Fonte fiscooggi.it
Nell’ambito dell’imposta di registro il momento rilevante ai fini della valutazione di un bene immobile è quello in cui si verifica il trasferimento del bene stesso e non il momento in cui è stato sottoscritto il relativo contratto preliminare. Questo principio è stato espresso dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 4318 del 18 febbraio 2021.
Prima di esaminare la vicenda specifica, occorre premettere che, ai fini del pagamento dell’imposta di registro per i trasferimenti immobiliari:
- l’articolo 43 del Dpr n. 131/1986 dispone che per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali la base imponibile è costituita dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto
- l’articolo 51 del medesimo testo unico stabilisce, in primo luogo, che si assume come valore dei beni e dei diritti quello dichiarato dalle parti e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito ed in secondo luogo, con specifico riferimento agli atti relativi a beni immobili, che si assume, come valore, il valore venale in comune commercio
- il successivo articolo 52 attribuisce all’ufficio il potere di rettificare il valore dichiarato dalle parti nel caso in cui il valore venale del bene sia superiore al valore dichiarato dalle parti o al corrispettivo pattuito
- il comma 497 dell’articolo 1 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005 ha introdotto il criterio del “prezzo valore”. Si tratta della possibilità, riservata all’acquirente persona fisica che non agisce nell’esercizio di attività commerciale, artistica o professionale, di chiedere che la base imponibile sia costituita dal cosiddetto “valore catastale” dell’immobile. Questa possibilità è limitata ai trasferimenti aventi ad oggetto abitazioni e relative pertinenze.
A seguito dell’introduzione del criterio del “prezzo valore”, la possibilità, per l’ufficio di rettificare il valore dichiarato dalle parti è limitata ai trasferimenti nei quali la parte acquirente non si è avvalsa dell’opzione di cui alla citata legge n. 266/2005.
Il caso affrontato dalla Corte di cassazione con l’ordinanza 4318/2021 ha riguardato un atto del 2009 relativo alla costituzione di un diritto di superficie su un terreno per il prezzo dichiarato di 510mila euro.
Tale atto era stato preceduto da un contratto preliminare del 2004 nel quale era stato indicato il corrispettivo di 450mila euro, pattuito anche in considerazione del fatto che la parte promissaria acquirente avrebbe trasferito alla parte venditrice 4 box, a condizione che le autorità competenti avessero accolto l’istanza di modifica del piano urbanistico comunale e rilasciato l’autorizzazione a costruire.
In sede di accertamento, l’ufficio aveva ritenuto che il valore venale del diritto di superficie costituito fosse superiore al valore stabilito dalle parti e, pertanto, aveva emesso un atto di accertamento richiedendo la maggiore imposta.
A seguito del ricorso presentato dalla società acquirente, la Ctp di Savona ha accolto solo in parte l’istanza del contribuente, ritenendo che il valore venale in comune commercio del diritto di superficie fosse comunque superiore al corrispettivo indicato in atto.
La Ctr della Liguria e la Corte di cassazione, con la pronuncia in commento, hanno respinto gli ulteriori ricorsi presentati dalla parte acquirente.
In particolare non è stata accolta la tesi della società costruttrice, secondo la quale, ai fini della determinazione del valore del diritto di superficie, bisognava considerare che il prezzo era stato stabilito dalle parti già in sede di contratto preliminare e che, in tale momento, non vi era affatto certezza in merito alle potenzialità edificatorie del terreno, considerato che l’effettivo sfruttamento del terreno per finalità di costruzione era subordinato ad una modifica del piano urbanistico.
La suprema Corte ha, invece, evidenziato che, ai fini della determinazione della base imponibile per l’applicazione dell’imposta di registro, l’articolo 43 del Dpr n. 131/1986 fa riferimento al valore del bene o del diritto “alla data dell’atto”.
Considerato che il contratto preliminare produce solo effetti obbligatori, e che l’effetto reale si verifica soltanto con il successivo atto di compravendita, i giudici hanno respinto la tesi della parte, confermando che la valutazione del diritto deve avvenire con riferimento alla data dell’atto che realizza il trasferimento o la costituzione del diritto reale.
Nella motivazione sono state richiamate le sentenze, sempre della Corte di cassazione n. 767/2001 e n. 26685/2009, con le quali, con riferimento all’articolo 43 del Dpr n. 131/1986, si era già affermato che nella valutazione del diritto trasferito, bisogna tener conto sia delle condizioni attuali che delle potenziali utilizzazioni del bene oggetto della prestazione, in quanto anche queste ultime incidono sul valore venale in comune commercio.
Per tali motivi è stato respinto il ricorso della società costruttrice.
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