[A cura di: Cgil e Sunia] Lo stanziamento di 140 milioni di euro previsto nel DL 34/2020 per il contributo all’affitto rappresenta una somma decisamente insufficiente rispetto al fabbisogno che, già prima della straordinaria emergenza sanitaria, le stesse Regioni avevano stimato in 450 milioni.
Ma quello che maggiormente preoccupa sono le modalità di utilizzo delle nuove risorse e i criteri di assegnazione del contributo che, a nostro avviso, non possono prescindere da tre priorità:
Il decreto si limita a disporre lo stanziamento sul fondo di sostegno all’affitto che è soggetto a procedure e soprattutto criteri di assegnazione del contributo che non possono incidere su queste priorità, in particolare sulla domanda originata dalla crisi sanitaria in atto e sulla morosità incolpevole pregressa e sopravvenuta, a causa dei criteri previsti dalla vigente normativa.
È necessario che nella fase di conversione in legge si metta mano a questa gravissima anomalia prevedendo:
È necessario un intervento urgente per frenare il ricorso allo sfratto per morosità considerato che alle difficoltà economiche degli inquilini e al livello alto dei canoni di locazione che si registrava prima dell’emergenza sanitaria si aggiungono le situazioni di morosità incolpevole moltiplicate da marzo ad oggi e presumibilmente destinate ad aumentare dopo la fine degli interventi temporanei a sostegno delle famiglie e dei periodi coperti dalla cassa integrazione.
L’intervento normativo dovrà essere indirizzato a poter affrontare a “monte” le difficoltà e le criticità prima che siano avviate azioni di sfratto per morosità, costituendo quindi una valutazione della “morosità incolpevole” preventiva rispetto all’attività giudiziaria e comunque utilizzabile anche nei giudizi eventualmente avviati e in particolare miri a:
Con la necessità di fronteggiare un disagio abitativo moltiplicato nelle sue dinamiche e dimensioni dagli effetti economici e sociali dalla crisi sanitaria indotta dalla pandemia, che dimostra ancor di più l’impossibilità di una risposta affidata esclusivamente al mercato della locazione privata e che già mostra punte crescenti di difficoltà, con il rischio di un ulteriore consistente aumento degli sfratti per morosità, occorre ripensare le risorse, le priorità ed le modalità attuative del “Programma per la qualità dell’abitare” introdotto dalla legge di bilancio 2020.
Questo soprattutto in un contesto di sostanziale assenza di una strategia che, per invertire questa pericolosa e consolidata tendenza, non può che puntare su un forte rilancio dell’edilizia residenziale pubblica. In questo senso, se le finalità espresse dalla legge 160/2019 sono condivisibili, specie laddove si fissano principi e orientamenti volti a “rigenerare il tessuto socio- economico, a incrementare l’accessibilità, la sicurezza dei luoghi e la rifunzionalizzazione di spazi e immobili pubblici, a migliorare la coesione sociale e la qualità della vita dei cittadini, in un’ottica di sostenibilità e densificazione, senza consumo di nuovo suolo”, non può non rilevarsi che, a fronte di lodevoli intenti, si riscontrano criticità e preoccupanti vuoti programmatici. Intendiamo rimarcare ancora una volta l’insufficienza delle risorse destinate al Piano peraltro e, elemento ancora più preoccupante, la diluizione con modalità crescenti fino al 2034.
In queste condizioni permangono i dubbi e le perplessità che le stesse siano effettivamente utilizzate e che possano produrre efficaci programmi in grado di affrontare concretamente il disagio abitativo. Una prima non differibile scelta, per garantire credibilità e concreta fattibilità al programma, deve riguardate un accorpamento dei finanziamenti più lontani nel tempo, ancora presenti come residui di bilancio, alle annualità più prossime, pena la stessa partenza dello stesso.
Non va dimenticato che ulteriori stanziamenti, destinati a obiettivi simili, sono inoltre previsti nell’ultima Legge di Bilancio (contributi dal 2021 al 2034 per investimenti in progetti di rigenerazione urbana volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale; contributi dal 2025 al 2034 per investimenti anche nei settori dell’edilizia pubblica, stanziamenti vari per l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio e per la messa in sicurezza degli edifici).
È pertanto è assolutamente necessario un forte coordinamento tra i programmi (e gli stanziamenti) con un’unica cabina di regia. Inoltre in quest’ottica va previsto un ruolo strategico degli enti gestori dell’edilizia residenziale pubblica, vista, tra l’altro, la scelta condivisibile fatta con il recente decreto 19 maggio 2020 n. 34 (Decreto Rilancio) al comma 9 lettera c) dell’articolo 119, dove è stabilito che “le disposizioni contenute nei commi da 1 a 8 si applicano agli interventi effettuati dagli Istituti autonomi case popolari (IACP) comunque denominati nonché dagli enti aventi le stesse finalità sociali dei predetti Istituti, istituiti nella forma di società che rispondono ai requisiti della legislazione europea in materia di “in House Providing” per interventi realizzati su immobili, di loro proprietà ovvero gestiti per conto dei Comuni, adibiti ad edilizia residenziale pubblica”.
Si tratta della detrazione prevista dal DL 63/2013 elevata all’aliquota del 110% in relazione a tutta una serie di interventi riguardanti l’efficientamento energetico, gli interventi antisismici, il fotovoltaico: una misura positiva che, tuttavia, dovrebbe essere prevista per un arco temporale maggiore, al fine di permettere una maggiore programmazione in relazione ad interventi complessi.
Al contempo occorre che nei decreti attuativi sia data centralità, anche nella scelta dei programmi da ammettere al finanziamento, all’intervento sul patrimonio di Edilizia residenziale pubblica puntando decisamente sul loro incremento e riqualificazione. Un obiettivo da perseguire restando ferma la precondizione dell’azzeramento del consumo di suolo. In questo senso la prospettiva di attivazione di finanziamenti pubblici, anche attraverso il pieno utilizzo delle risorse residue dell’ex Fondo Gescal non spesi da tante Regioni, deve prevalere tra i criteri di selezione e di punteggio su quelli privati, considerando che l’ossatura portante del programma non può che riguardare il comparto dell’affitto sociale e sostenibile, scongiurando il rischio di interventi che non incidono sulla riduzione del disagio abitativo.
Va chiaramente affermato e perseguito il principio che, negli interventi di edilizia sociale non riconducibili all’ambito dell‘Edilizia residenziale pubblica, i soggetti aventi diritto all’assegnazione siano individuati con appositi bandi pubblici e i canoni di locazione definiti in accordi integrativi con le Organizzazioni sindacali degli inquilini come previsto dal DM Infrastrutture 16 gennaio 2017. In ogni caso nella definizione della misura del canone si deve tener conto delle agevolazioni pubbliche comunque erogate al locatore.