[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – presidente Centro studi Confedilizia]
La normativa sulle unioni civili e le convivenze di fatto, attualmente ancora all’esame del Parlamento, prevede testualmente (art. 13 u.c.) che “nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto”.
Indipendentemente da ogni esame di merito, la disposizione in parola solleva preoccupazione anche solo sotto il profilo della certezza del diritto. La Corte costituzionale è già a suo tempo – nel 1988 – intervenuta in relazione ai contratti di locazione, riconoscendo al “convivente more uxorio” (senza preoccupazione di genere, allora il problema non si poneva) il diritto di succedere nel contratto all’intestatario. Ma il caso che si pone oggi è ben diverso e più grave (avendo la convivenza more uxorio, per costante giurisprudenza, ben specifici requisiti, anche di durata non improvvisata).
Le “unioni di fatto” non richiederebbero invero alcun atto formale (invece richiesto per le unioni civili) e possono quindi costituirsi in qualsiasi momento, così che è facile applicare la norma sulle successioni nella convivenza di fatto a casi debitamente precostituiti in merito a particolari eventi, ed al fine di protrarre arbitrariamente l’occupazione dell’alloggio, specie in occasione di esecuzioni di rilascio.
Né, a fugare questo chiaro pericolo, vale la normativa richiamata nel disegno di legge al fine di stabilire la data di inizio dell’unione (la normativa, cioè, anagrafica, che prevede su richiesta dell’interessato – e nel momento in cui lo stesso vuole – che il Comune accerti la residenza e quindi la convivenza, potendosi anzi facilmente conseguire in questo modo un riconoscimento difficile da superare). Auspichiamo che la norma sia attentamente esaminata dalla Camera per ogni più opportuna valutazione, che non potrà peraltro prescindere dalla citata disposizione di legge.