L’articolo 1127 del Codice civile disciplina l’indennità di sopraelevazione e dal dettato codicistico ricaviamo che, negli edifici in condominio, sempre che il contrario non risulti dal titolo (per tale intendendosi il regolamento condominiale di natura contrattuale, originariamente predisposto dal costruttore ed allegato ai singoli atti di vendita o quello approvato all’unanimità dai singoli condòmini) il proprietario dell’ultimo piano, o del lastrico solare di copertura dell’intero fabbricato, ha il diritto di costruire nuovi piani o fabbriche, aumentando, così, l’altezza complessiva dell’edificio.
Alla luce del secondo comma del medesimo articolo, la costruzione in elevazione non è consentita qualora possa pregiudicare la sicurezza o la stabilità dell’edificio (il codice parla di condizioni statiche che non la consentano) ed analogamente, per effetto del successivo terzo comma, agli altri condòmini viene riconosciuto il diritto di opporsi alla nuova edificazione, qualora possa derivarne un nocumento per l’aspetto architettonico dell’immobile nel suo complesso.
Particolarmente interessante il riferimento codicistico all’aspetto e non al decoro architettonico, posta la distinzione elaborata dalla Cassazione tra l’uno e l’altro istituto, nella pronuncia di seguito riportata: “Il codice civile, in materia di condominio di edifici, nel riferirsi, quanto alle sopraelevazioni, all’aspetto architettonico dell’edificio e, quanto alle innovazioni, al decoro architettonico dello stesso, adotta nozioni di diversa portata, intendendo per aspetto architettonico la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell’edificio, sicché l’adozione, nella parte sopraelevata, di uno stile diverso da quello della parte preesistente dell’edificio comporta normalmente un mutamento peggiorativo dell’aspetto architettonico complessivo [percepibile da qualunque osservatore], e denotando per decoro architettonico una qualità positiva dell’edificio derivante dal complesso delle caratteristiche architettoniche principali e secondarie, onde una modifica strutturale di una parte anche di modesta consistenza dell’edificio o un’aggiunta quantitativa diversa dalla sopraelevazione, pur non incidendo normalmente sull’aspetto architettonico, può comportare il venir meno di altre caratteristiche influenti sull’estetica dell’edificio e così sul detto decoro architettonico incorrendo nel divieto ex art. 1120 c.c.” (Corte di Cassazione Civile, Ordinanza 22 ottobre 2021, n. 29584.
Infine, non può procedersi alla sopraelevazione, sempre su istanza di quei condòmini che si ritengano pregiudicati dalla nuova costruzione, ove essa diminuisca sensibilmente la veduta o la luce dei piani sottostanti.
La natura e la funzione dell’indennità di sopraelevazione
Chi realizza una sopraelevazione è tenuto a corrispondere agli altri comproprietari un’indennità che ha funzione compensativa, in quanto serve a riequilibrare l’alterazione che si determina per effetto della nuova costruzione, posto che chi costruisce incrementa notevolmente sia il valore patrimoniale, e, dunque, meramente economico, della sua proprietà esclusiva, sia, in proporzione, il peso della propria quota millesimale rispetto al valore totale dell’intero edificio.
Sul punto, la Corte di Cassazione ha osservato come essa tragga il proprio fondamento dalla considerazione per la quale, se per effetto dell’intervento edificatorio il proprietario dell’ultimo piano aumenta, a discapito degli altri condòmini, il proprio diritto sulle parti comuni dell’edificio, è certamente corretto compensare, sia pure in parte, questi ultimi di quanto agli stessi sottratto, assumendo a parametro di riferimento il valore del suolo occupato (ossia il prezzo di mercato dell’area non ancora edificata) diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota spettante all’autore delle costruzione.
L’indennità, infatti, è stata rappresentata come un “debito per responsabilità da atto lecito”, e non per fatto illecito, ex art. 2043 cod. civ. (Corte di Cassazione, sentenze 15 novembre 2016, n. 23256 e 21 agosto 2003, n. 12292).
Infine, al riguardo, si è molto discusso sulla natura personale reale o di tale indennità, ovvero se la stessa debba essere considerata come direttamente collegata al soggetto che esegue la sopraelevazione o se, per converso, debba ritenersi strettamente afferente all’attività edificatoria, e, come tale, avente natura reale (e non personale).
Nel dubbio interpretativo che ne è derivato, come evidenziato da attenta dottrina, è prevalsa la teoria secondo la quale l’indennità dev’essere considerata come l’oggetto di un rapporto riservato, che sorge a carico di chi esegue la sopraelevazione e che non può essere trasmesso, in caso di vendita del bene immobile, in capo al nuovo acquirente che sia diventato proprietario del piano sopraelevato. Del resto, si aggiunge, “(…) se l’indennità prevista dall’art. 1127 è stata correttamente considerata come un corrispettivo del diritto a sopraelevare, appare evidente che legittimato passivo al suo pagamento non possa essere altri che colui che tale diritto abbia esercitato” (A. Nicoletti).
Il momento temporalmente rilevante per determinare l’indennità
Se, come abbiamo detto, è pacifica la sussistenza dell’obbligazione indennitaria in capo a chi edifica, piuttosto complessa è la determinazione precisa del momento in cui debba essere quantificata la misura dell’indennità in commento (anche per la criptica formulazione codicistica, che parla di “valore attuale” dell’area); in particolare, occorre far riferimento al momento in cui le opere sono iniziate o a quello in cui le stesse sono state ultimate? Ed in quest’ultima ipotesi, sarà sufficiente la copertura dell’edificio o bisognerà attendere la completa esecuzione delle opera?
Evidentemente, attesa la tempistica normalmente non propriamente contenuta, la forbice può essere particolarmente rilevante.
Sul punto, ancora una volta, soccorre l’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione, la quale, in diverse pronunce ha chiarito che l’elemento temporale cronologicamente rilevante ai nostri fini, deve coincidere con “il completamento delle strutture sostanziali ed essenziali per la sussistenza del nuovo piano” e, dunque, con la posa in opera del tetto (o lastrico solare) che, è bene ricordarlo, era, prima della sopraelevazione, e rimarrà tale anche dopo, di proprietà comune ed indivisa (Corte di Cassazione, sentenza 12 marzo 2019, n. 7028).
La tipologia della sopraelevazione.
Con un’importante ordinanza, la n. 12202 del 14 aprile 2022, la Suprema Corte ha sancito un ulteriore principio (fondamentale) in materia.
Il proprietario dell’ultimo piano di un edificio condominiale che realizza una costruzione sul tetto o sul lastrico solare, deve versare agli altri condomini l’indennità di sopraelevazione, non solo in caso di realizzazione di nuovi piani, ma anche quando proceda alla trasformazione dei locali preesistenti, mediante un’opera implicante solo l’incremento delle superfici e delle volumetrie esistenti prima dell’intervento, indipendentemente dall’aumento di altezza del fabbricato.
In altre parole, ad avviso del Supremo Collegio, che riprende l’orientamento elaborato dalle Sezioni Unite (Cass. SS. UU. 16794/2007) attesa la natura risarcitoria (nei termini evidenziati) dell’indennità in oggetto, essa è dovuta, indipendentemente dall’effettivo incremento dell’altezza del fabbricato conseguente alla sopraelevazione (che può anche non verificarsi), ogniqualvolta, per effetto della nuova costruzione, sia aumentata la volumetria dei locali preesistenti.
I divieti contenuti nel regolamento condominiale di natura contrattuale
Resta da affrontare un’ultima questione, ossia la configurabilità (o meglio la persistenza) del diritto di cui all’articolo 1127 del codice civile, in presenza di espressi divieti contenuti in un regolamento condominiale di natura contrattuale.
La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 12795 dell’11 maggio 2023, ha sancito il principio cardine al quale fare riferimento in materia: “Il regolamento di condominio di natura contrattuale che abbia ad oggetto la conservazione dell’originario aspetto architettonico dell’edificio, ben può contenere prescrizioni vincolanti che comprimono il diritto di proprietà dei singoli condòmini, mediante il divieto assoluto di qualsiasi intervento edilizio sulla struttura del fabbricato, anche di proprietà esclusiva. La realizzazione di opere esterne ed ulteriori, soprattutto se difformi da quelle autorizzate in precedenza dall’assemblea, integra di per sé una modificazione non consentita, che giustifica la condanna al ripristino dell’originario stato dei luoghi”.
Resta, così, confermato che quando il regolamento di condominio contrattuale abbia ad oggetto la conservazione dell’originaria conformazione architettonica dell’edificio condominiale, prevedendo il divieto di qualsiasi immutazione o opera modificatrice, stabilisce una tutela, di natura pattizia, molto più intensa e cogente di quella ordinariamente prevista dal codice civile.
Ne consegue che, in simili ipotesi, la realizzazione di ogni tipo di intervento edilizio integra di per sé ed in maniera oggettiva, una modificazione non consentita, tale da giustificare la condanna alla riduzione in pristino, senza che abbia rilevanza alcuna, a detti fini, l’eventuale incremento dell’altezza dell’edificio.
Indubbiamente, com’è facile intuire, si tratta di una materia ostica, che presuppone una competenza (anche, e per certi versi, soprattutto) da parte dell’amministratore di condominio, chiamato a gestire una situazione del genere, dall’impatto potenzialmente traumatico sulla vita dello stabile, che può essere certamente qualificata come multidisciplinare, attesi gli indubbi rilievi edilizi e prettamente urbanistici che una sopraelevazione comporta in un edificio costituito in condominio.
A cura dell’Avv. Roberto Rizzo – Membro del Centro Studi di GESTIRE