L’avvocato? Una professione prestigiosa, uscita dalla crisi, ma che continua a perdere attrattività. È la fotografia scattata dal Censis nel “Rapporto annuale sull’avvocatura italiana”, realizzato per la Cassa Forense. Ecco i punti salienti del report.
Tra il 1995 e il 2017 il numero di iscritti all’Ordine degli avvocati è cresciuto poco meno di 160.000 unità (+192% nel periodo), raggiungendo i 243.000 professionisti, cioè 4 avvocati ogni mille abitanti (contro un solo avvocato ogni mille abitanti nel 1990).
Tra il 2016 e il 2017 l’incremento è stato molto contenuto: +0,4%, mentre era stato del +1,9% nel 2016 rispetto al 2015.
In poco più di vent’anni le donne sono aumentate di quasi 95.000 unità (sei volte il dato relativo al 1995) rispetto all’incremento di 64.700 uomini (raddoppiati in poco più di vent’anni). Questo andamento ha inciso in maniera netta sull’identità e la composizione di genere della professione, che è passata dall’essere prevalentemente maschile all’essere oggi distribuita in maniera quasi paritaria (nel 1995 le donne rappresentavano il 25% del totale degli avvocati, oggi costituiscono il 47,8%).
La fase attuale segna la fine del ciclo di espansione quantitativa della professione. Se si guarda agli iscritti e agli immatricolati nei corsi di giurisprudenza delle università italiane, emerge un tendenziale assestamento solo in parte dovuto alla riduzione della componente giovanile della popolazione: tra gli anni accademici 2010-2011 e 2016-2017 c’è stata una riduzione di oltre 23.000 iscritti e mancano all’appello più di 10.000 immatricolati.
Il reddito medio annuo degli iscritti alla Cassa Forense nel 2015 è risultato uguale a quello registrato vent’anni prima, tanto da provocare una perdita di potere d’acquisto (calcolato sulle stime del valore del reddito rivalutato) pari al 29%. Nel 2016 il reddito medio è stato pari a 38.437 euro, quasi 100 euro in più rispetto al 2015.
La geografia dei redditi conferma una chiara polarizzazione: professionisti maschi, residenti al Nord, ultracinquantenni che dispongono di livelli di reddito medio-alti, e professioniste donne, giovani e residenti nel Centro-Sud con redditi decisamente inferiori alla media nazionale. Le donne ricavano dalla professione un reddito pari in media al 43,8% dei colleghi maschi, inferiore in valore assoluto di quasi 30.000 euro l’anno.
Se si considera la distribuzione per fasce d’età, senza distinzione di genere, si nota un livello soglia, rappresentato dal compimento del 45° anno d’età, che costituisce un vero e proprio punto di svolta per il reddito degli avvocati, che passa da un livello medio di poco superiore ai 29.000 euro l’anno a oltre 41.000 euro.
Tra il 2015 e il 2016 le differenze di genere sembrano più sfumate (in diverse fasce d’età il reddito delle avvocate è cresciuto in misura maggiore rispetto a quello dei colleghi uomini), ma il gap generazionale si consolida. Di fatto, solo gli avvocati con età compresa tra i 70 e 74 anni hanno visto crescere in maniera significativa i propri redditi.
Rispetto all’indagine del Censis del 2015, nel 2018 diminuisce la percentuale di avvocati che prevedono un miglioramento della propria condizione futura (dal 36,8% del 2015 al 29,3% di oggi). Le aspettative di mantenimento degli attuali livelli di reddito o di miglioramento sono più elevate tra le donne (il 31,2% attende un miglioramento rispetto al 27,8% degli uomini) e tra i giovani (il 45,7% contro una media del 29,3%). Gli avvocati attribuiscono la causa della perdita di prestigio ai comportamenti opportunistici messi in atto da molti professionisti di fronte alla crisi: il 76% ritiene che tutto ciò abbia inficiato l’immagine della professione.
Di contro, quasi la metà della popolazione italiana (il 45,9%) ritiene che il prestigio della professione negli ultimi anni sia rimasto invariato. Eppure gli italiani confermano una caduta di attrattività della professione: secondo il 44% si tratta di una professione che costringe per troppo tempo a una condizione di precarietà, mentre il 21% ritiene che non garantisce più adeguati sbocchi professionali.
Gli stessi avvocati avvertono una sorta di delusione delle attese coltivate negli anni di formazione: oltre il 70% definisce la propria esperienza professionale al di sotto delle aspettative nutrite da studente di giurisprudenza. Il 30% arriverebbe a sconsigliare a uno studente di intraprendere la professione forense, mentre il 44% gli farebbe cambiare idea a meno di una forte motivazione.
Nel rapporto tra gli italiani e l’avvocato oggi l’atteggiamento è orientato a una fiducia condizionata. Il 48% considera obbligatoria la condivisione delle linee di tutela, mentre solo il 16,6% afferma che un avvocato deve decidere autonomamente la difesa del cliente e per un ulteriore 25% il professionista ha solo l’obbligo di informare il cliente sulle possibilità di successo o insuccesso dell’incarico. Oltre un terzo degli italiani, inoltre, valuta la richiesta di compenso della prestazione professionale in funzione del grado di trasparenza e di informazione ricevuta dall’avvocato nei confronti della complessità della prestazione richiesta. Il 31,4% guarderebbe, invece, al risultato ottenuto e pagherebbe solo dopo aver verificato l’impegno e la diligenza dell’avvocato. Il 7,5% pagherebbe la prestazione solo in caso di successo, mentre il 27,6% riconosce che l’avvocato non può garantire il risultato voluto dal cliente e che la prestazione va pagata a prescindere dall’esito della causa.
Cresce l’utilizzo dei servizi on line di Cassa Forense, soprattutto da parte degli avvocati localizzati nel Mezzogiorno e nelle Isole. Chi ha utilizzato almeno uno dei servizi di Cassa Forense (che rappresentano il 91% del campione) esprime un giudizio di soddisfazione complessivo nel 67% dei casi. Fra i servizi più «popolari»:
Circa la metà degli avvocati considera maggiormente efficaci, fra le attività di comunicazione messe in campo da Cassa Forense, il potenziamento dei servizi telematici e lo sviluppo del sito Cassaforense.it.
“Dai dati del Rapporto sull’avvocatura elaborato da Censis e Cassa Forense emerge una situazione che ci predispone ad un approccio diverso rispetto al futuro – ha commentato Nunzio Luciano, presidente di Cassa Forense e vice presidente vicario Adep –. Siamo usciti dalla crisi economica e finanziaria e cominciamo, anche per quanto riguarda l’avvocatura, a ragionare su interventi non più d’emergenza ma prospettici che tengano in considerazione le tre variabili più importanti: quella di genere, quella anagrafica e quella del reddito, sia pur più sfumata rispetto al passato. Fra i problemi che emergono con più evidenza c’è la riduzione del numero di iscritti ai Dipartimenti di Scienze giuridiche delle università italiane. Tema che induce a chiederci perché la professione forense non è più così attrattiva soprattutto per i giovani. Colpisce che accanto alle ragioni economiche vi sia anche una certa sfiducia da parte della popolazione nei confronti del servizio giustizia. È importante, nel contempo, che nella scelta di un avvocato pesi la fidelizzazione con il cliente e la competenza, anche se dai dati emerge una fiducia condizionata spesso all’esito positivo della prestazione professionale. Infine, è molto positivo che dagli avvocati italiani venga riconosciuto il ruolo di Cassa Forense in ambito sia previdenziale che assistenziale, atteso che stiamo lavorando ad un welfare integrato. Vuol dire che siamo sulla strada giusta”.