di danni da cose in custodia, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c. è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, rapporto che postula l’effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa con il conseguente potere-dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore. Pertanto, con riferimento alla locazione di immobile, che comporta il trasferimento della disponibilità della cosa locata e delle sue pertinenze, pur configurandosi ordinariamente l’obbligo di custodia del bene locato in capo al conduttore, dal quale deriva altresì la responsabilità a suo carico – salva quella solidale con altri soggetti ai quali la custodia faccia capo in quanto aventi pari titolo o titoli diversi che importino la coesistenza di poteri di gestione e di ingerenza sul bene – ai sensi del suddetto art. 2051 c.c. per i danni arrecati a terzi dalle parti ed accessori del bene locato, tuttavia rimane in capo al proprietario la responsabilità per i danni arrecati dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, delle quali conserva la disponibilità giuridica e, quindi, la custodia (cfr. Cass. n. 16231/2005 e Cass. n. 21788/2015)”.
Nel caso posto al vaglio della Suprema Corte, la Corte territoriale non aveva tenuto conto di tale ultimo aspetto, avendo la stessa escluso la responsabilità del proprietario sulla scorta della mera mancanza di disponibilità del bene.
Pertanto, il Tribunale Supremo cassava la sentenza di secondo grado con rinvio alla medesima Corte d’Appello in diversa composizione.