Nel corso degli ultimi anni, il settore degli affitti brevi ha subito una trasformazione radicale, diventando un elemento chiave dell’economia globale e del mercato immobiliare e mentre le basi del mercato dell’affitto breve restano le stesse, la profondità e l’ampiezza delle conoscenze necessarie per operare con successo si sono amplificate.
A partire dal 2015, il settore degli affitti brevi ha registrato un significativo boom di crescita, sia in termini di domanda che di offerta di immobili. Questo fenomeno ha attratto proprietari, investitori e capitali, sostenuto da flussi turistici in costante aumento.
Una recente analisi del 2023, condotta da Scenari Immobiliari, ha fotografato il patrimonio immobiliare destinato alla locazione breve. Il totale degli appartamenti dedicati alla locazione di breve periodo, per turismo, studio e lavoro, è ritenuto pari a 482.000 unità. Di queste, la gran parte è gestita in modo non professionale, ne residua un terzo facente capo al comparto extra-alberghiero.
Essendo quella del turismo una materia complessa, che presenta numerose connessioni con altre materie quali la tutela della concorrenza, i rapporti internazionali, la tutela dell’ambiente, le professioni, il governo del territorio e le grandi reti di trasporto, il codice del turismo perseguiva il duplice obiettivo di aumentare la competitività del settore turistico italiano e allo stesso tempo di garantire la tutela del turista, in fase di scelta della struttura, durante il viaggio e in caso di imprevisti. Tra i concetti generali stabiliti rientrava quello delle imprese turistiche, che devono intendersi come attività economiche, organizzate per la produzione, la commercializzazione, l’intermediazione e la gestione dei prodotti, di servizi, di infrastrutture e di esercizi, volti alla realizzazione dell’offerta dei beni e servizi per soddisfare le esigenze del turista.
La Corte Costituzionale, con le sentenze nn. 214/2006 e 76/2009, a seguito dei giudizi instaurati dalle Regioni Toscana, Puglia, Umbria e Veneto ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 1 del codice del turismo, riconfermando la potestà legislativa delle Regioni in materia di settore turistico alberghiero ed extra-alberghiero. Le norme del codice del turismo sono state trasfuse, con diverse modifiche a seconda della Regione, nella loro legislazione. Oggi, le norme di riferimento che regolano gli affitti brevi sono, quindi, le leggi regionali e i regolamenti comunali.
E’ importante precisare che la normativa turistica disciplina in rilascio delle autorizzazioni e la gestione delle attività, ma deve essere ben distinta dalla normativa fiscale. E’ infatti credenza diffusa, nel settore delle locazioni turistiche, che dalle disposizioni di natura amministrativa scaturiscano autonomamente implicazioni di natura fiscale. Ci si riferisce in particolare alle disposizioni contenute nei regolamenti regionali, aventi natura esclusivamente amministrativa, che stabiliscono delle tipologie di attività. A tali classificazioni, tuttavia, non corrisponde automaticamente la qualifica dell’attività come “imprenditoriale”, con l’indicazione del regime impositivo applicabile. Dal solo esame della normativa amministrativa emergono alcune criticità ed in particolare con riferimento alla qualificazione dei B&B e delle case vacanze, atteso che ogni Regione, come detto, ha una propria normativa di riferimento (Piemonte L.R. n. 13/2017;Valle d’Aosta L.R. 11/2023; Lombardia L.R. n. 27/2015 e regolamento n. 7/2016).
In via generale, senza entrare nelle singole definizioni in vigore, le 21 normative regionali, riguardano principalmente il numero delle camere e i parametri urbanistici dell’unità abitativa, per essere idonea come B&B.
Possiamo individuare come attività ricettive, a conduzione familiare di tipo Bed and breakfast, le strutture che forniscono servizi di alloggio e di somministrazione della prima colazione in unità abitativa a destinazione d’uso residenziale, iscritta alla categoria catastale “A”.
Invece, s’intende come casa o appartamento per vacanza, l’attività di gestione posta in essere da privati, che vi dimorano stabilmente, di una o più case o appartamenti ad uso turistico, iscritti alla categoria catastale A (salvo per il Veneto, dove è necessario il cambio di destinazione d’uso dell’immobile a turistico-ricettivo, con categoria catastale D), composti da uno o più locali arredati fino a un massimo di tre camere da letto ( 5 o 6 camere in alcune Regioni) e 6 posti letto (12 in alcune Regioni) e dotati di servizi igienici e di cucina, per l’affitto ai turisti, ed eventuali servizi accessori, quali biancheria e pulizie, locati più volte nell’anno, per brevi periodi, a diversi soggetti. La gestione di questo tipo di case vacanze non può includere alcuna forma di somministrazione di cibi e bevande. A differenza di B&B e affittacamere, devono essere locati gli interi appartamenti e non le stanze.
La maggior parte delle Regioni richiede la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA per CAV), solo per la gestione di tre o più unità abitative. Vi sono poi le locazioni pure o “short let” che non devono presentare alcuna SCIA. Questo tipo di locazione però, non permette servizi aggiuntivi, oltre la semplice fornitura dell’immobile ammobiliato, senza servizi accessori.
Possiamo, tuttavia, affermare che le locazioni turistiche degli immobili sono una delle forme di affitto regolare privilegiate dai gestori (host) per l’ampia libertà che lasciano ai locatori, la semplicità di utilizzo e il vantaggio economico che offrono.
I contratti di locazione utilizzati sono disciplinati dalla legge e dalle disposizioni del codice civile in tema di locazione. Gli articoli 1571 e ss. del codice civile prevedono espressamente la tipologia dei contratti di locazione di tipo turistico. In precedenza, le locazioni turistiche, ad uso residenziale, erano completamente libere per quanto riguarda il canone e la durata, in quanto rientravano tra le locazioni transitorie espressamente escluse dalla legge sull’equo canone, legge 392/1978. Con l’abolizione di questa legge, è stata introdotta dalla legge 431/1998, una nuova disciplina delle locazioni turistiche ad uso abitativo. Nel nuovo regime, le locazioni a uso turistico si separano nettamente dalle locazioni ad uso transitorio. In ogni caso, anche nel nuovo regime, per gli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche, ai sensi dell’art. 1 del comma 4 della legge n. 431/1998, permane l’obbligo della forma scritta del contratto di locazione.
Un adempimento fondamentale che spesso viene omesso dalle piccole attività è la comunicazione delle presenze alla Questura, secondo quanto previsto dall’art. 109 del. r.d. n. 733 del 1931 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza). Ai sensi della normativa di polizia, infatti, tutte le attività ricettive rientrano nella definizione di “pubblico esercizio” ed in quanto tali, sono sottoposte alla disciplina amministrativa per essi prevista.
Il D.L. Anticipi, a partire dal 2024, introduce per legge un nuovo Codice Identificativo Nazionale (CIN), al fine di assicurare un miglior coordinamento informativo/statistico dei dati dell’amministrazione statale con quella locale. Il CIN viene assegnato, dunque, alle unità ad uso abitativo destinate a contratti di locazione per finalità turistiche, alle locazioni brevi ai sensi dell’art. 4 del D.L. 50/2017 e a strutture turistico-ricettive alberghiere ed extra-alberghiere, definite ai sensi delle vigenti normative regionali.
Ai fini dell’identificazione delle strutture, ciascun Codice Identificativo Nazionale è contraddistinto da una sequenza numerica univoca che riporta l’identificazione della tipologia di alloggio, della Regione/P.A., della Provincia e del Comune di ubicazione. I titolari delle strutture ricettive, i soggetti che concedono in locazione breve immobili ad uso abitativo, i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, quelli che gestiscono portali tematici per l’offerta di alloggi ai fini turistici sarebbero tenuti a indicare il CIN in modo da garantirne la visibilità e un facile accesso da parte dell’utenza. Sono previste pesanti sanzioni per la mancata richiesta del CIN e per la mancata esposizione negli annunci pubblicitari.
Per tutte le locazioni di immobili abitativi in Condominio, l’art. 10 della legge 220/2012 ha istituito l’anagrafe condominiale, che prevede la tenuta, da parte dell’amministratore di condominio, del registro di anagrafe condominiale, contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari dei diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale, della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza. Ogni variazione dei dati indicati nel registro, deve essere comunicata all’amministratore, in forma scritta, entro 60 giorni.
Inoltre, a decorrere dal 2016, è stato modificato l’art. 13 della legge 431/1998, prevedendo che il locatore provveda alla registrazione, nel termine perentorio di trenta giorni, dandone documentata comunicazione, nei successivi sessanta giorni, al conduttore ed all’amministratore di condominio, anche ai fini dell’ottemperanza agli obblighi di tenuta del registro dell’anagrafe condominiale di cui all’art. 1130, comma 6, del codice civile.
In sostanza, per le locazioni abitative, non solo è obbligatoria la comunicazione all’amministratore condominiale, ma deve essere fornita una comunicazione documentata; si deve, quindi, interpretare che occorra fornire la ricevuta di registrazione del contratto di locazione registrato (ad esclusione dei contratti inferiori ai trenta giorni, per i quali non è prevista la registrazione).
Come spesso avviene, l’apertura di un Bed & Breakfast all’interno di un condominio può incontrare delle opposizioni, specialmente se il regolamento condominiale vieta esplicitamente le attività commerciali. Questo principio è stato confermato da una sentenza della Corte di Cassazione, pubblicata il 7 ottobre 2020, che ha gettato luce su aspetti significativi riguardanti l’attività di B&B e affittacamere. Secondo la sentenza n. 21562/2020, per avviare un Bed & Breakfast in un condominio, è indispensabile ottenere l’autorizzazione dall’assemblea condominiale. Quest’ultima ha il diritto di opporsi se il regolamento condominiale prevede un divieto di esercitare attività commerciali all’interno dello stabile. La Corte ha chiarito che l’attività di Bed & Breakfast è da considerarsi contraria alle finalità abitative dell’immobile, rientrando nel novero delle attività commerciali vietate, in quanto attività assimilabile a quella alberghiera. Inoltre, il modello di business del Bed & Breakfast e degli affittacamere non può essere considerato come un normale uso abitativo. Infatti, queste attività prevedono un corrispettivo per soggiorni di breve durata e la somministrazione di servizi come la pulizia dei locali e la fornitura di biancheria da letto e da bagno. L’ordinanza della Cassazione evidenzia anche che, qualora il regolamento condominiale contenga una disposizione che vieti le attività commerciali, questo divieto è legittimo e può riguardare anche quelle assimilabili a quelle alberghiere. In tal senso, l’apertura di un B&B deve essere considerata un’attività imprenditoriale a tutti gli effetti, in diretto contatto con il pubblico.
Praticamente, il regolamento condominiale, che deve avere carattere contrattuale e approvato all’unanimità, deve contenere un divieto esplicito e chiaro riguardante l’apertura di un Bed & Breakfast o di affittacamere. Questo consente al condominio di tutelare il decoro e la tranquillità dello stabile, opponendosi legalmente all’apertura di tali attività.
Quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, in sostanza, rappresenta un precedente importante per chi intenda intraprendere l’attività di Bed & Breakfast all’interno di un condominio, sottolineando la necessità di rispettare le normative condominiali esistenti, di non arrecare danni alle parti comuni, di rispettare il loro uso e di non creare disturbo agli altri condomini.
Qualora il regolamento non lo contenga e si presenta una situazione tale da crearne la necessità, il divieto può essere inserito nel regolamento in qualsiasi momento, ma la maggioranza necessaria per approvare questa clausola è un voto all’unanimità: devono essere favorevoli tutti i condomini. Inoltre, la clausola deve contenere un testo con il quale deve essere vietato espressamente questo tipo di uso. La limitazione però, per essere opponibile a terzi, ossia ai successivi condomini, deve essere annotata nei pubblici registri immobiliari, oppure richiamata o trascritta negli atti di trasferimento dell’immobile.
A cura di Sabrina Schemani, Amministratrice di Condominio in Torino, Val di Susa e Bardonecchia
Presidente Associazione Nazionale GESTIRE, Amministratori e Building Manager
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