[A cura di: Saverio Serafini – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]
Un’interessante ed attuale fotografia dello stock e del controvalore del patrimonio immobiliare italiano. È disponibile sul sito dell’Agenzia delle entrate la pubblicazione Statistiche catastali, realizzata dall’ufficio Statistiche e Studi della direzione centrale Servizi estimativi e Osservatorio del mercato immobiliare, con la collaborazione della direzione centrale Servizi catastali, cartografici e di pubblicità immobiliare.
Il volume, giunto quest’anno alla tredicesima edizione, rappresenta una sintesi completa dell’entità e delle caratteristiche dello stock dei fabbricati, così come censito nella banca dati del Catasto edilizio urbano aggiornato al 31 dicembre 2018. Le statistiche sono riferite a tutto il territorio nazionale, comprendendo dunque anche il patrimonio immobiliare delle province di Trento e Bolzano che gestiscono in proprio gli archivi censuari del Catasto. Si tratta, in totale, di circa 75 milioni e mezzo di beni fra unità immobiliari urbane e altre tipologie immobiliari che non producono reddito.
Nel volume sono analizzate soprattutto le unità immobiliari urbane, fornendo in primo luogo informazioni relative a:
Questi dati, suddivisi in base alla categoria catastale (ovvero alla tipologia e/o destinazione d’uso) dell’immobile e distinti secondo la natura giuridica dell’intestatario, sono presentati con un dettaglio che arriva fino al livello comunale e costituiscono le “statistiche censuarie” vere e proprie, cioè il dato amministrativo-censuario riportato nelle banche dati.
A ciò si aggiungono ulteriori elaborazioni che assumono più propriamente carattere di stime statistiche, nel senso che sono state ottenute a partire da dati censuari disponibili ma incompleti (per esempio, nel caso delle superfici delle abitazioni) oppure dal calcolo di relazioni tra dati censuari (per esempio, per determinare la consistenza media per unità immobiliare).
Dal rapporto emerge che lo stock immobiliare italiano nel 2018 è aumentato dello 0,6%, vale a dire circa 400mila unità in più rispetto al 2017.
L’88% di questo appartiene a persone fisiche, mentre poco meno del 12% è detenuto da persone non fisiche. Una quota residua, intorno allo 0,2%, riguarda proprietà comuni. Gli immobili censiti nelle categorie catastali ordinarie e speciali, con attribuzione di rendita sono poco più di 65 milioni mentre i restanti 10 milioni circa si dividono tra unità appartenenti al gruppo F, vale a dire immobili non idonei, anche se solo temporaneamente, a produrre un reddito e beni comuni non censibili, cioè immobili di proprietà comune e che non producono reddito, con i primi che numericamente rappresentano poco più della metà dei secondi. A questi ultimi va aggiunta una componente residuale rappresentata dalle unità ancora in lavorazione (meno di 90mila).
Tornando al quadro complessivo degli immobili dotati di rendita, la maggior parte di questi è censita nel gruppo A (circa il 55%) e nel gruppo C (oltre il 40%), dove sono compresi, oltre a immobili commerciali (negozi, magazzini e laboratori) anche le pertinenze delle abitazioni, ovvero soffitte, cantine, box e posti auto. La restante parte di questo stock, il 3%, è costituita da immobili censiti nei gruppi a destinazione speciale (gruppo D, 2,4% circa), particolare (gruppo E, 0,2% circa) e d’uso collettivo (gruppo B, 0,3% circa).
I rapporti si modificano se si ragiona in termini di rendita catastale anch’essa in crescita rispetto allo scorso anno (+0,5%). La quota maggiore è ancora rappresentata dagli immobili del gruppo A e C, ma con un peso percentuale inferiore e pari complessivamente a poco meno di due terzi. Al contrario, gli immobili del gruppo D, come visto poco rilevanti a livello numerico, vedono salire la loro incidenza sul totale del reddito immobiliare a oltre il 28 per cento.
Scendendo nel dettaglio dei vari gruppi si confermano molte delle tendenze già rilevate negli ultimi anni e di cui riportiamo di seguito una breve sintesi.
Il totale delle abitazioni (gruppo A, esclusa la categoria A/10), pari a circa 35 milioni, cresce con lo stesso ritmo dell’anno precedente, +0,3% e grazie ancora una volta agli incrementi di A/2 (abitazioni di tipo civile, +0,7%), A/3 (abitazioni di tipo economico, +0,4%), A/7 (villini, +1,0%) e A/11 (abitazioni e alloggi tipici dei luoghi, +0,5%), mentre risultano in calo le restanti categorie.
Anche in termini di rendita non si registrano significative variazioni con il valore complessivo che si avvicina ulteriormente ai 17 miliardi di euro.
La superficie media delle abitazioni si mantiene attorno ai 117 mq, con valori molto diversi a seconda delle singole categorie: si va dai 58 mq delle A/5, abitazioni di tipo ultrapopolare, ai 657 mq delle A/9, castelli e palazzi di pregio.
Per quanto riguarda gli uffici, cioè la categoria A/10, anche in questo caso il rapporto evidenzia risultati in linea con gli anni scorsi. Si contrae infatti sia il numero di unità immobiliari (-0,3%), sia la rendita (-0,4%) con la proprietà che continua a essere costituita prevalentemente (56,6%) da persone fisiche.
Passando ai dati relativi al gruppo B (immobili a uso collettivo) il totale ammonta a poco più di 200mila unità, in aumento dell’1% rispetto all’anno precedente. Crescono tutte le categorie a esclusione di B/3 (prigioni e riformatori) e B/8 (magazzini sotterranei per depositi di derrate) che registrano un calo ulteriore rispetto al 2017. Le rendite mostrano una dinamica sostanzialmente analoga a quella dei volumi sebbene meno marcata. Quanto agli intestatari, la quota prevalente spetta nettamente alle persone non fisiche, sia in termini di stock sia, soprattutto, in termini di rendita con la sola eccezione dei B/8.
Il gruppo C, che contiene al suo interno immobili a destinazione commerciale e varia, conta un totale di oltre 27,5 milioni di unità, intestate per l’88% a persone fisiche. Il 96% di questo risulta in realtà concentrato in tre delle sette categorie: C/6 (prevalentemente box e posti auto, pari a circa il 63%), C/2 (prevalentemente cantine e soffitte, pari a circa il 26,5%) e C/1 (negozi, 7,2% del totale). La rendita complessiva supera i 6 miliardi di euro, con rapporti ribaltati tra le principali categorie e una quota di intestatari persone non fisiche molto più significativa (oltre il 25%) rispetto allo stock.