La legge non vieta di tenere dei cani in casa, e neppure pone un limite numerico. Analogamente, il condominio non può vietare di tenere nella propria abitazione un animale di compagnia, a meno che nel regolamento ci sia una clausola in tal senso approvata da tutti i condòmini.
Questo, però, non significa che il padrone del cane non debba assumersi determinate responsabilità e rispettare alcuni obblighi di carattere amministrativo, che consistono nell’iscrizione dell’animale all’anagrafe canina; civile, evitando di recare molestie ai vicini e tenendo puliti gli ambienti privati e comuni; penale, cercando di non disturbare la quiete pubblica di tutto il palazzo con rumori molesti.
Se non esiste un limite legale sul numero dei cani da tenere in casa, c’è però l’obbligo di consentire eventuali controlli sulle condizioni in cui vengono tenuti: impedire che gli organi preposti possano effettuare queste verifiche comporterebbe il rischio di vedersi arrivare gli ispettori o degli agenti con in mano un mandato della Procura. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, è possibile procedere al sequestro del cane ogni volta che c’è una reiterazione del reato, magari perché il cane abbaia o piange in continuazione e disturba tutto il condominio.
Il fatto che la legge non ponga un limite al numero di cani che si possono tenere in casa e che il regolamento del condominio non possa vietare di tenere un animale, non significa che li si possa tenere in qualsiasi modo.
A confermarlo è una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 39844 del 2022, riguardante un caso di abbandono di animali, illecito punito dal Codice penale. Al centro della vicenda finita davanti agli ermellini, sette cani tenuti chiusi in una stanza all’interno di un appartamento di 40 metri quadri e in condizioni igieniche precarie.
Costringere quelle povere sette bestie, di cui cinque cuccioli, a vivere in quelle condizioni è reato, secondo la Suprema Corte. Già la Corte d’appello aveva accertato le condizioni di sporcizia dell’immobile e il fatto che l’igiene era praticamente inesistente, in un contesto fatto di pareti scrostate e piene di muffa, rifiuti vari per terra, mobili ammassati, piatti non lavati, panni ammucchiati e pavimento lercio. Inoltre, niente luce, a causa della tapparella rotta. I cani, inoltre, apparivano visibilmente trascurati e sporchi. Quanto basta, hanno scritto i giudici nella sentenza, per “una detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli animali e produttiva di grandi sofferenze”.
Parole confermate dalla Cassazione: non basta portare i cani a spasso ogni giorno per dimostrare di avere cura di loro, e nemmeno che ogni tanto si dia loro da mangiare. Come non è sufficiente argomentare che, siccome cinque dei sette cani erano cuccioli, una stanza piccola era per loro sufficiente.
Secondo la Suprema Corte, per configurare il reato di abbandono di animali è sufficiente tenerli in condizioni che creano nei cani non solo un processo patologico, cioè delle malattie, ma anche delle sofferenze. “Non va dimenticato a tal proposito – conclude la sentenza – che, secondo la legge n. 473 del 1993, gli animali di compagnia godono di una tutela diretta orientata a ritenerli come esseri viventi, e come tali devono essere considerati e trattati”.
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