Che faccia ha l’abusivismo edilizio nel 2018? Dov’è? Gli abbattimenti si fanno? Quali problemi, reali o presunti, ostacolano l’intervento delle ruspe e il ripristino della legalità? Cosa serve per dare la spinta a una nuova, importante, stagione di demolizioni? Sono queste alcune delle domande a cui Legambiente cerca di dare una risposta con questo dossier “Abbatti l’abuso”, di cui riportiamo i passaggi salienti.
È difficile sintetizzare l’abusivismo edilizio con un numero, mancando un censimento nazionale del fenomeno ed essendo i dati in circolazione spesso carenti. Secondo il rapporto Bes dell’Istat, nel 2015 l’abusivismo edilizio riguardava il 47,3% del patrimonio immobiliare al Sud, il 18,9% nelle regioni del Centro e il 6,7% al Nord. Analizzando il periodo dal 2005 al 2015, al Sud il dato non è mai sceso sotto il 24%, percentuale relativa al 2007. La Campania si conferma la regione più esposta al fenomeno, con una quota di 50,6 immobili fuorilegge ogni cento. Seconda è la Calabria con il 46,6% di edilizia illegale e terza è il Molise, con il 45,8%. Il dato nazionale dal 2005 al 2017 sale dall’11,9% al 19,4%.
Dal 2004 a oggi, in Italia, risultano eseguite il 19,6% delle ordinanze di demolizione emesse, ovvero ne mancano all’appello oltre l’80%. Se ci limitiamo a valutare il rapporto tra ordini di demolizione e abbattimenti, la performance migliore è quella del Friuli Venezia Giulia, con il 65,1%, quella peggiore è della Campania, con il 3% di esecuzioni. Se si considera il numero assoluto di ordinanze, allora la prospettiva si corregge: il Friuli Venezia Giulia ha un tasso di demolizioni alto a fronte di un numero basso di ordinanze (l’1,1% a livello nazionale), mentre la Campania detiene il record di ordinanze, oltre il 23% del totale nazionale. Risultano buoni i risultati della Lombardia, che con il 6,9% delle ordinanze nazionali ne ha eseguite il 37,3%, del Veneto (9,5% delle ordinanze nazionali di cui eseguite il 31,5%) e della Toscana (7,1% delle ordinanze nazionali di cui eseguite il 24,8%). Se guardiamo alle regioni storicamente più esposte al fenomeno dell’abusivismo, la Sicilia ha il 9,3% del totale nazionale delle ordinanze emesse e di queste ne ha eseguite il 16,4%, la Puglia ha abbattuto il 16,3% degli immobili colpiti da ordinanza che sono il 3,2% del dato nazionale, la Calabria, sul 3,9% delle ordinanze nazionali ha solo il 6% delle esecuzioni.
La legge prevede che se il proprietario di un immobile abusivo non rispetta l’ingiunzione alla demolizione entro 90 giorni, lo stesso viene automaticamente acquisito al patrimonio immobiliare pubblico. Ebbene, è evidente che negli uffici comunali preposti quasi nessuno pensa di dover seguire queste prescrizioni, visto che solo il 3,2% degli abusi non demoliti risulta oggetto di acquisizione al patrimonio comunale. La mancata ufficializzazione dell’acquisizione, oltre a essere una grave omissione di atti d’ufficio, comporta anche una responsabilità per danno erariale. Molto spesso, infatti, accade che le case restino nella disponibilità degli abusivi che ne godono senza alcun titolo e senza oneri.
C’è un’Italia abusiva, dunque, che resiste alle ruspe. Accanto a questo scenario, più diffuso di quanto si possa pensare, c’è la politica che millanta ipotesi di condono, che assicura di “risolvere il problema”, che – ancora oggi – chiede voti in cambio di promesse che non potrà mantenere. Se da una parte c’è chi spinge perché si vada avanti con gli abbattimenti, dall’altra c’è chi lavora, con costanza, per fermare le ruspe. E se proporre un condono edilizio vero e proprio è diventato ormai impopolare, allora ecco i tentativi di fare un condono mascherato, una leggina o un emendamento che, con qualche escamotage, raggiunga comunque l’obiettivo.
Il vessillo dell’abusivismo di necessità viene issato ogni qualvolta si avvicina la possibilità di un giro di vite sul fronte del ripristino della legalità. Appena una Procura si attiva in materia e programma uno sgombero per liberare l’abuso da abbattere, ecco che di colpo gli abusivi sono tutti senzatetto, ammalati o anziani con problemi di mobilità. Ed ecco che il politico di turno ne cavalca trionfalmente la difesa. Ma è un fenomeno che esiste davvero? Se sì, dove e quante famiglie riguarda? Perché non vengono aiutate con l’inserimento nelle graduatorie delle case popolari?
Rispetto al boom degli ultimi decenni del secolo scorso, l’abusivismo non è scomparso, ha sostanzialmente scelto di non dare troppo nell’occhio. È stato condizionato dalle restrizioni dei condoni, in particolare quelli del 1994 e del 2003 che hanno escluso gli immobili nelle aree a vincolo. Eppure, se si escludono gli anni di vero boom abusivo (quelli collegati agli annunci di sanatoria) in cui si arrivava ad una diffusione pari al 30% dell’edilizia totale, il rapporto fra la realizzazione di edifici abusivi e quella complessiva, era arrivato sotto il 10% (dal 2006 al 2009). Negli ultimi anni lo stesso rapporto è cresciuto fino a diventare il 16% nel 2017.
La regione leader, che imperterrita non smette di costruire abusivamente, è la Campania, che con 702 infrazioni accertate (18% del totale), 878 denunce e 243 sequestri guida la classifica nazionale. Al secondo posto, la Calabria con 478 reati, quindi la Puglia con 418 e il Lazio con 347. Quinta è la Lombardia con 253 infrazioni, seguita dalla Toscana con 251 e dalla Sicilia con 206.
Secondo uno studio di Sogeea, società che si occupa di consulenze in campo immobiliare, nel 2016 risultano ancora inevase 5.392.716 pratiche di condono edilizio, circa un quinto del totale. Le pratiche giacenti negli uffici tecnici dei Comuni italiani sono milioni e riguardano non solo l’ultimo condono, quello del 2003, ma anche quello del 1994 e, addirittura, quello del 1985.
Quello dell’arretrato è un problema comune, molto più significativo nelle città con un alto tasso di abusivismo. Ed è un problema, è bene sottolinearlo, sorto principalmente per la scelta deliberata delle amministrazioni locali di non occuparsene per interi decenni. Nella maggioranza dei casi non è stata nemmeno valutata l’ammissibilità delle domande, così un impressionante numero di case abusive sopravvive grazie all’etichetta di “condonabile” e i proprietari ne dispongono senza problemi per il solo fatto di aver presentato la domanda di sanatoria e aver versato l’oblazione corrispondente.
A conti fatti, questo dossier conferma una convinzione che Legambiente ha fatto propria da tempo: occorre rendere efficaci e certe le demolizioni, con il duplice obiettivo del ripristino della legalità violata e dello stimolo alle demolizioni in proprio. abbiamo maturato la convinzione che, accanto all’attività culturale di informazione e sensibilizzazione sul tema e a quella di denuncia, si debba agire dal punto di vista normativo, introducendo quattro modifiche specifiche a quanto previsto dal Titolo V del Dpr 380/2001.
In primo luogo, crediamo che si debba intervenire con una proposta legislativa che renda più rapido ed efficace l’istituto delle demolizioni degli immobili abusivi. In tal senso, è necessario avocare la responsabilità delle procedure di demolizione agli organi dello Stato, nella figura dei prefetti, esonerando da tale onere i responsabili degli uffici tecnici comunali e, in subordine, soggetti che ricoprono cariche elettive, ovvero i sindaci. Contestualmente, è necessario intervenire su altri tre aspetti significativi che concorrono all’efficacia delle procedure di ripristino della legalità in materia di abusivismo:
A queste, si aggiungono altre due previsioni per accelerare l’evasione delle pratiche di condono giacenti e per l’emersione del patrimonio immobiliare non accatastato, ossia le c.d. case fantasma, rilevato dall’agenzia delle entrate allo scopo di “fare cassa” con gli introiti derivanti dalla loro regolarizzazione fiscale.