I frontalini, insieme al piano di calpestio ed al sottobalcone, sono uno dei tre elementi che materialmente concorrono a definire la struttura del balcone nel suo complesso e, da sempre, costituiscono oggetto di profonda disputa giurisprudenziale e dottrinale, circa il regime della ripartizione delle spese necessarie alla loro conservazione.
In particolare, essi rappresentano quell’elemento verticale che circonda fisicamente, delimitandolo, il piano di calpestio del balcone al quale appartengono ed al quale direttamente afferiscono.
Per comprenderne la natura, ossia se privata o condominiale, ai fini della corretta imputazione delle responsabilità da cattiva/omessa manutenzione, e della conseguente ripartizione delle spese per l’eventuale ripristino, occorre aver riguardo al tipo di balcone interessato.
Le caratteristiche dei balconi
I balconi si dividono in due grandi categorie: i balconi aggettanti, ossia quelli che fuoriescono dalla sagoma del fabbricato (i c.d. balconi in avanzamento rispetto al corpo di fabbrica principale), e costituiscono una sorta di prolungamento del pavimento interno dell’abitazione alla quale appartengono, ed i balconi incassati, vale a dire quelli che non fuoriescono dalla facciata (retroflessi) e, di fatto, hanno la medesima funzione del solaio, vale a dire fungono da piano di calpestio e sostegno per l’appartamento superiore, cui afferiscono e da copertura per quello inferiore, che sovrastano.
La voce n. 35 dell’allegato A del Regolamento Edilizio Tipo, di cui all’articolo 4, comma 1-sexies del DPR 380/01, definisce il balcone come: “Elemento edilizio praticabile e aperto su almeno due lati, a sviluppo orizzontale in aggetto, munito di ringhiera o parapetto e direttamente accessibile da uno o più locali interni”.
Se è pacifico che tale definizione sia riferita unicamente ai balconi in aggetto, quella di balcone incassato viene soltanto desunta (ed assorbita) dalla nozione di “Loggia/Loggiato”, contenuta nel medesimo allegato, alla voce numero 37, che parla di: “Elemento edilizio praticabile coperto, non aggettante, aperto su almeno un fronte, munito di ringhiera o parapetto, direttamente accessibile da uno o più vani interni”.
La manutenzione della parte del balcone incassato utile ad entrambi i piani sovrapposti (il piano di calpestio), segue la disciplina dei solai; di conseguenza, sono carico del proprietario del piano superiore le spese per la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore, l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto di copertura.
Sul punto si ricorda che, secondo autorevolissima dottrina: “I balconi incassati all’interno dei muri perimetrali, sono da considerarsi al pari dei solai divisori di cui all’articolo 1125 c.c.” (A. Celeste, in Condominioelocazione.it, 2017).
Quanto alla parte che funge da protezione per l’affaccio (il parapetto), la Corte di Cassazione ha ribadito che: “Per questo tipo di balcone le spese per il rifacimento del parapetto in muratura dovranno essere poste a carico di tutti i condomini ai sensi dell’art. 1123, primo comma, c.c. poiché esso fa parte integrante della facciata dell’edificio.” (Cass. 21 gennaio 2000 n. 637).
Nella stessa pronuncia, la Suprema Corte ha, poi, aggiunto che: “Quanto al sottobalcone, nella tipologia del balcone incassato esso viene considerato alla stessa stregua dei solai, sicché la spesa relativa deve essere sostenuta da ciascuno dei proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti in ragione della metà (art. 1125 cod. civ.): infatti, la conformazione del balcone incassato fa sì che esso funga, contemporaneamente, da sostegno del piano superiore e da copertura del piano inferiore”.
Nel caso dei balconi aggettanti, al contrario, la giurisprudenza ha assunto una posizione sostanzialmente unanime, nel ritenerli non rientranti fra le parti comuni, in quanto non necessari all’esistenza del fabbricato, né destinati all’uso o al servizio di esso e, come tali, non ricompresi nei beni comuni di cui all’elencazione, sia pur meramente indicativa, di cui all’articolo 1117 del Codice civile.
Tali manufatti sono stati definiti un “elemento accidentale” della struttura del fabbricato in quanto, non avendo funzione portante rispetto ad esso, non possono essere destinati all’uso comune, ma sono solo destinati al godimento esclusivo da parte del proprietario dell’appartamento dal quale ad essi si accede e del quale costituiscono pertinenza e naturale prolungamento.
La Corte di Cassazione, più volte pronunciatasi sull’argomento, ha motivato in modo vario, ma sempre univoco, tale orientamento affermando che i balconi aggettanti sono del tutto autonomi strutturalmente e funzionalmente, in quanto ben possono sussistere indipendentemente dagli altri balconi eventualmente esistenti ai piani superiori o inferiori (Cass. 637 del 2000, già richiamata).
Essi non hanno la funzione di copertura del piano sottostante e, dunque, non soddisfano l’utilità comune ai due piani né, tantomeno, svolgono una funzione a vantaggio di un condòmino diverso dal proprietario dell’immobile cui direttamente afferiscono (Cass. Sent. 12 gennaio 2011, n. 587; Cass. Sent. 17 luglio 2007, n. 15913).
Naturalmente, la stessa Corte ha precisato che, nei balconi pur di proprietà esclusiva, si possono individuare porzioni che costituiscono beni comuni a tutti i partecipanti al condominio, qualora siano presenti rivestimenti esterni e/o elementi decorativi della parte frontale o di quella inferiore, di particolare pregio estetico o valore culturale ed artistico, a condizione che si inseriscano nel prospetto dell’edificio e contribuiscano a renderlo esteticamente gradevole (Cass. Sent. 30 aprile 2018, n. 6624).
In questo senso, una pronuncia di legittimità abbastanza recente (ed eloquente) ha riassunto in maniera chiarissima i principi appena esposti: “(…) i balconi aggettanti, costituendo un “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa, dovendosi considerare beni comuni a tutti soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole (ex multis, Sez. 2, n. 6624, 30/4/2012); perché il costo del recupero debba imputarsi al condominio non occorre che l’edificio mostri particolari pregevolezze artistiche o architettoniche, essendo sufficiente che il rivestimento esterno al balcone contribuisca alla gradevolezza estetica dell’intiero manufatto.” (Cass. Ord. n. 27083 del 25 ottobre 2018).
La conseguenza è che, normalmente, i frontalini, e tutto ciò che li riguarda, sia in termini di responsabilità da (omessa) custodia ai sensi dell’articolo 2051 del Codice civile, sia in termini di ripartizione delle spese, sarà di pertinenza del proprietario dell’appartamento il cui balcone presenta il frontalino ammalorato.
I frontalini sono sempre beni privati?
Come anticipato, il principio che vuole i frontalini dei balconi aggettanti come ordinariamente di proprietà privata, incontra una rilevante eccezione, tanto che essi perdono la loro caratteristica di beni privati per diventare beni comuni, e dunque di pertinenza condominiale, quando hanno una prevalente funzione estetica.
Ciò vuol dire che, qualora abbiano un rilevante pregio artistico, assumendo valenza decorativa ed ornamentale della facciata, divengono beni di proprietà comune a tutti i comproprietari (Cass. 14578/2004).
In quest’ultimo caso, ovviamente, le spese (per interventi ripristinatori o manutentivi) andranno ripartiti secondo il generale criterio del valore millesimale di proprietà, indicato nell’articolo 1123 del Codice civile.
Mantenendo fermi questi principi, che appaiono più che consolidati, è stato opportunamente evidenziato, anche di recente (Corte d’App. Roma, Sent. 27 giugno 2022, n. 4447), che l’individuazione di quegli elementi che svolgano una funzione architettonica, ed il conseguente regime di appartenenza, non può essere effettuata in astratto, ma deve risultare da una valutazione concreta, effettuata caso per caso, in base al criterio della funzione prevalente.
Secondo la Suprema Corte, qualora si dovesse aderire ad una diversa interpretazione ontologica ed ermeneutica, tali parti dell’edificio sarebbero sempre beni comuni, mentre, al contrario, è più corretto affermare che la loro appartenenza alla collettività sia conseguente alla funzione estetica eventualmente svolta, proprio per le caratteristiche esteriori (di particolare pregio) del balcone stesso, o di elementi di fregio che lo arricchiscono.
Per rendere più chiara la posizione della Corte capitolina, va evidenziato che nella fattispecie richiamata i giudici di appello non avevano riscontrato elementi rilevanti ai fini del decoro sui balconi in aggetto che fossero riconducibili alla proprietà comune, mancando la sussistenza di fregi o elementi decorativi di pregio, tali da far ritenere i balconi parti integranti della facciata, e, come tali, idonei ad imprimere una particolare fisionomia architettonica allo stabile.
In effetti, si trattava, nel caso di specie, di balconi dotati di semplici parapetti, del tutto anonimi e privi di elementi decorativi, muniti di ringhiere, le quali, per questo, non miglioravano in alcun modo il decoro complessivo dell’edificio.
Resta, pertanto, confermato che, quando il frontalino (del balcone aggettante) non abbia tali essenziali requisiti, così da non incidere in senso qualificante e migliorativo sull’estetica del fabbricato, dovrà ritenersi, al pari dei balconi, di esclusiva proprietà privata.
Il condòmino è responsabile per il distacco di intonaco dal balcone di sua proprietà esclusiva.
Con una recente pronuncia, la Corte di Cassazione penale (Sent. 24 agosto 2022, n. 31592) ha affermato che, in caso di omissione di lavori in costruzioni che minacciano la rovina dell’edificio, la mancata formazione della volontà assembleare, e l’omesso stanziamento dei fondi necessari per porre rimedio al degrado che ha originato il pericolo, non consentono di configurare un’ipotesi di responsabilità a carico dell’amministratore per il reato di cui all’art. 677 del codice penale, per non avere quest’ultimo dato corso a lavori per i quali non vi era effettiva disponibilità di cassa.
Tale iter logico argomentativo, coerentemente sviluppato, evidenzia, dunque, ulteriormente l’esclusiva responsabilità del singolo proprietario del bene, in capo al quale si pone l’obbligo giuridico di rimuovere la situazione pericolosa, indipendentemente dall’attribuibilità al medesimo dell’origine della stessa, in virtù della situazione di fatto e del relativo potere (sostanziale, oltre che) giuridico di intervenire direttamente sul manufatto posto sotto la sua custodia (Cass. Pen. Sent. 12 dicembre 2019), sulla scorta del dettato dell’articolo 2051 del Codice civile, che postula proprio una signoria sulla cosa oggetto del diritto.
Il provvedimento della Corte di Cassazione, la cui fattispecie riguardava proprio il pericolo di distacco (poi verificatosi) di frammenti di intonaco da alcuni balconi aggettanti di proprietà esclusiva, ha messo in luce, in maniera molto chiara, la posizione di garanzia assunta dal proprietario esclusivo del balcone, che, ad avviso del giudice di legittimità, non è delegabile, alle condizioni evidenziate, ad altri soggetti e neppure all’amministratore, se non in via mediata e gradata.
In ogni caso, nelle situazioni limite rispetto alle quali non vi sia certezza (immediatamente percettibile) della competenza ad intervenire, e che, almeno potenzialmente sembrano poter sfociare in un pregiudizio imminente e concreto per (gli altri) condòmini e terzi fruitori degli spazi sottostanti, appare consigliabile per l’amministratore accorto procedere comunque all’immediata mesa in sicurezza dell’area interessata dall’ammaloramento strutturale, slavo poi, alla prima assemblea utile, riferire all’assemblea, ai sensi dell’articolo 1135 del codice civile, anche ai fini della corretta, conseguente individuazione dell’effettivo obbligato.
In questo senso, conclusivamente, giova ricordare quanto stabilito dalla Corte di Cassazione sul punto: “Nel caso in cui l’amministratore, avvalendosi dei poteri di cui all’articolo 1135 c.c., comma 2, abbia assunto l’iniziativa di compiere opere di manutenzione straordinaria caratterizzate dall’urgenza, ove questa effettivamente ricorra ed egli abbia speso, nei confronti dei terzi, il nome del condominio, quest’ultimo deve ritenersi validamente rappresentato e l’obbligazione è direttamente riferibile al condominio.”(Cass. n. 2807 del 2 febbraio 2017)
Avv. Roberto Rizzo, Membro del Centro Studi di GESTIRE