Fino a pochi anni fa era una professione ambita; quasi uno status symbol. Oggi quella di architetto è un’attività letteralmente schiacciata dalla crisi, nonostante il 2015 sia stato un anno importante per l’economia italiana e per il settore delle costruzioni, che ha mostrato i primi, anche se modesti, segnali di ripresa; con il risultato di spingere gli architetti italiani sempre più verso una maggiore specializzazione, sia in attività tradizionali come redazione capitolati, perizie estimative, catasto, collaudi e sicurezza nei luoghi di lavoro, sia in quelle più innovative, come certificazione di classi energetiche, studi e progettazioni di fattibilità, project financing, facility management. È questo lo scenario tracciato dalla quinta edizione dell’Osservatorio sulla professione di architetto promosso dal Consiglio nazionale degli architetti in collaborazione con il Cresme.
LE ATTIVITÀ
Come conseguenza di questo scenario stanno decisamente mutando i modelli organizzativi degli studi professionali, che si stanno evolvendo verso una dimensione di maggiore interdisciplinarità; facendo riferimento al coworking, ovvero la condivisione degli ambienti di lavoro e dei costi fissi di gestione degli studi. Lo sviluppo del sito web e di un brand riconoscibile è la forma di promozione maggiormente utilizzata dagli architetti, mentre la diffusione di market-place nel settore della progettazione non rappresenta un’occasione da cogliere. Alcuni servizi sono ritenuti inutili se non dannosi, in quanto in grado di aumentare la concorrenza, ridurre i compensi e svilire le prestazioni intellettuali riducendole a mero prodotto commerciale.
LE TENDENZE
I dati dell’Osservatorio confermano alcuni dei trend più significativi che riguardano gli oltre 154mila architetti italiani. Nello specifico, continua il rallentamento della crescita degli iscritti agli Ordini provinciali; scende ancora, riducendosi ad una cifra inferiore ai 17mila euro, il reddito annuo. Contrazione che – tra il 2008 e il 2015 – è stata del -41%. Il numero di professionisti con un reddito inferiore a 9mila euro è cresciuto, infatti, dal 31,8% del 2013 al 34% del 2015, mentre la percentuale di architetti con un reddito annuo superiore a 30 mila euro è scesa dal 21% al 16,6%.
IL SETTORE
E non può che essere altrimenti. Considerato il crollo del settore delle nuove costruzioni e delle opere pubbliche, e seppur resistendo il segmento della riqualificazione e del risparmio energetico, gli architetti italiani, nel 2015, hanno avuto a disposizione appena 104mila euro a testa di mercato potenziale: il secondo valore più basso tra tutti i Paesi europei (superiore soltanto a quanto misurato per la Grecia); un terzo del mercato di riferimento pro-capite stimato per gli architetti tedeschi; tra otto e nove volte in meno rispetto a Francia e Regno Unito. Il mercato della progettazione ha, infatti, continuato a ridursi, portandosi a 16 miliardi nel 2015 (ancora -0,8% a valori reali rispetto al 2014). Tra 2015 e 2006 la dimensione del mercato è crollata del -45% (parliamo, a valori reali, di ben 13 miliardi di euro in meno).
I PAGAMENTI
Per i progettisti italiani la solvibilità della clientela continua ad essere un problema. Nel 2015 la percentuale di architetti che vanta crediti residui nei confronti della clientela privata è il 67%, il 6% in più rispetto alla situazione del 2014. Sono invece quasi un terzo gli architetti che attendono pagamenti da parte del settore pubblico, ma sono in leggero calo, nel 2015, i giorni necessari per ottenere un pagamento da parte della P.A., che si riducono da 200 a 141. Sono 115, invece, i giorni medi di attesa per i pagamenti delle imprese, e 84 giorni per i pagamenti delle famiglie.
GLI STUDI
I circa 70mila studi di architettura nel nostro Paese impiegano in media 4 addetti, 1,5 soci, un dipendente non architetto, 0,2 dipendenti architetti e 1,4 collaboratori con partita Iva. Confermata anche la difficoltà dell’inserimento professionale per i neo laureati. Nel 2014, ad un anno dal conseguimento del titolo di laurea di secondo livello in architettura (magistrale o magistrale a ciclo unico), il tasso di disoccupazione si è portato al 31% (era il 17% nel 2010). Dopo 5 anni il 60% degli architetti ha aperto la Partita Iva, ma sei su dieci collaborano in forma esclusiva con un unico studio.
PREVISIONI
Dall’Osservatorio si deduce che il perdurare della crisi per gli architetti, è testimoniato, in modo emblematico, dall’assenza del “progetto” che dovrebbe, invece, rappresentare il settore principale della loro professione, ma che continua invece ad essere mal pagato e troppo gravato di burocrazia. Senza una inversione di tendenza, che appare sempre più improcrastinabile, l’Italia perderà quel fondamentale know how di creatività e tecnica proprie della professione.