Il presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, ha presentato alla Camera il XXI rapporto annuale sulle prestazioni erogate dall’Istituto. Lo scenario che ne è emerso è sconcertante. Un lavoratore su quattro, ovvero il 23 per cento dei lavoratori, ha una retribuzione inferiore a quella prevista dal reddito di cittadinanza. Riceve infatti meno di 780 euro al mese. Una retribuzione che non permette di vivere dignitosamente. L’eccessiva flessibilità, inoltre, spesso diventa precarietà o insufficienza di ore lavorate per mese.
Come si legge nella relazione, un riordino della disciplina contrattuale al fianco dell’introduzione di un minimo salariale legale produrrebbe una limitazione delle disuguaglianze evidenziate. Inoltre, sarebbe più facile per l’Istituto effettuare i controlli sul rispetto dei minimi contributivi.
La direttiva dell’Unione Europea sul salario minimo si muove proprio in questa direzione e promuove l’ampliamento della copertura della contrattazione collettiva.
Una eventuale implementazione della legge introdurrebbe un minimo salariale di 9 euro lordi orari, buona parte dei lavoratori poveri guadagna un cifra inferiore.
Dall’analisi emerge che, dopo le forme contrattuali, il fattore che maggiormente spiega i differenziali nel rischio di bassa retribuzione è il settore produttivo. Ad esempio, se si osservano le retribuzioni annuali si considera come lavoratori poveri il 64 per cento del personale di alberghi e ristoranti e solamente il 5 per cento dei lavoratori del settore finanziario.
Sarebbe opportuno intervenire a sostegno dei redditi, soprattutto quelli medio bassi. Sostanzialmente, per riprendere la conclusione del presidente INPS, c’è bisogno di più lavoro e che questo sia meglio retribuito.