Le politiche energetiche all’interno dell’Ue stanno diventando sempre più interconnesse, soprattutto dopo che il rialzo del prezzo del gas naturale ha mostrato quanto sia indispensabile l’oro azzurro per il funzionamento dell’economia continentale e per la sua sicurezza. Non è un caso quindi che la Frankfurter Allgemeine Zeitung si sia occupata recentemente di vicende energetiche italiane e di come il nostro paese sta ignorando la possibilità di utilizzare i giacimenti di gas made in Italy per alleggerire le bollette.
In un articolo il quotidiano tedesco si è domandato – e ci ha domandato – come mai l’Italia, che in questo momento importa dall’estero circa il 90% di gas di cui ha bisogno, non decida di estrarre quello che possiede in alcuni giacimenti consistenti, preferendo comprarlo da fornitori esteri e facendolo arrivare da molto lontano, con tutti i problemi di impatto ambientale ed economici che tale scelta porta con sé.
La domanda svela uno dei paradossi del rapporto che abbiamo con il gas naturale: se invece di “bruciare” quello d’importazione sfruttassimo quello dei nostri giacimenti, tra cui quelli dell’Adriatico a cui attingono i paesi che si affacciamo sull’altra sponda, il costo a metro cubo per le famiglie e le imprese da quasi un euro, che è quanto stiamo pagando ora, scenderebbe a soli 5 centesimi. Quale governo non prenderebbe subito la decisione di riaprire le autorizzazioni all’estrazione? Non i governi italiani che si sono succeduti negli ultimi 4 anni, finché l’esplosione del “problema bollette” ha portato il ministro alla transizione ecologica Roberto Cingolani, in occasione dell’audizione parlamentare sul tema della crisi energetica, a ipotizzare un intervento strutturale per raddoppiare la produzione nazionale fino a 8 miliardi di metri cubi all’anno. Ma occorre fare presto: l’argomento della necessità di far ripartire lo sfruttamento del metano nazionale è stato lasciato cadere troppe volte.
Non c’è dubbio che l’aumento del costo del gas stia mettendo sotto pressione la spesa energetica nazionale, che è già altissima visto che l’Italia importa la quasi totalità delle risorse, circa 70 miliardi di mc/anno. In Europa il prezzo ha toccato oltre i 100 euro per megawattora: questo nuovo corso sta facendo lievitare le bollette e sta mettendo in crisi anche il trasporto, perché il metano per autotrazione ha registrato incrementi fino al 100 per cento, toccando i 2 euro al metro cubo. Stiamo parlando, secondo i dati forniti da Aci, di circa 1 milione di veicoli circolanti alimentati a metano, le cui immatricolazioni crescono ogni anno. Senza contare i mezzi pubblici alimentati a gas che operano in molte città italiane.
Prima che l’impasse cominci a pesare in modo insostenibile sull’economia italiana servirebbe una mossa lungimirante, che ci permetta di mettere in sicurezza il sistema energetico ricorrendo alla fonte fossile più pulita. Se vogliamo avere successo nella transizione energetica non possiamo appoggiarla tutta sulle fonti rinnovabili perché allo stato attuale dell’arte non sono ancora in grado di garantire la continuità 24 ore su 24 e non abbiamo certezza sui tempi in cui si troverà una soluzione a questo limite. E nel momento in cui venga a mancare l’apporto energetico delle rinnovabili serve un backup, una soluzione che impedisca uno stallo nella distribuzione.
Lo hanno capito tutti i paesi europei, compresa la Germania che ha nel governo il partito dei Verdi. Eppure in un programma che punta decisamente sulle rinnovabili è sancito anche che, ancora per anni, dovrà essere assicurata la produzione di elettricità da centrali a gas di ultima generazione.
In sostanza, dobbiamo avere ben chiaro che non potremo fare a meno del gas ancora per molti anni.
Questo fatto dovrebbe consigliarci di rivedere e riprogrammare la strategia nazionale sul gas, che in sintesi significherebbe riaprire l’autorizzazione alle estrazioni. “Non si tratta di trivellare di più, ma di usare di più i giacimenti che ci sono già, che sono chiusi e che possono essere riaperti in un anno”, ha spiegato Cingolani. Si tratterebbe di superare il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai), che tre anni fa ha decretato una moratoria dell’attività di estrazione. L’Eni sarebbe pronta a partire: il 17 gennaio 2018 presentò a Ravenna un piano che prevedeva di aumentare i prelievi di metano in Adriatico da 2,8 miliardi a 4 miliardi di metri cubi all’anno. Il rilancio del distretto centro-settentrionale attiverebbe il piano di investimenti del cane a sei zampe di oltre 2 miliardi, che prevede processi di ricerca e sviluppo, avvio del percorso di decommissioning e di reprocessing 3D su 10.000 chilometri quadrati dell’Adriatico. Eni possiede tecnologie all’avanguardia per l’esplorazione dei pozzi di gas, a cominciare dal Green Data Center, il centro di super calcolo che ha permesso di scoprire il megagiacimento di Zohr in Egitto. Inoltre consoliderebbe e il suo ruolo di attore geopolitico, che è già rilevante, reinserendo l’Italia di fatto tra i player mondiali che stanno giocando il Risiko del ventunesimo secolo, la “guerra fredda del gas”.
Una ripresa dello sfruttamento dei giacimenti italiani avrebbe comunque due effetti strutturali virtuosi: il primo la diminuzione delle importazioni, che oltre a pesare sul bilancio economico dello Stato pesano anche su quello ambientale perché il trasporto, che sia con pipeline o con navi gasiere, produce inquinamento. Il secondo è un risparmio di almeno una parte dei quasi 8 miliardi messi a bilancio tra l’anno scorso e quest’anno a sostegno delle famiglie a integrazione del pagamento delle bollette, oltre all’aumento delle royalties e delle tasse collegate che lo Stato incasserebbe.
Una soluzione, questa dell’integrazione delle bollette, che è chiaramente congiunturale e, proprio per questo, incapace di risolvere il problema. Il ripristino delle autorizzazioni al prelievo di metano nei giacimenti italiani sarebbe invece una scelta strutturale, che inciderebbe in profondità anche sull’occupazione del settore e dell’indotto delle nostre aziende cutting edge a supporto dei player della produzione.
Infine, le difficoltà registrate in questi ultimi tempi sull’approvvigionamento di gas naturale, e tenendo conto del suo ruolo strategico per la transizione energetica e la sicurezza dei paesi europei, suggeriscono una domanda all’Ue: come riuscirà a mettere ordine nei rapporti con i paesi approvvigionatori, con alcuni dei quali – vedi Russia – in questo momento ci sono rapporti tesi? Un’ipotesi non peregrina sarebbe quella di costituire una Comunità del gas europea sullo stile della Comunità europea del carbone e dell’acciaio per condividere gli acquisti, gli stoccaggi, le reti e per aprire a una nuova fase di gestione delle risorse di gas naturale del Mediterraneo con i paesi del Nord Africa, del EST-MED, a cominciare da quelle dell’Adriatico.
In uno scenario di questo tipo l’Italia potrebbe giocare un ruolo importante con Mario Draghi: Vladimir Putin ha invitato ufficialmente il nostro primo ministro a Mosca per confrontarsi sulle questioni strategiche che vedono, per il momento, Unione europea e Russia su posizioni divergenti. Mario Draghi è forse in questo momento l’unico leader europeo autorevole, dopo il ritiro dalle scene di Angela Merkel e, anzi, potrebbe anche essere visto come il suo naturale successore. La persone giusta, insomma, per trovare quella mediazione auspicata da tutti che, partendo dal rifiuto del monopolio di forniture russe, cerchi di costruire nuovi equilibri che incidano sui prezzi attuali e sui derivati finanziari di cui si nutre l’attuale speculazione sul gas.
Se i verranno compiuti tutti i passi necessari, a cominciare dal riavvio della produzione nazionale di gas naturale, l’Italia potrebbe candidarsi a essere non solo uno dei fondatori ma anche uno dei leader della Comunità europea del gas, per la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo, dove passano le reti meridionali di approvvigionamento, per la presenza di un player come Eni, tra i leader mondiali nella ricerca e nell’innovazione. Il gas naturale italiano potrebbe essere la chiave di una nuova stagione economica, ma è una scelta che va fatta in fretta se vogliamo che sia efficace.
FONTE: L’articolo di Gianni Bessi dall’ultimo numero del quadrimestrale di Start Magazine