Oggi, martedì 16 giugno, è la scadenza per il pagamento della prima rata di Imu e Tasi: una batosta per i proprietari di immobili ad uso residenziale; ma una vera e propria mazzata per chi detiene un immobile strumentale. A sostenerlo è ancora una volta la Cgia di Mestre, sottolineando che, a seguito dell’introduzione dell’Imu e successivamente della Tasi, tra il 2011 e il 2014 la tassazione sugli immobili strumentali ha subito una vera e propria impennata, tanto che, se nell’ultimo anno in cui si era pagata l’Ici il gettito complessivo sulle attività produttive aveva portato nelle casse dei Comuni quasi 5 miliardi, l’anno scorso il prelievo ha superato i 10 miliardi di euro. Nello specifico gli aumenti sono stati i seguenti:
* + 142 % per uffici e studi privati;
* + 137 % per negozi e botteghe;
* + 107 % per laboratori di arti e mestieri;
* + 101 % per gli istituti di credito;
* + 94 % per gli immobili a uso produttivo.
I CALCOLI
I calcoli, eseguiti dall’Ufficio studi della CGIA, hanno preso come riferimento iniziale il 2011, non tenendo conto del risparmio fiscale concesso dalla legge. Così come avvenuto nel 2014, infatti, va rimarcato che anche per quest’anno la Tasi per le aziende è completamente deducibile dal reddito di impresa, mentre l’Imu lo è solo per una quota pari al 20 per cento.
IL COMMENTO
“Tendenzialmente – segnala il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi – i sindaci hanno mantenuto relativamente basso il livello di tassazione sulle prime case, innalzando, invece, quello sugli immobili ad uso produttivo e sulle abitazioni diverse dalla principale. Insomma, hanno fatto cassa sulle spalle degli imprenditori, sfruttando le situazioni più surreali cui la legge ha dato origine, come, ad esempio, l’applicazione dell’Imu su alcune tipologie di macchinari. Una vera e propria follia”.
IL DETTAGLIO
In termini assoluti sono stati i capannoni (categoria D) a “produrre” il gettito più importante: se nel 2011 il prelievo era stato di 3,17 miliardi, nel 2014 è salito a 6,15 miliardi di euro (variazione +94%). Sui negozi e sulle botteghe artigiane si è passati da un prelievo di 809 milioni a 1,9 miliardi di euro (+137%). Per gli uffici e gli studi professionali, con l’Ici il carico fiscale era di 545 milioni che con l’avvento dell’Imu e della Tasi è aumentato fino a toccare 1,32 miliardi di euro (+142%). Sui laboratori, infine, dai 228 milioni versati nel 2011 si è passati ai 473 milioni di euro pagati l’anno scorso (+ 107%).
QUALE VALORE
Ma a quanto ammonta il valore reale degli immobili non residenziali? Quando si parla di andamento delle transazioni immobiliari, di aumento o calo delle compravendite, di oscillazione in chiave positiva o negativa dei prezzi, spesso si tende a perdere di vista di quali numeri si stia discutendo. Quale sia, cioè, l’impatto economico dell’evoluzione di un determinato comparto o segmento del mercato. Così, nelle scorse settimane, l’Abi e l’Agenzia delle Entrate, tracciando il bilancio del 2014, hanno provveduto ad effettuare anche una stima di larga massima del valore complessivo, e per area territoriale, degli scambi nel 2014 delle unità immobiliari delle tipologie non residenziali, utilizzando le quotazioni medie comunali della banca dati OMI (Osservatorio mercato immobiliare) ed effettuando una stima delle superfici compravendute degli uffici, dei negozi e dei capannoni.
Alle superfici stimate sono quindi state applicate le quotazioni unitarie medie comunali, calcolando in sostanza un valore di scambio con dettaglio comunale, poi aggregato per area territoriale.
Il valore
Ebbene, complessivamente la stima del valore di scambio delle tre tipologie non residenziali esaminate è pari a circa 12,6 miliardi di euro nel 2014, vale a dire circa 0,4 miliardi di euro in più rispetto al 2013 (quando era, appunto, di 12,2 miliardi di euro). Si tratta di un modesto recupero che mantiene ancora lontano il valore nel 2008, anno di riferimento del primo Rapporto, quando si erano stimati circa 25 miliardi di euro complessivi per il settore non residenziale.
La superficie
Altro aspetto di particolare interesse è quello concernente la superficie totale compravenduta, che ammonta a circa 1,3 milioni di mq per il settore degli uffici (superficie media 143 mq), a circa 2,9 milioni di mq per il settore dei negozi (superficie media 129 mq) e a ben 9,8 milioni di mq per il settore dei capannoni (superficie media 1.024 mq).
Dettagliando i dati degli investimenti immobiliari, la quota del valore di scambio collegata agli uffici è stimata pari a circa 2,3 miliardi di euro (18% circa del totale) ed è significativamente inferiore a quella stimata per i negozi e i capannoni, circa 5 miliardi di euro e 5,3 miliardi di euro rispettivamente, con una quota relativa pari al 40% per i negozi e 42% per i capannoni. La maggior quota del fatturato 2014 – pari al 39% circa del valore di scambio complessivo – è prodotta nelle regioni del Nord-Ovest (4,4 miliardi di euro). Rispetto al 2013, il valore di scambio complessivo del 2014 ha registrato un rialzo del 4,2%, valore superiore al recupero mostrato dal volume delle compravendite in ragione delle maggiori superfici scambiate a fronte dei ribassi delle quotazioni. Tale risultato va imputato soprattutto al buon recupero del settore dei negozi (+12,4%).
Gli andamenti
Però, forse più di ogni altro, il parametro di riferimento che consente di capire cosa sia accaduto al settore non residenziale è quello storico. Ebbene, dal 2008 il settore degli uffici ha dimezzato il volume d’affari, con una riduzione complessiva che raggiunge il massimo nelle Isole. Per il settore dei negozi il recupero di compravendite nel 2014 consente di allineare le perdite al 50%, come osservato per gli uffici; il Centro è l’area con le maggiori perdite. Anche per i capannoni le perdite di valore di scambio dal 2008 si assestano nel 2014 intorno al 50%, con le aree del Nord che, nonostante il recupero del 2014, risultano quelle dove dal 2008 si è ridotto maggiormente il “fatturato” delle vendite.