[A cura di: Achille Colombo Clerici – presidente Assoedilizia. Tratto da: “Intervento a seminario “Innovazione tecnologica ed edifici: l’industria per l’immobiliare”]
Prezzi degli immobili in crescita nel mondo, in calo in Italia, nonostante una ripresa delle compravendite. È l’indice della sofferenza della nostra economia. Possiamo ritenere che fino a quando non ci sarà un netto recupero dei valori immobiliari, legato ad un deciso incremento delle transazioni riguardanti gli immobili, non potrà considerarsi superata la crisi economica, perché si tratta di questione legata alla ripresa di fiducia dei 25 milioni di famiglie risparmiatrici italiane. Il prezzo degli immobili dipende oggi prevalentemente o dall’utilizzo diretto o dalla diretta redditività. Nessun plusvalore legato agli effetti del mercato. Ciò significa, ad esempio, che ogni esborso legato ad interventi edilizio-impiantistici, tende ad essere considerato dalle famiglie un costo e non un investimento.
L’errata politica della casa, praticata sino ad oggi nel nostro Paese, con l’annullamento del plusvalore immobiliare legato al mercato – una colossale perdita di ricchezza generale per l’intero Paese – ha portato alla difficoltà di far decollare, dati i ristrettissimi margini di economicità rimasti, le operazioni individuali di rigenerazione urbana, di riqualificazione edilizia, di efficientamento energetico degli edifici. Operazioni salutari anche per l’economia in generale, data la loro valenza anticiclica.
Il governo sta facendo lo sforzo di introdurre meccanismi di incentivazione: che però presentano il difetto di voler spaccare il capello in quattro nell’individuare l’interesse degli operatori. Occorrerebbe viceversa una inversione generale di tendenza, una liberalizzazione, anche dal carico fiscale, degli investimenti a reddito nell’immobile. Mentre permangono una tassazione punitiva sui redditi immobiliari, una fiscalità sui trasferimenti foriera di sperequazioni, minacce di inasprimenti relativamente alle successioni ed alla revisione catastale. Su tutto aleggia lo spauracchio della patrimoniale.
Non solo: ma l’errata e distorcente impostazione del favor verso la prima casa ha condotto l’80% delle abitazioni ad una situazione di irrilevanza, sul piano non solo fiscale (non producono gettito tributario, né concorrono a pagare i servizi comunali), ma anche economico. Più di 20 milioni di case – sulle complessive 30 – non fanno ammodernamenti o adeguamenti di impianti e riqualificazioni edilizie, non danno lavoro ad imbianchini, piastrellisti, impiantisti di apparecchi igienico-sanitari, traslocatori, falegnami e mobilieri, operai edili, professionisti, agenti immobiliari e via dicendo. Come viceversa avverrebbe se ci fosse la mobilità abitativa legata alla locazione. Un istituto economico che va estinguendosi a causa di una miope politica punitiva, legata anche a vecchie e mai superate prevenzioni.
Non dimentichiamo poi di dire che il condominio è un fossile all’interno della vita economica e del dinamismo delle città. Non c’è infatti soggetto più refrattario del condominio alle esigenze di adeguamento e di rinnovamento edilizio-urbanistico. E l’Italia è il Paese occidentale, nel quale, in termini relativi, c’è il maggior numero di condomini e il più basso tasso di locazioni. Una situazione imbalsamata, tipica delle società rurali, non certo di quelle industriali e terziarie o quaternarie che dir si vogliano.