Con il Decreto Salva Casa, ovvero con la L.105/2024 di conversione al D.L. 69/2024, si apre la possibilità di sanare diverse irregolarità, sempre nel rispetto della normativa edilizia vigente. Questo principio si applica anche alle opere di recupero dei sottotetti, per le quali, da un lato, il processo di recupero è semplificato, ma dall’altro, resta subordinato al rispetto della normativa regionale in materia.
L’obiettivo della norma è quello di rilanciare gli interventi di recupero per incentivare l’ampliamento dell’offerta abitativa, limitando il consumo del nuovo suolo, nel rispetto comunque di quanto prevede la normativa nazionale.
E’ importante notare che quasi tutte le Regioni sono già intervenute su questa tematica, perseguendo la medesima finalità. Operativamente, il recupero del sottotetto comporta il cambio di destinazione d’uso del volume situato tra le falde di copertura dell’immobile, che, al termine dei lavori, dovrà essere destinato ad uso abitativo come mansarda. Il Regolamento Edilizio Tipo (R.E.T.) contenuto nel DPCM del 20 ottobre 2016 è valido in tutti i Comuni e definisce il sottotetto come “spazio compreso tra l’intradosso della copertura dell’edificio e l’estradosso del solaio del piano sottostante”. L’accatastamento previsto è generalmente in categoria C2, e le norme stabiliscono il vincolo di pertinenza con l’appartamento sottostante.
Per trasformare il sottotetto in mansarda, ossia in un volume a copertura di un fabbricato che soddisfi anche i requisiti di abitabilità, devono essere realizzate opere quali:
– 1) installazione di impianti tecnici e servizi igienici;
– 2) modifiche sui prospetti per garantire un adeguato ricambio d’aria naturale e illuminazione;
– 3) coibentazione nel rispetto della normativa in materia di risparmio energetico;
– 4) eventuale consolidamento strutturale dei solai di calpestio o della copertura. Nell’ambito della normativa regionale, possono essere ammesse anche variazioni del perimetro della facciata ed eventuali sopraelevazioni.
Inoltre, per il recupero degli immobili vincolati, gli interventi, che comportano modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, possono essere effettuati solo nei casi e nei limiti previsti dal piano regolatore e dal piano paesaggistico.
Inoltre, non va dimenticato che il tetto fa parte dei beni comuni elencati dall’articolo 1117 del Codice Civile. In generale, qualunque intervento di recupero del sottotetto che preveda anche l’aprire abbaini, finestre e lucernari, o addirittura terrazze a tasca, consente ai condomini proprietari degli appartamenti all’ultimo piano di realizzare queste aperture sul tetto, per garantire aria e luce alle mansarde, senza che gli altri condomini possano imporre divieti. L’unico vincolo è il rispetto della normativa edilizia comunale e del generale decoro architettonico, ossia dell’estetica complessiva dell’edificio. A stabilire le disposizioni in questo caso è l’articolo 1102 del Codice Civile, che riconosce a tutti i condomini il diritto a un uso più intenso delle parti comuni, a patto di non limitare i diritti altrui sugli stessi beni e di non modificarne la destinazione d’uso. Chi intende effettuare questi interventi è però tenuto a comunicare all’amministratore del Condominio le proprie intenzioni. Poiché si tratta della modifica di un bene di proprietà comune, l’assemblea ha la facoltà di bloccare i lavori nel caso in cui l’intervento leda effettivamente i diritti comuni, provochi danni o metta a rischio la sicurezza del condominio.
La normativa introdotta dal Decreto, non a caso collocata nell’art. 2 del TUE, che tratta delle deroghe relative ai limiti di distanza tra i fabbricati in caso di interventi di ristrutturazione con ricostruzione, consente che tali interventi siano realizzati anche in violazione delle norme riguardanti le distanze minime, purché siano state rispettate le disposizioni previste all’epoca della costruzione originaria.
La distanza principale legale è quella definita dall’art. 9, comma 1, del D.M. 1444/1968, il quale stabilisce limiti inderogabili di densità edilizia, altezza, distanza tra fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati ad insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici, o riservati ad attività collettive, verde pubblico o parcheggi. Tali limiti devono essere osservati ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti. Secondo il citato articolo, infatti, in caso di nuove costruzioni, è sempre prescritta una distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. La Cassazione ha chiarito che questo limite si applica anche quando esistono finestre in qualsiasi zona della parete contrapposta a un altro edificio, e che l’obbligo di rispettare la distanza minima è valido anche per tratti di parete privi di finestre (Cass. Civ. n. 11048/2022; n. 38243/2021; n. 15178/2019; n. 12129/2018).
Nel caso specifico di recupero edilizio, quindi, il rispetto della distanza minima con la parete frontale, rappresentava una problematica, soprattutto in presenza di nuove aperture sul tetto, come nel caso di nuovi abbaini. Questa tipologia di finestra, infatti, sporge rispetto al tetto stesso e può trovarsi a una distanza inferiore ai 10 metri obbligatori. Con le nuove normative, questo problema viene risolto senza lasciare margini di incertezza. Infatti, a fronte di un edificio conforme alle distanze al momento della costruzione, non è possibile contestare l’apertura di finestre, anche se sporgenti, a patto che non vengano realizzate soprelevazioni o altre modifiche nel perimetro dell’edificio.
La novità significativa riguarda il fatto che, in ogni caso, le Regioni non potranno più sottoporre tali interventi al rispetto delle distante minime tra edifici, a patto che siano rispettati i limiti originari. Quindi, La possibilità di realizzare interventi senza rispettare le distanze minime è consentita, a condizione che le opere di recupero non comportino modifiche alla forma e alla superficie dell’area del sottotetto, così come delimitata dalle pareti perimetrali. Inoltre, è necessario rispettare l’altezza massima dell’edificio stabilita nel titolo abilitativo che ha autorizzato la sua costruzione. Vi è un assoluto divieto di soprelevazione nel caso specifico, fermo restando, comunque, il rispetto di quanto eventualmente stabilito da leggi regionali più favorevoli.
Un altro vincolo imposto a livello regionale, che il Decreto Salva Casa non consente di modificare, riguarda la possibilità di trasformare la mansarda in una nuova abitazione. Infatti, alcune regioni non prevedono questa eventualità, consentendo il recupero esclusivamente come trasformazione in vani abitabili a servizio dell’appartamento sottostante. Si tratta di vincoli che in nessun caso il decreto permette di superare, poiché, in base a specifiche disposizioni normative, l’intervento di recupero deve sempre rispettare la normativa regionale. A questo proposito, è importante tenere presente che in Piemonte, Liguria, Sicilia e Sardegna è stata prevista la possibilità per i Comuni di rivedere le aree o le tipologie di immobili in cui i sottotetti non possono essere recuperati. Anche in Emilia-Romagna, Molise, Umbria e Veneto, i sindaci hanno la facoltà di stabilire limitazioni o vincoli alla trasformazione dei sottotetti in abitazioni. In ogni caso, a prescindere dal titolo edilizio richiesto e dalla destinazione dell’intervento, quando quest’ultimo è qualificato dalla normativa locale come ristrutturazione finalizzata alla trasformazione dei locali in unità ad uso abitativo, si ha diritto alla relativa detrazione fiscale.
In conclusione, l’argomento che abbiamo appena esaminato sottolinea l’importanza di rispettare le normative regionali nel recupero dei sottotetti e le relative limitazioni. Nel prossimo articolo, andremo ad analizzare assieme alcuni casi pratici per approfondire ulteriormente questi aspetti.
A cura di Sabrina Schemani – Studio Schemani
Amministratrice Immobiliare e Building Manager
Presidente Nazionale di GESTIRE