[A cura di: Pierluigi Rancati, segr. gen. Sicet Lombardia]
L’inflazione dei prezzi immobiliari prima della crisi e poi la lunga fase di recessione e stagnazione economica hanno aggravato il problema dell’alloggio. La domanda di casa è aumentata anzitutto nelle sue componenti più critiche, perché è una domanda in massima parte formata dalle fasce di popolazione più svantaggiate cui resta precluso o difficile l’accesso al sistema abitativo.
Le abitazioni sul mercato non mancano: gli anni ruggenti dell’ultimo ciclo immobiliare ci hanno lasciato un’edificazione estesa, per quantità di cubature realizzate e per consumo di suolo, ma di nessuna utilità rispetto alla domanda sociale d’alloggi, e con evidenti ricadute in termini di bassa qualità urbana e ambientale delle nostre città.
LE POLITICHE
In Lombardia, al netto delle abitazioni turistiche, si contano 100.000 alloggi di proprietà privata non occupati, 30.000 di nuova costruzione. Nonostante le molte case rimaste invendute e gli sforzi per introdurre nel nostro Paese un comparto di housing sociale che affianchi il mercato privato e l’edilizia residenziale pubblica, il quadro attuale del problema casa è connotato dal fatto che non c’è offerta abitativa accessibile, ed è un’assenza che chiama in causa anzitutto la responsabilità pubblica. L’azione pubblica ha latitato sia sul tema della regolazione del mercato e delle garanzie normative per tutelarne l’accesso da parte della domanda casa vulnerabile, sia su quello della politica d’offerta di alloggi edilizia pubblica per la domanda con più grave disagio. Sarebbero in tutta evidenza occorse politiche di spesa e di riforma legislativa per apprestare un’azione riparatrice verso i settori di domanda più svantaggiati e vulnerabili, invece il vuoto di sfera pubblica sulla casa negli ultimi vent’anni, tanto quanto la bolla speculativa sugli immobili e la crisi economica, ha determinato severe conseguenze sociali.
Anzitutto, i tagli alla spesa statale per la casa e, in particolare, per l’edilizia popolare sono alla base della difficoltà del sistema pubblico nel suo complesso di organizzare nel territorio una valida politica di contrasto all’emergenza casa e al rischio di deprivazione abitativa. Le misure statali e regionali adottate negli ultimi anni, in particolare quelli dall’inizio della crisi ad oggi, non incidono sulla dimensione dei problemi e si dimostrano inutili o, nel migliore dei casi, riguardano minime frazioni della domanda sociale. Benché se ne parli come fossero politiche innovative, non sono altro che interventi residuali di assistenza abitativa, ovvero sono l’altra faccia di un operoso disfacimento del sistema delle politiche di welfare in campo abitativo.
GLI SFRATTI
L’effetto d’insieme di queste politiche, o, per meglio dire, di non-politiche per la casa, è una grave ripresa dell’emergenza abitativa. Prova ne sono gli oltre 12.000 nuovi provvedimenti di sfratto emessi ogni anno in Lombardia (1 sfratto ogni 358 famiglie in locazione) e le 55.000 domande nelle graduatorie per l’assegnazione di una casa popolare nella regione a fronte di una disponibilità media in corso d’anno di circa 3.000 alloggi pubblici assegnati. Sono cifre che, pur prese come indicatori molto parziali del disagio e del fabbisogno abitativo, già dovrebbero far riflettere sull’imbarazzante sproporzione tra domanda casa e politiche d’offerta sociale.
Secondo i dati del rapporto annuale per l’anno 2015 del Ministero dell’Interno, la Lombardia è la regione che presenta il maggior numero di sentenze di sfratto, il 19% del totale nazionale. La Lombardia è anche la regione con il maggior numero di sfratti eseguiti con l’intervento dell’ufficiale giudiziario (il 17,6% del totale nazionale) ed è un dato che non tiene conto dei rilasci spontanei, a fronte delle 61.268 richieste di esecuzione presentate dalla proprietà agli ufficiali giudiziari (il 18% in più rispetto al 2014).
Ad alcuni è sembrato che la flessione del numero di nuove convalide di rilascio e di sfratti eseguiti con l’intervento dell’ufficiale giudiziario possa dirsi indicativo di una problematica affatto diversa dall’emergenza abitativa, ma è una conclusione sbagliata. Anzitutto si deve considerare l’incompletezza dei dati, che comporta cifre sottostimate rispetto ai numeri effettivi della situazione degli sfratti. Inoltre, ed è la cosa più importante e che fa la differenza ai fini dell’analisi del problema, si deve considerare il preponderante e persistente numero di sfratti per morosità del conduttore. Essi sono cresciuti dal 2009 ad oggi fino a costituire la quasi totalità dei nuovi provvedimenti di rilascio.
LA MOROSITÀ
Gli sfratti per morosità sono sempre rimasti esclusi dalla protezione prevista dai decreti legge di sospensione delle esecuzioni, accordata ai soli titoli per finita locazione. Nella ricerca di un rimedio, questa domanda ha gravitato tutta sulle ridottissime o inesistenti disponibilità d’offerta di alloggi pubblici da parte delle amministrazioni locali. Allora si è introdotto nel 2014 il criterio della “morosità incolpevole”, per fatto sopravvenuto alla stipula del contratto di locazione (licenziamento, mobilità, malattia grave, ecc.), per distinguere un gruppo più meritevole di tutela, come se alla restante e maggioritaria parte delle famiglie sottoposte a provvedimento di sfratto toccasse pure lo stigma di una colpevole incapacità, ab origine della locazione, di pagare l’affitto di mercato o, in alternativa, di reperire autonomamente una diversa e sostenibile soluzione abitativa.
I CONTRIBUTI
In pochi anni, seguendo il flusso calante delle risorse pubbliche, le erogazioni agli inquilini per l’assistenza abitativa si sono trasformate in contributi pagati in via diretta ai proprietari nel vano tentativo di distoglierli dall’attivazione della procedura di sfratto, con il ristoro totale o parziale del debito dell’inquilino, o per garantire il ricavo del locatore in caso di prosieguo della locazione o di differimento dell’esecuzione o di novazione del contratto con un affitto minore. Un dato fra i tanti: ai tempi di massimo splendore del fondo sostegno affitti lombardo (2000-2010), che, peraltro, copriva fino a 70.000 domande l’anno di aiuto, faceva clamore l’erogazione di importi che per qualche migliaio di casi potevano essere di 6-7.000 euro di contributo a famiglie con grave disagio economico, ma nessuno sembra turbarsi per erogazioni al proprietario che, con il decreto del 30 marzo 2016 sul fondo nazionale per la morosità incolpevole, possono arrivare a 12.000 euro.
Sta di fatto che, mentre con il 2016 sono stati azzerati gli stanziamenti per il fondo sostegno affitti, la gamma delle misure emergenziali è stata ulteriormente implementata in ambito lombardo con risorse autonome della Regione per interventi a garanzia nella stipula di contratti di locazione o microcredito all’inquilino in caso di temporanee difficoltà di pagamento, ovvero per soluzioni alloggiative transitorie o per incentivare la proprietà a locare l’alloggio con l’intermediazione degli uffici casa del Comune o di agenzie per l’affitto promosse in ambito locale.
Il presupposto di tutte queste diverse forme di intervento è però uno solo: il soggetto destinatario delle misure di sostegno è una famiglia che dentro l’attuale crisi economica e sociale patisce sì una difficoltà, ma temporanea. Ma questo idealtipo di famiglia che per le politiche pubbliche in questa fase affollerebbe il limbo del disagio e dell’emergenza abitativa non è reale.
LE FAMIGLIE
L’impoverimento diffuso e gli effetti sociali della crisi economica non sono di breve durata e, nel comparto abitativo, la proprietà e tutta la filiera del mercato immobiliare sanno difendere molto bene le proprie quote di rendita.
Famiglie in emergenza abitativa e con sfratto per morosità che possano a breve termine recuperare la propria autonomia economica, così da garantire l’assolvimento degli obblighi del contratto stanti i profili correnti di canone, sia esso libero o concordato, o che siano propense a passare dallo sfratto a un alloggiamento provvisorio e garantire il rilascio e la restituzione spontanea dell’alloggio al termine della locazione temporanea, o che possano impegnarsi al rimborso dell’aiuto economico ricevuto, se ne trovano poche. Infatti, le situazioni vagliate dalle citate misure si contano in Lombardia in un ordine di grandezza che varia da alcune decine a poche centinaia di famiglie.
D’altra parte, sono ugualmente radi i proprietari di abitazioni disposti a concedere, pur in presenza di misure di sostegno e garanzia, il mantenimento della locazione all’inquilino che si è reso inadempiente nel pagamento del canone o il differimento dell’esecuzione dello sfratto o la locazione dell’alloggio sfitto con l’intermediazione dell’agenzia locale per la casa.
LE MISURE
Considerando l’inefficacia e finanche l’irrilevanza delle misure attuate, per rapporto alla spesa impegnata e al numero degli effettivi beneficiari, sarebbe doveroso e perfino ovvio concludere che, sulla base della vigente regolazione del mercato delle locazioni e senza incrementare la disponibilità di alloggi pubblici, con le sole erogazioni assistenziali a garanzia del reddito della proprietà non si può fare contrasto all’attuale crisi abitativa. Invece, si è preferito puntare gli interventi su un frammento dell’emergenza casa, quello un po’ più attrezzato rispetto all’area del disagio duro e del grave svantaggio economico, selezionando per la presa in carico i soggetti più adatti ad essere accompagnati a un recupero di autonomia. In questo modo, la politica abitativa se da una parte è di scarso impatto sulla realtà del problema casa, dall’altra finisce per escludere e discriminare l’accesso di fasce vieppiù consistenti di povertà e svantaggio da qualsivoglia rete pubblica di protezione e d’offerta sociale.
LA POVERTÀ
Nemmeno l’edilizia residenziale pubblica sembra più capace di offrire una concreta alternativa di accesso al sistema abitativo della domanda casa in condizioni di più grave disagio e svantaggio economico. Non è solo questione di esiguità dell’offerta di alloggi sociali; c’è in atto anche una ristrutturazione dell’ordinamento di settore. Di fronte alla crisi del sistema d’offerta e di gestione delle case popolari si è messo mano in Lombardia ad un rifacimento dell’intero corpo normativo con una sola evidente priorità: ripristinare la sostenibilità economica della gestione degli alloggi sociali in capo alle aziende regionali di settore (le Aler).
In mancanza di flussi importanti e continuativi di spesa provenienti dal bilancio pubblico, sia per compensare gli obblighi di servizio posti a carico dei gestori, sia per l’attività di conservazione e recupero del patrimonio, l’idea di sostenibilità economico-finanziaria dell’edilizia pubblica si focalizza sulla tipologia sociale cui sono destinati gli alloggi. In un primo tempo i decisori pubblici si sono posti l’obiettivo di spostare l’offerta abitativa su un target sociale diverso, stante l’asserita presenza di una «fascia grigia»: vale a dire, la fascia dei troppo ricchi per entrare nell’edilizia pubblica, ma non abbastanza per accedere al mercato.
Ora la prospettiva è un’altra: quella relativa alla «fascia dei troppo poveri» per la casa popolare. La pletora d’utenza povera nelle case popolari minaccia l’equilibrio finanziario delle aziende, riducendo le entrate da canoni, e infrange le speranze di ristabilimento della sostenibilità economica della gestione, perciò bisogna “scartarne” una parte e puntare a un rilevante ricambio sociale dell’utenza, travestito da politiche di mix abitativo. Da qui l’idea di una riforma normativa che spinga il sistema dell’edilizia pubblica ad un cambiamento del modello d’offerta per limitare o precludere alla domanda sotto la soglia di povertà; ed “esternalizzi” l’onere della presa in carico dell’utenza povera presente nelle case popolari trasferendolo tendenzialmente fuori dal sistema aziendalistico della gestione dell’Erp.
Limitata o condizionata l’assegnazione di un alloggio pubblico ai poveri, agli sfrattati, agli immigrati o ai soggetti con altri stigmi del disagio abitativo acuto, la risposta istituzionale all’emergenza casa, eliminato altresì lo strumento dell’assegnazione in deroga alla graduatoria per intervenire sul bisogno urgente, si risolverà nell’improbabile offerta di servizi abitativi transitori.