[A cura di: Finco – Federazione industrie per le costruzioni]
Ad ogni rinnovato appuntamento per la Legge di Stabilità o di Bilancio, si deve assistere ad un acceso dibattito circa l’opportunità di rinnovo/proroga degli incentivi e detrazioni per la riqualificazione energetica.
A denunciarlo è Sergio Fabio Brivio, presidente Finco, secondo il quale “viene sempre, in particolare, enfatizzato dagli esponenti governativi il supposto minor gettito che sarebbe causato all’Erario dai suddetti bonus, ma si tralascia di valutare, ad esempio, il contributo occupazionale delle misure stesse che hanno consentito di creare, o mantenere, l’occupazione di oltre 200.000 addetti qualificati, e si sottace il fatto che, solo nel 2016, vi siano state circa 360.000 domande di intervento da parte dei privati cittadini, per l’efficientamento energetico delle loro case, interventi che hanno generato svariati miliardi di investimenti”.
L’argomento non può essere trattato attraverso parole d’ordine ma con un approfondimento che richiede un minimo di analisi.
Va osservato, intanto, che la gran parte del suddetto ipotetico mancato introito per l’erario è attribuibile alla misura meno “pregiata”, quella del 50% (prima 41%, poi 36%, domani ancora 36%, se non prorogata) per le cosiddette ristrutturazioni edilizie, e questo per effetto sia della maggior longevità della misura, sia per il più elevato numero di interventi effettuati in tale categoria.
Per le misure che prevedono il 65%, infatti, il mancato introito è assai più contenuto. E qui, oltre all’emersione del nero e allo stimolo economico del comparto qualificato delle costruzioni, va osservato anche il non piccolo contributo alla c.d. bolletta energetica, nonché, di riflesso, una minor dipendenza energetica dai combustibili fossili che si traduce in virtuosità ambientale oltre che in innovazione tecnologica indotta dalla ricerca del rispetto dei sempre più restrittivi limiti imposti per accedere alle misure stesse.
Occorre, poi, accordarsi sul criterio seguito per stimare il supposto minus erariale.
In sintesi, si prendono le domande, si stima la somma del loro importo, si calcola la parte che lo Stato avrebbe incassato come imposta (cioè a valere sul 65% di detrazione) ed ecco la cifra di minor introito (aggiungendo a questo, paradossalmente, le minori entrate derivanti all’Enel e all’Eni, di cui lo Stato detiene il controllo azionario, indotte dalla diminuzione del fabbisogno energetico).
Servirebbero dei dati specifici – e che nessuno è ovviamente in grado di fornire:
Questi i due dati che sarebbero veramente utili, anche per “anestetizzare” la puntuale e continua eccezione circa la mancata copertura dei fondi da parte del MEF e della Ragioneria dello Stato, e verificare i reali minori incassi da accise e Irpef.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha contezza certa che questi mancati introiti si riferiscono a lavori che sarebbero comunque stati fatti anche in mancanza delle agevolazioni? – si interroga il presidente Finco –. Auspico che si possa tenere conto anche dell’indotto, ma come? Credo che tali informazioni sfuggano anche al MEF. In linea teorica si può al massimo affermare che i contribuenti che hanno fatto il cappotto di casa o sostituito gli infissi, lo avrebbero forse ugualmente fatto, e che, a pensar bene, il nuovo impianto sarebbe stato regolarmente acquistato e fatturato. Ma, come ovvio, siamo nel campo delle ipotesi, nulla più. E a conferma di ciò sarà bene dare un’attenta lettura allo stralcio della relazione tecnica alla Legge di Bilancio, redatta appunto dal MEF per quanto stima relativamente ai minor introiti Iva, Irpef/Ires ed Irap per la riqualificazione energetica. In quest’ottica sarebbe un grave errore equiparare l’ecobonus per serramenti, schermature solari e pompe di calore alle detrazioni fiscali per le semplici ristrutturazioni.
Sarebbero infatti equiparati alla stessa aliquota di detrazione interventi di riqualificazione energetica che necessitano di certificazione prestazionale ed interventi di semplice ristrutturazione edilizia che possono essere attivati anche senza verifica dei requisiti prestazionali dei componenti, consentendo, di fatto, l’installazione di componenti non in grado di assicurare un reale efficientamento energetico. Perché il consumatore italiano dovrebbe accedere al bonus energetico per sostituire componenti comunque agevolati dalla stessa aliquota di detrazione con una procedura significativamente semplificata come quella per le semplici ristrutturazioni, che consente – fra l’altro – di comprare prodotti a prezzi inferiori a quelli dei componenti prestazionalmente migliori?
In questo modo, non solo si infliggerebbe un colpo durissimo alla filiera industriale e alle imprese italiane che hanno, in questi anni difficili, investito per migliorare continuamente le prestazioni dei loro prodotti in chiave energetica, ma si vanificherebbe anche il contributo fondamentale avuto dagli stessi prodotti nel percorso dell’Italia verso il raggiungimento degli obiettivi complessivi di riduzione delle emissioni di gas serra fissati per il 2020.
Per questo, Finco e le associazioni ad essa federate chiedono con forza lo stralcio della riduzione dell’aliquota di detrazione al 50%, con la conferma dell’attuale aliquota del 65%. Non è infatti pensabile che vengano penalizzati i componenti che in 10 anni di bonus fiscali hanno rappresentato la quota più significativa di apporto al risparmio energetico degli edifici (nel solo 2016, sulle suddette 360.000 domande circa il 75% hanno riguardato infissi e schermature solari).
Al contrario, il settore è pronto a raccogliere la sfida di un maggior impegno e un maggior contributo in questo percorso proponendo, invece, che fra i parametri richiesti per l’ottenimento delle detrazioni del 65% vengano inseriti requisiti come la classe di permeabilità all’aria e la esecuzione a regola d’arte della posa in opera dei serramenti, che rappresenterebbero elementi nuovi e ulteriormente qualificanti per la riduzione delle dispersioni energetiche del patrimonio edilizio nazionale.
In conclusione: escludere serramenti, schermature solari, caldaie e pompe di calore dalla proroga degli incentivi al 65% – in un Paese che ormai investe stabilmente più per difendersi dal caldo che dal freddo – significa arrestare un circolo virtuoso. Significa penalizzare le industrie italiane che tanto hanno investito nella progettazione e nella realizzazione di prodotti sempre più performanti e compiere un passo indietro rispetto all’affermazione di un’edilizia di qualità certificata.
La migliore misura di agevolazione per le imprese – conclude il Presidente Finco – sarebbe quella di non averne alcuna ed avere, viceversa, un peso fiscale e adempimenti burocratici ridotti del 20%. Ma poiché questa purtroppo è un’utopia, tra le misure di agevolazione, quella relativa all’efficienza energetica è sicuramente tra le più riuscite e meritevoli di essere confermate e, caso mai, resa strutturale, magari abbassando i massimali di spesa oggi previsti per alcune tipologie di interventi.