Elezioni politiche 2018: quali scenari per il Paese e la sua economia
E ora? Per una volta, prima ancora dello stucchevole balletto del “chi ha vinto e chi ha perso”, l’unica domanda che la maggioranza assoluta degli italiani si trova, legittimamente, a porsi è questa. Già, perché, a scrutini ormai quasi ultimati, la sola certezza assoluta è che nessuna delle forze scese in campo, singolarmente o in coalizione, ha i numeri per governare, a meno di intricate alleanze che, per come si stanno profilando, rischierebbero di rappresentare un rimedio peggiore del male.
Gli scenari
Premesso che alla Camera le proporzioni sono leggermente diverse rispetto al Senato, attualmente in entrambi i rami del Parlamento la situazione è analoga, con il Centrodestra di Salvini, Berlusconi e Meloni (in ordine di preferenze raccolte) prima coalizione, ma sotto la soglia del 40% stimata come utile per avere la maggioranza dei seggi; e il Movimento 5 Stelle a vantare lo scettro di primo partito, anche in questo caso, tuttavia, con numeri insufficienti.
Ora, aldilà di conteggi che saranno ufficiali e definitivi soltanto tra alcune ore, le prospettive perché si concretizzi una maggioranza, per quanto fragile, sono le seguenti:
- un accordo tra Lega e M5S, con l’eventuale aggiunta di Fratelli d’Italia;
- un’intesa tra Pd e M5S, con Leu (Liberi e Uguali) a fare da collante.
Tra le due ipotesi – comunque, al momento, ancora remote – la meno improbabile pare la prima, data la (diciamo così) non chiusura assoluta di Salvini ai pentastellati in questi mesi di campagna elettorale.
Sul secondo scenario, invece, pesa molto il futuro di Renzi: lo stesso ex premier, che ha più volte dichiarato, anche negli ultimi giorni, che non avrebbe mai preso in considerazione un eventuale abboccamento con Di Maio, è, infatti, anche il principale sconfitto di questa tornata elettorale, e occorrerà dapprima comprendere quale ne sarà il ruolo, e/o da chi sarà rivestito in sua vece.
Alternative? Non essendovi materialmente i numeri per un’alleanza tra Forza Italia e Pd in grado di sostenere un Esecutivo, e con un Partito Democratico uscito troppo indebolito dalle urne perché si possa anche soltanto ipotizzare una prosecuzione dell’esperienza Gentiloni aldilà della scadenza del mandato, c’è chi prospetta la suggestione di un Governo di unità nazionale finalizzato a mettere nuovamente mano alla legge elettorale. Ma ancora una volta, si tratta di fantapolitica.
Le certezze
A fronte di uno scenario così (prevedibilmente) ingarbugliato, le poche certezze consentono comunque di delineare una tendenza aggregata intorno ad alcune incontrovertibili considerazioni:
- Ha vinto la protesta
C’è chi lo definisce populismo, chi voglia di rinnovamento. In tutti i casi, ciò che ha spinto quasi la metà di quei tre quarti di italiani che si sono recati alle urne (e, quindi, complessivamente, circa 4 italiani su 10) a votare per Lega e M5S è il desiderio da una parte di dare una svolta ad un Paese da troppo tempo impantanato, e dall’altro di dare una scossa, un segnale, alla politica per così dire “tradizionale”.
- Ha perso la politica “tradizionale”
Politica “tradizionale” – quella dei Berlusconi, dei Renzi (ma anche dei Bonino e dei Grasso, per dirla tutta) che esce invece dalle urne con le ossa rotte, pur con i dovuti distinguo. Sia Berlusconi a suo tempo, sia Renzi nel più recente passato, hanno dilapidato un immenso patrimonio, se non necessariamente di credibilità, perlomeno di consensi: auto-immolatisi in tempi diversi sull’altare di un carisma e di un culto della persona da essi stessi sopravvalutato, con le inevitabili conseguenze – più o meno pilotate dall’esterno – che perfino in Italia arriva a pagare chi tira troppo la corda.
- Un futuro tutt’altro che roseo
Non occorre fare le Cassandre per vaticinare un futuro nuovamente cupo anche laddove i vincitori parziali di queste elezioni intravedono rosei e floridi scenari. Innanzitutto, dopo anni trascorsi ad attendere votazioni indicate come la panacea di tutti i mali, le forze politiche, nessuna esclusa, si sono presentate all’appuntamento con un campionario di volti, proposte e programmi da cui era francamente legittimo attendersi di più. Quasi inevitabile che al termine di una delle campagne elettorali più povere di contenuti a memoria di italiano, le urne abbiano restituito un Paese nuovamente spaccato e pressoché ingovernabile, a prescindere dagli evidenti limiti della legge elettorale.
- Inaffidabili agli occhi dell’Europa
L’immagine dell’Italia agli occhi dell’Europa? Quella di un Paese instabile, poco credibile, che ancora una volta stenta a darsi un Esecutivo solido, e in cui le uniche forze veramente in crescita sono quelle di protesta, che storicamente funzionano più all’opposizione che al Governo; e d’altra parte non è forse un caso che in una città come Torino il primo partito si sia confermato il Pd, a dispetto di due anni di amministrazione della pentastellata Chiara Appendino, partita con un credito di entusiasmo e di aspettative che sta almeno in parte pagando il conto alla realtà quotidiana.
- La corsa contro il tempo
Con le attuali carte in tavola, ora più che mai è d’obbligo accelerare i tempi, per farsi trovare in un qualunque modo pronti al formale appuntamento di fine mese con le consultazioni (e prima ancora con l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, che già rappresenterà, se non un banco di prova, quantomeno un’indicazione di rotta). La patata nelle mani di Mattarella è quanto mai bollente, e la sua temperatura promette di innalzarsi ulteriormente se (come è probabile) il presidente sarà stretto in una duplice morsa: da una parte le istanze di chi ritiene di aver vinto, e lo spettro di eventuali disordini di piazza, dall’altra le pressioni esercitate dai mercati anche per pilotare indebitamente il futuro del nostro Paese.
Il tempo è poco, le responsabilità molte e il rischio concreto: quello che la nostra economia – ivi compresi quei comparti, come la casa e l’edilizia, che apparivano finalmente in parziale ripresa – ricominci a veder le stelle. E non soltanto 5.