Vivere in condominio non è per nulla facile. Se i problemi esulano dai comportamenti indicati nel regolamento condominiale, si entra nel campo delle controversie tra i vicini.
I comportamenti che con maggior frequenza provocano tensioni e veri e propri scontri tra vicini di casa sono solitamente relativi ai rumori e alle immissioni.
Se per i primi è chiaro cosa si intenda, per le immissioni si tratta generalmente di odori, vapori, e simili.
Secondo la giurisprudenza chi può innescare il giudizio è soltanto colui che ritiene di essere molestato, sia che si tratti del proprietario dell’immobile sia che si tratti dell’inquilino.
Per i disturbi che provengono da un’attività commerciale o artigianale, il primo passo è rivolgersi all’Asl o alla polizia municipale. Se però questo non basta, bisogna ricorrere al giudice.
Sempre meglio, comunque, prima di andare in giudizio, avvisare il disturbatore con una raccomandata a/r, nella quale si invita a porre fine ai disturbi.
Il giudice ha poteri molto ampi: se i rumori o le immissioni derivano da una attività commerciale o artigianale può anche chiuderla e disporre il risarcimento del danno.
Su quali parametri decide il giudice
Anzitutto i regolamenti comunali e le norme di legge (come quelle sull’inquinamento acustico).
Queste però sono solo le basi di partenza. Il rispetto della norma generale non impedisce infatti che le immissioni formalmente in regola siano comunque fonte di disturbo e intollerabili per i vicini.
Soprattutto nei rapporti tra privati, la tollerabilità di rumori e odori deve essere stabilita di caso in caso, tenendo conto degli aspetti particolari di luoghi e situazioni. In pratica, l’unico modo con cui il giudice può capirci davvero qualcosa è ricorrere a una consulenza tecnica di ufficio.
Per i rumori è relativamente facile: generalmente si tratta di confrontare la media dell’intensità del rumore di fondo con quello delle immissioni: se supera i tre decibel il risultato è di solito ritenuto intollerabile.
Per gli odori, invece, diventa tutto più difficile e spesso bisogna basarsi anche sulle dichiarazioni di testimoni.
Se il civile diventa penale
Generalmente le molestie condominiali rimangono confinate nell’ambito della giustizia civile. Alcuni articoli del codice penale prevedono però reati che la giurisprudenza che si è accumulata nel corso degli anni ha ritenuto poter applicare anche nell’ambito delle banali liti tra vicini. Vediamo qualche esempio qui di seguito.
Arresto fino a un mese o ammenda di 206 euro sono le pene che possono essere applicate a chi getta mozziconi di sigarette, detersivi corrosivi e cenere sul balcone del vicino. Il reato commesso viene definito “getto pericoloso di cose”.
L’ingiuria non è più un reato anche se può essere facilmente commessa nel corso delle liti. Dire al vicino di posto auto che “fa schifo” o mandarlo pesantemente “aff…”, magari perché nel parcheggiare la vettura ha invaso il vostro spazio, viola il rispetto dovuto nei rapporti di vicinato e dà diritto a un risarcimento del danno. Quindi, anche se le frasi volgari sono in fin dei conti entrate ormai nel linguaggio comune, usarle al fine di mostrare disprezzo verso l’interlocutore danneggia l’onore e il decoro della parte, causando l’ingiuria; al termine del processo civile il giudice può infliggere una multa.
Evitate anche di spettegolare sui vicini: un condomino che ha diffuso la notizia di una presunta tresca di una vicina ha visto condannata la sua incapacità di tener chiusa la bocca. Il reato contestato è stato “diffamazione”.
Farsi giustizia da sé è una cattiva idea: due coniugi esasperati dai rumori e dalle immissioni moleste di un panificio hanno pensato di vendicarsi gettando acqua sul negozio. Risultato: condanna penale per molestie.
Lo stesso reato è stato contestato a una donna che, per vendicarsi di vecchi rancori, lavava il pianerottolo comune con detersivi che causavano allergia alla vicina. La pena è stata un’ammenda di 100 euro, oltre al pagamento di mille euro alla cassa delle ammende e delle spese processuali alla parte civile.
Attenti allo stalking condominiale
Identica sorte con condanna per molestie ha subito chi aveva preso di mira una coppia di vicini, disturbandoli dalle finestre e irridendoli quando li incontrava sulle scale. Se le molestie e le minacce vengono reiterate nel tempo diventano atti persecutori. Un fenomeno meglio noto come stalking. In questo caso niente ammenda: la pena è la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Gli atti persecutori non devono essere diretti necessariamente a una stessa persona: i giudici di cassazione hanno condannato per stalking un maniaco che aveva preso di mira i condomini di un intero edificio.
Bacheca condominiale: non è una gogna
Le bacheche condominiali servono a trasmettere comunicazioni riguardanti tutto il condominio e non singoli condomini.
Detta così sembra banale, ma la giurisprudenza della Corte di cassazione ci ha tenuto a sottolineare che la bacheca non può diventare una sorta di gogna, dove indicare a lettere scarlatte nome e cognome dei condomini morosi.
Secondo la Suprema corte, se la decisione dell’assemblea di considerare morosi alcuni condomini viene resa nota in un luogo accessibile non solo agli abitanti del condominio ma anche ad altri soggetti estranei, si cade nel reato di diffamazione.
L’amministratore, invece, ha il dovere di comunicare il nome dei morosi ai creditori del condominio non ancora soddisfatti che ne facciano richiesta.
Anche il Garante della privacy segue la stessa linea, sottolineando che l’eventuale morosità non deve essere portata a conoscenza all’esterno del condominio. La stessa però deve essere comunicata dall’amministratore nel rendiconto annuale destinato ai condomini o su richiesta di uno di questi.
In questi casi, la trasparenza condominiale prevale e il moroso non può appellarsi alla tutela della propria privacy per impedire che l’informazione venga data agli altri abitanti del palazzo.
FONTE: La Legge per Tutti