[A cura di: Mario Fiamigi – vice presidente nazionale Appc] Quando Vincenzo Vecchio mi ha parlato del piano INA-Casa e di come questo grande progetto edilizio potesse essere ancora fonte di ispirazione per i tempi grami che stiamo vivendo francamente non sono riuscito a nascondere un certo scetticismo.
Come poteva una legge approvata dal Parlamento Italiano il 28 febbraio 1949, quindi settantadue anni fa, avere una qualche valenza oggi? Ebbene, quel momento storico ha molte coincidenze con la situazione attuale e conoscere gli strumenti che furono adottati allora per avviare il Paese ridotto in condizioni spaventose dopo una tragica guerra persa a una graduale rinascita che culminò nel il boom economico degli anni 60 e che portò l’Italia a diventare una potenza industriale ci aiuta a capire di cosa abbiamo bisogno oggi per riprenderci dal collasso economico post covid.
Il primo aspetto che colpisce è il fortissimo contenuto etico che pervade tutta la legge, vista come uno strumento per dotare centinaia di migliaia di famiglie di una nuova casa, moderna e salubre, elemento fondamentale per la lotta contro la povertà. Idee ispirate dall’etica cristiano sociale che nella Democrazia Cristiana di allora faceva riferimento a grandi personalità quali Amintore Fanfani, Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti.
Ma nello stesso tempo i legislatori avevano ben presente che la casa e l’edilizia erano i principali motori economici per creare occupazione come risulta scolpito dal titolo lapidario della legge: “Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia agevolando la costruzione di case per lavoratori”.
Parole chiare e comprensibili, come chiaro e comprensibile è l’intero testo normativo distante anni luce dagli attuali bizantinismi burocratici.
Dalla spinta ideale e dalla chiarezza degli intenti e dei fini che si volevano perseguire ne è derivato la concreta attuazione della legge e gli straordinari risultati che ne conseguirono:
Due i perni fondamentali su cui si poggiò la realizzazione di quella che sembrava un’utopia:
Il primo ex partigiano, grande manager ma profondamente legato agli ideali cristiano sociali nel 1960 lasciò la vita pubblica per farsi frate trappista; il secondo eminente figura di intellettuale, preside della facoltà di architettura dell’università di Roma, esponente di quella scuola romana che assunse un ruolo fondamentale alla fine del conflitto bellico.
Quale ispirazione e insegnamento possiamo trarre oggi, quindi, da questa grande esperienza sociale, economica, morale che pose le fondamenta alla rinascita economica e fece entrare l’Italia nel club delle grandi potenze?
Prima di tutto che l’edilizia è la chiave della ripresa economica e che la casa deve essere al centro di ogni piano di ricostruzione materiale e sociale sostenuto da idee innovative per finanziare i progetti di ristrutturazione.
Poi, che l’attuazione concreta deve essere affidata a pochi e riconoscibili soggetti, con vere competenze manageriali, chiamati a dirigere la filiera burocratica e responsabili davanti all’opinione pubblica. Ma la legislazione, il fare le leggi, non può rinunciare a grandi ideali condivisi, a un ancoraggio etico fondato su salde basi morali, a conoscenze intellettuali messe a servizio della comunità.
La grande incognita è se i partiti oggi rappresentati in parlamento abbiano la forza, le intenzioni e le capacità per affrontare questa nuova sfida così come fecero, realizzando i loro ideali, gli uomini che nel 1946 si assunsero il difficile compito di ricostruire l’Italia.