Grazie al Superbonus 110% e all’Ecobonus, sono molti i cittadini italiani che hanno già reso – o stanno rendendo – le loro abitazioni più moderne e sostenibili.
Il Centro Studi del Consiglio Nazionale degli Ingegneri (Cni) stima infatti che negli ultimi due anni sono stati ristrutturati sotto il profilo energetico, attraverso il Superbonus 110%, 86 milioni di metri quadrati, per un totale di 359.440 edifici già completati. Ulteriori 122.000 edifici sono in fase di completamento. In tutto, quindi, quasi 482.000 edifici hanno effettuato il doppio salto di classe energetica.
A questi numeri si aggiungono gli interventi di risparmio energetico realizzati negli ultimi anni con l’Ecobonus “ordinario”: tra il 2014 ed il 2021 sono stati realizzati oltre 3,7 milioni di interventi per il miglioramento delle prestazioni energetiche delle abitazioni. Sebbene si tratti di interventi con un carattere meno organico rispetto al Superecobonus 110%, un parziale miglioramento delle prestazioni energetiche è stato comunque realizzato.
L’Italia, dunque, non è all’anno zero in termini di recupero ed efficientamento energetico degli edifici. Da questi dati di partenza occorre ora capire quanto tempo è necessario per portare il patrimonio edilizio almeno nella Classe energetica “D”, ed elaborare un piano nazionale di intervento.
I tempi non possono certo essere quelli strettissimi indicati dall’Ue. Ma è fondamentale definire rapidamente delle controproposte credibili per realizzare ciò di cui il nostro stesso Paese ha bisogno. Qui entrano in gioco alcune variabili determinanti, la prima delle quali è la disponibilità di dati che definiscano con esattezza millimetrica l’effettivo stato del patrimonio edilizio. I dati fino ad oggi pubblicati sulla vetustà del patrimonio edilizio, sull’anno di costruzione, sulla classe energetica dicono molto ma non possono essere ritenuti sufficienti, nella loro forma così aggregata, per controbattere alle proposte dibattute in sede europea.
Se è vero che gran parte del patrimonio edilizio è stato costruito prima del 1990 dovremmo comprendere se e quanta parte di questo patrimonio è stata eventualmente sottoposta a risanamento profondo o parziale. Se è vero che dal sistema Siape, che monitora le attestazioni di prestazione energetica degli edifici, oltre il 70% delle strutture residenziali ricade nelle classi G, F ed E, questi dati fanno riferimento a 2,5 milioni di Ape. Per quanto il dato possa essere rappresentativo ed affidabile, occorrerebbe capire con maggior precisione quale sia l’esatto perimetro su cui intervenire con maggiore urgenza.
Il patrimonio edilizio si compone infatti di oltre 12 milioni di edifici, di molti dei quali ci sarebbe la necessità di capire meglio lo stato in cui si trova. Servirebbe almeno disporre delle attestazioni di prestazione energetica in modo capillare e aggiornato per quantificare il quadro delle dispersioni energetiche.
Servirebbe, in tempo reale, il dato esatto dei metri quadrati su cui già il Superecobonus è intervenuto, i livelli di risparmio energetico per metro quadrato stimati e quanti edifici proprio negli ultimi due anni, pur solo con l’ecobonus, sono passati in classe D. Si potrebbe così scoprire che una parte di questi metri quadri non devono essere coinvolti negli interventi previsti dalla direttiva Ue. E in questo modo potremmo concentrare gli sforzi su un perimetro più definito, sicuramente più ridotto rispetto a quello finora stimato per grandi linee, massimizzando lo sforzo con risorse finanziarie scarse.
Il Governo, con l’ultima Legge di Bilancio, ha deciso di ridimensionare l’accesso al Superecobonus abbassando il livello di detrazione e mantenendo l’orizzonte temporale al 2025. Ma probabilmente adesso, alla luce della Direttiva Europea, dovrà rimodulare la decisione. Si sono sempre temuti i costi eccessivi di questa operazione, senza considerare gli introiti dello Stato in termini di gettito fiscale. E questo ha impedito al Paese di pensare ad una qualche forma di ecobonus utilizzabile per 10 o 20 anni.
Arrivati a questo punto, la ‘partita’ non può essere giocata solo dal Governo e non può risolversi solo in una interlocuzione di ordine politico con le istituzioni comunitarie, perché in questo caso gli aspetti eminentemente tecnici decideranno l’efficacia o meno di ciò che verrà programmato.
“Vanno ridiscussi – afferma in una nota Angelo Domenico Perrini, presidente del Cni – i tempi di attuazione della direttiva Ue per l’efficientamento energetico degli edifici. Il Paese deve proporre in sede europea un piano circostanziato sulle modalità, sui costi effettivi da sostenere, sul numero esatto di edifici da risanare, sugli edifici che richiedono interventi più urgenti. Proponiamo una rilevazione estensiva Ape per quantificare con esattezza il grado di dispersione termica degli edifici ed identificare aree più critiche e meno critiche. Trasformiamo sin da ora questo vincolo, ormai ineludibile, in una opportunità. Risanare il patrimonio edilizio, se fatto con criterio e con competenza, genera valore per il sistema-Paese”.
“Il Centro studi Cni – osserva Perrini – stima che gli investimenti in Superecobonus 110%, pari a 46,2 miliardi di euro spesi nel 2022, abbiano contribuito alla formazione dell’1,4% del Pil dello scorso anno. La sola produzione diretta attivata dal Superecobonus 110% nel 2022 si stima pesi per almeno il 3,4% del Pil. Tutto questo è accaduto nonostante norme confuse e contraddittorie. Mostriamo in sede Ue di avere un piano chiaro di risanamento del patrimonio edilizio alternativo ad un provvedimento che oggi percepiamo come imposto”.
“Un piano di risanamento energetico degli edifici – afferma Giuseppe Maria Margiotta, consigliere Cni e presidente del Centro studi Cni – specie se estremamente impegnativo come quello che si sta profilando in sede Ue, deve basarsi su dati analitici approfonditi e affidabili. Ciò di cui oggi disponiamo relativamente alle condizioni del patrimonio edilizio sono dati interessanti ma definiscono un quadro per molti aspetti approssimativo, e non è più tempo di approssimazioni. Chiediamo che l’interlocuzione con l’Ue si basi definendo con chiarezza il quadro operativo di intervento per poter realisticamente quantificare i tempi ed i costi di tale operazione. E questo non è un lavoro che, a nostro avviso, può essere svolto solo dal Governo e dagli uffici tecnici dei ministeri, ma deve coinvolgere i professionisti dell’area tecnica che meglio conoscono le complessità dei territori e dei cantieri”.