[a cura di: Giovanni Baratta – segretario Sicet Piemonte]
All’inizio di aprile scorso l’istituto di ricerca Nomisma, assieme a Federcasa (l’associazione che riunisce i gestori di alloggi popolari in Italia), ha presentato una ricerca sul disagio abitativo nel nostro Paese. I dati sono drammatici, (non stupiscono il Sicet, che da tempo li conosce li analizza e li denuncia), e confermano la gravità del problema.
In Italia gli sfratti emessi nel 2014 sono stati 77.278, il 90% dei quali per morosità. La domande per avere un alloggio popolare sono circa 650.000. In Piemonte gli sfratti emessi sono stati 8.256 le domande di casa popolare, nel 2013, sono state 26.401: di queste, soltanto 3.369 hanno avuto una casa, gli altri 23.000 nuclei familiari hanno la soddisfazione di essere in elenchi che certificano i loro requisiti e il loro bisogno. A Torino hanno fatto domanda oltre 12.000 famiglie, le assegnazioni di alloggi sono ferme da anni a circa 500 all’anno. Torino è tra le città che hanno utilizzato meglio il fondo nazionale salva sfratti e le agenzie sociali per la locazione, strumenti alternativi alla casa popolare, ma nonostante questo sforzo organizzativo gli alloggi affittati nel privato con gli incentivi dell’agenzia sono stati, nel 2015, poco più che 200, gli sfratti evitati con il fondo 130. È di tutta evidenza la distanza enorme tra il fabbisogno, certificato dalle domande, e la risposta che viene data dalle istituzioni.
La ricerca di Nomisma-Federcasa evidenzia anche che in Italia vivono 1,7 milioni di famiglie in affitto che versano in condizioni economiche precarie, con una incidenza del canone sul reddito familiare che supera il 30% e che quindi rischiano di scivolare verso la morosità con la conseguente marginalizzazione sociale.
Curiosando tra i programmi dei sindaci che si candidano ad esempio al governo di Torino, la necessità di aumentare la dotazione di alloggi popolari per rispondere a questa emergenza non appare. Non c’è nei programmi della “destra”: il candidato Roberto Rosso si limita a proporre “prima gli italiani”, gli altri nulla. Ma è poco presente anche tra i candidati di “sinistra”: Fassino e liste collegate, Airaudo e liste collegate, anche i 5stelle non ne parlano.
Nei programmi di Fassino, Airaudo, Appendino, si scrive di recupero e rilancio delle periferie, di città policentrica, di recupero degli immobili vuoti presenti in città e del loro riutilizzo ma nessun programma evidenzia il bisogno di acquisire nuove case popolari e di recuperare i “vuoti” (ex caserme, ex uffici, ex ospedali, scuole dismesse) anche per rispondere al disagio abitativo. La risposta abitativa, credo decisiva per ogni famiglia, non è inserita come una necessità primaria all’interno delle politiche di Welfare.
So cosa verrebbe risposto a queste mie osservazioni: non si può scrivere tutto nei programmi e poi deve pensarci lo stato a stanziare soldi per le politiche abitative. Giudico incomprensibile questa mancanza di analisi e di attenzione. Chiunque studi il problema casa in Italia non può che concludere che la prima scelta da fare è di aumentare la dotazione di case popolari. Certamente c’è bisogno di stanziamenti e lo stato deve fare la sua parte, non lo ha fatto questo governo ne i governi precedenti, ma è necessario progettare percorsi nuovi. Ne propongo alcuni.
* Intanto bisogna comprare il costruito anche non nuovo, senza consumare più terreno fertile.
* Poi fare accordi con le banche per utilizzare gli alloggi pignorati e vuoti; bisogna anche utilizzare case e appartamenti sequestrati alla criminalità.
* Ipotizzare, considerati i tanti anziani soli che vivono in case di proprietà e che non riescono più a gestirsi economicamente, di proporre ad alcuni di loro consenzienti e disponibili, una buona assistenza fino alla fine della loro vita in cambio del loro alloggio.
Certo che è complicato, era più facile costruire casermoni popolari in periferia. Credo che oggi sia necessario inventare e costruire buone pratiche per comprare l’esistente con sicuri vantaggi economici (si potrebbero comprare molti alloggi spendendo poco) e indubbi vantaggi sociali, il mix sociale da tutti ritenuto importante si realizzerebbe quasi in modo automatico.
È anche indispensabile il riutilizzo degli immobili non più usati. Trovo incredibile che nella presentazione del progetto per il riutilizzo della ex caserma La Marmora di via Asti a Torino non si ipotizzi di utilizzare questo enorme spazio anche per l’emergenza abitativa. Certo che vanno bene alloggi per gli studenti, certo condividiamo attività lavorative; piccoli laboratori, incubatori d’idee, piccole aziende, ma questo spazio si presta anche a diventare luogo per alloggi in affitto per chi è in difficoltà abitativa e si possono progettare soluzioni abitative sia temporanee che definitive.
Per me è chiaro che è necessario recuperare e progettare spazi che “mischino” la popolazione, che mettano insieme giovani e anziani, che affianchino il disagio alle migliori esperienze di lavoro, che siano luoghi dove anche il volontariato può agire, promuovendo scambio, recupero, luoghi di socializzazione tra i vari e diversi strati di popolazione. Lo spazio della caserma La Marmora è uno spazio che consente tutto questo. Inserire degli alloggi per famiglie in difficoltà nel contesto che è stato progettato darebbe il segno che l’amministrazione della città cerca soluzioni per tutte le fasce di popolazione. Mi è chiaro che se fossimo in una situazione di piena occupazione, con stipendi adeguati, il problema casa non si porrebbe, case da affittare ce ne sono in abbondanza, ma credo realisticamente che per molti anni ancora non sarà così e quindi bisogna preoccuparsi di aumentare la quantità di alloggi popolari che possano essere dati in affitto alla popolazione povera che in Italia vive e che purtroppo sta aumentando.
Un aumento degli alloggi pubblici ci consentirebbe di avvicinare il nostro Paese alla media europea dove sono presenti, sulle abitazioni esistenti l’8,5% di alloggi popolari, in Italia siamo al 5%, guardiamo all’Europa e copiamo le buone pratiche.