Mentre dall’approvazione in prima lettura al Senato del decreto fiscale emerge lo stop alla possibile estensione ad Imu e Tasi della cosiddetta rottamazione ter, quello delle imposte patrimoniali resta un argomento caldo del dibattito politico, sulla scia dell’ipotesi, fattasi strada nei giorni scorsi, che Bruxelles, dopo la bocciatura della nostra manovra economica, possa chiederci, appunto, l’applicazione di una nuova patrimoniale. Una proposta che il coordinatore dell’ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo, ha fin da subito respinto con forza: “Sono già una quindicina le imposte patrimoniali che gli italiani sono costretti a pagare ogni anno. Nel 2017, ad esempio, tra l’Imu, la Tasi, l’imposta di bollo, il bollo auto, etc., abbiamo versato al fisco 45,7 miliardi di euro. Rispetto al 1990, il gettito riconducibile alle imposte di possesso sui nostri beni mobili, immobili e sugli investimenti finanziari in termini nominali è aumentato del 400 per cento, mentre l’inflazione è cresciuta del 90 per cento. In buona sostanza, in oltre 25 anni abbiamo subito una vera e propria stangata”. Peraltro va segnalato che quasi la metà del gettito complessivo (21,8 miliardi di euro) è ascrivibile all’applicazione dell’Imu/Tasi sulle seconde/terze case, sui capannoni, sui negozi e sulle botteghe artigiane.
Rispetto a qualche anno fa, tuttavia, il gettito delle imposte patrimoniali è leggermente in calo. Come ricorda il segretario della CGIA, Renato Mason: “Dal 2016 le famiglie e le imprese beneficiano dell’abolizione della Tasi sulla prima casa, dell’Imu agricola e dell’Imu sugli imbullonati. Queste misure, approvate dall’allora governo Renzi, ci hanno permesso di risparmiare poco più di 4 miliardi di euro all’anno. Una leggera boccata d’ossigeno che, comunque, risulta essere ancora insufficiente visto che l’incidenza del prelievo sul Pil è ascrivibile alle patrimoniali è al 2,7 per cento”.
Le imposte patrimoniali analizzate nel periodo 1990-2017 sono state:
Dalla CGIA tengono a precisare che le imposte patrimoniali sono quelle che di fatto gravano sulla ricchezza posseduta dalle persone in un determinato momento. La ricchezza è intesa in senso ampio e comprende i beni immobili (case, terreni), i beni mobili (auto, moto, aeromobili, imbarcazioni), gli investimenti finanziari, etc.. Di solito, nei manuali di diritto tributario le imposte patrimoniali sono classificate come imposte dirette. Queste ultime sono quelle che colpiscono direttamente la capacità contributiva del contribuente senza attendere che si verifichino fatti o atti particolari. Mentre le imposte indirette richiedono, per poter essere applicate, il verificarsi di un determinato evento. L’Iva, ad esempio, si applica quando avviene la cessione di un bene o la prestazione di un servizio. Le imposte sulle successioni e sulle donazioni, sebbene classificate come imposte indirette, vengono considerate come una forma di imposizione patrimoniale, in quanto colpiscono la ricchezza. Si tratta delle uniche imposte indirette che i testi di diritto tributario includono tra le imposte di carattere patrimoniale.
Nel 2012, a seguito delle misure introdotte dal Governo Monti, l’imposizione patrimoniale è cresciuta, rispetto al 2011, di 12,8 miliardi di euro: un balzo di oltre il 40 per cento. Mentre nel 2013 si è avuta una temporanea flessione dovuta all’abolizione dell’ Imu sulle abitazioni principali.
In termini di gettito, le imposte più impegnative per i contribuenti italiani sono l’Imu e la Tasi: nel 2017 hanno garantito alle casse dello Stato e dei Comuni quasi 21,8 miliardi di euro. Seguono il bollo auto (6,7 miliardi di euro), l’imposta di bollo (6,3 miliardi di euro) e l’imposta di registro (5,3 miliardi di euro).
L’andamento del gettito delle imposte patrimoniali è contrassegnato dall’istituzione o dall’abolizione di alcuni tributi: